Milano: 7 denunce per l’assedio popolare al consolato turco
Il 26 ottobre 2019 a Milano oltre diecimila persone scesero in piazza per manifestare contro la guerra scatenata dalla Turchia di Erdogan nei confronti dell’esperienza del Confederalismo Democratico della Siria del Nord.
L’operazione militare vide l’esercito turco affiancato dalle milizie jihadiste, con il benestare del presidente Usa Trump e della Nato, di cui la Turchia fa parte e da cui riceve ingenti finanziamenti economici per la gestione dei flussi dei profughi, oltre alle forniture militari. L’invasione del Rojava si è svolta con l’utilizzo di armi chimiche (come il fosforo bianco) contro migliaia di civili.
Il corteo che aveva visto appunto la partecipazione di migliaia di persone provenienti da tutto il centro-nord, nel suo percorso ha sanzionato molte delle aziende complici della Turchia: da Intesa San Paolo, coinvolta nella vendita di armi, a Facebook, responsabile dell’oscuramento dei media indipendenti e dei soggetti politici e sociali che sostengono e solidarizzano con la rivoluzione confederale del Rojava. I manifestanti, arrivati al consolato turco, difeso da un imponente schieramento di polizia, hanno lanciato ortaggi e fumogeni, e hanno acceso dei fuochi d’artificio. E’ stato anche dato alle fiamme un manichino che rappresentava Erdogan.
Oggi polizia e magistratura milanesi presentano il conto di quella giornata notificando a sette manifestanti la conclusione delle indagini e quindi le denunce, utilizzando per la prima volta l’articolo 5bis inserito con il decreto sicurezza di Savini, il cui art.6 modifica la legge n.152/1975, ( detta anche legge Reale) uno straordinario strumento di repressione giudiziaria e poliziesca messo a punto per contrastare i movimenti sociali nella metà degli anni 70. Le nuove disposizioni intervengono nel testo di legge modificando l’attuale art.5 ed inserendo il nuovo art. 5bis. L’art.5 disciplina il reato comunemente conosciuto come reato di “travisamento”. Anche in questo caso si tratta di reato contravvenzionale che, all’epoca dell’approvazione della legge, era punito con l’arresto da uno a sei mesi, pena elevata nel 1977 all’arresto da sei mesi ad un anno.
Nel 2005 il legislatore interviene nuovamente sull’entità della pena, prevedendo l’arresto da uno a due anni. Con il nuovo decreto il reato, se commesso in occasione di manifestazioni pubbliche, viene trasformato in delitto, pur restando invariato il limite massimo di pena. Ma la modifica di maggiore impatto riguarda appunto l’inserimento dell’art.5bis, con il quale si introduce una nuova ipotesi di reato, quello della “resistenza passiva”. L’articolo prevede infatti che sia punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, nel corso di manifestazioni pubbliche, si opponga al pubblico ufficiale utilizzando “… scudi o altri oggetti di protezione passiva ovvero materiali imbrattanti o inquinanti…”.
Dunque il solo fatto di ripararsi e proteggersi mentre la polizia sta manganellando è diventato un reato con relativa pena reclusiva. Considerato che nell’articolo si fa riferimento non solo agli scudi, ma anche a generici “oggetti di protezione passiva”, il reato potrebbe essere commesso con qualsiasi cosa, persino con lo zainetto che ti ritrovi in mano. Parallelamente, con il secondo comma del medesimo articolo, viene sanzionato con la pena della reclusione da uno a quattro anni il lancio o l’utilizzo di “… razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere…”. Grazie al decreto sicurezza magistratura e polizia possono continuare in maniera ancora più accanita la criminalizzazione dei movimenti e la repressione nei confronti di chi solidarizza con i popoli sotto bombardamento.
Le denunce arrivano in un momento in cui le spregiudicate manovre espansionistiche di Erdogan stanno colpendo il Kurdistan iracheno nella pressocchè totale complicità e silenzio da parte della comunità internazionale e dei media.
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