Lo Stato si vendica contro i giovani del 26 ottobre e le loro famiglie
Riprendiamo di seguito il commento del Centro Sociale Askatasuna a questo articolo di Repubblica in cui si annuncia che le famiglie dei rivoltosi del 26 ottobre potrebbero perdere o vedere ridotto il reddito di cittadinanza. Nel frattempo il castello accusatorio messo in campo dalla procura ha già subito un duro colpo, infatti il giudice non ha convalidato gli arresti e ha respinto l’impostazione dei pm Paolo Scafi e Giuseppe Drammis che contestavano a 24 persone la devastazione e saccheggio, ritenendo che il reato da configurare sia invece quello di furto aggravato. Sette tra i 24 arrestati resteranno in carcere, altri otto andranno agli arresti domiciliari e gli altri saranno sottoposti all’obbligo di firma.
Vendetta. Non si potrebbe definire altrimenti l’operazione che Media, Questura e Magistratura stanno portando avanti nei confronti dei giovani rivoltosi del 26 Ottobre. Una vendetta che in sé contiene la spiegazione postuma della rivolta stessa.
Oggi su Repubblica è apparso un articolo disgustoso con i virgolettati di Emma Avezzù, procuratrice capo dei minori di Torino che afferma che le famiglie dei giovani coinvolti nell’operazione dell’altro ieri potrebbero perdere o vedere ridotto il reddito di cittadinanza nel caso in cui ne usufruiscano.
Nelle parole della procuratrice la misura dovrebbe avere uno scopo “rieducativo” nei confronti dei genitori che si presume non seguano abbastanza i figli.
Questo genere di provvedimento è la dimostrazione più palese di qual è l’atteggiamento dello Stato nei confronti dei giovani di periferia, in particolare se di seconda generazione e delle loro famiglie.
Punizione, paternalismo e repressione per chi prova ad alzare la testa.
Invece di provare ad affrontare le determinanti sociali del disagio, i bisogni di chi vive in una situazione difficile, aggravata ulteriormente dalla pandemia, li si marchia definitivamente come cittadini di serie B, che devono dimostrare di “sapersi comportare” secondo determinate norme per accedere a dei diritti garantiti a chiunque altro. Chissà se i giornali, se la Pm, se chi giudica questi giovani sa cosa vuol dire crescere una famiglia in determinati contesti, a quali contraddizioni si è sottoposti, tra la precarietà del reddito, la preoccupazione per garantire un tetto, le difficoltà della lingua a volte, i ricatti e le scelte fatte, difficili, coraggiose per avere una vita dignitosa.
Tutto questo non riempie le pagine dei giornali, non è in cima alle agende politiche, non si vede nei talk show in tv. La rivolta di ottobre in piazza Castello è stato uno dei pochi momenti in cui il velo dietro cui sono celate queste condizioni è stato squarciato, almeno per qualche intenso attimo.
Ed è questo che la Polizia, le procure, la Politica vogliono accuratamente evitare, che chi vive nei quartieri popolari prenda finalmente voce per dire tutto ciò che non va in questo sistema marcio ed escludente. Per chi comanda si tratta di dare una punizione esemplare, di ridurre all’obbedienza, non solo per evitare che qualche vetrina di un negozio di lusso venga sfasciata, ma per ridurre completamente al silenzio queste voci, farle vivere nel timore di perdere anche quel poco che si ha.
Qui l’articolo che ricostruisce la giornata del 26 ottobre.
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