
Pavia, lungo corteo per il diritto all’abitare
Un lungo corteo si è snodato, per la prima volta, non lungo le vie del centro, ma lungo un percorso che scientemente ha voluto toccare tutti i punti della città in cui si trovano le case popolari del comune e dell’Aler . Davanti alla violenza del comune che, sempre più palesemente incapace di dare delle risposte concrete al problema abitativo, ha individuato come unica risorsa il ricorso alla forza pubblica per sgomberare le case recentemente occupate al Crosione da alcune famiglie in difficoltà, la risposta dell’Assemblea ha scelto di essere assolutamente e inequivocabilmente politica.
La scelta di toccare quelle zone della città corrisponde all’esigenza di interloquire con chi vive nelle periferie, centri nevralgici del problema abitativo, individuando in questi cittadini le principali vittime delle politiche dissennate del comune e dell’assessorato ai servizi sociali e, più in generale, di tutte le conseguenze che la crisi ha portato nelle nostre città in termini di progressivo impoverimento dei ceti più deboli, impossibilitati, in molti casi, a pagare un affitto divenendo principali vittime dell’ ondata di sfratti che sta investendo Pavia.
Scelta assolutamente azzeccata, soprattutto a giudicare dalla risposta che da quelle case è arrivata, vecchi, bambini, ragazzi che si affacciavano alle finestre o scendevano in strada per portare la propria solidarietà e per ascoltare quanto i militanti dell’Assemblea avevano da dire loro. E scelta azzeccata anche a giudicare dalla massiccia presenza di agenti davanti agli stabili comunali e dell’ALER, a testimonianza sia dell’enorme numero di appartamenti sfitti presenti in questi stabili, che della paura che potesse essere una mossa dell’Assemblea quella di usare il corteo per occupare. Piuttosto che assegnare gli appartamenti a chi ne ha bisogno, le istituzioni preferiscono presidiare militarmente dei muri vuoti. Non potranno però difendere le case sfitte in eterno.
Davanti a questo bel risultato politico che l’Assemblea porta a casa, a poco valgono le querimonie di quanti si stringono attorno al cattolicissimo Assanelli per essere stato vittima di una denuncia della sua scarsa coerenza cristiana: fatta dall’Assemblea attraverso un cartello affisso sulla sua porta di casa, recante la scritta “Denunci, licenzi, sgomberi: se questo è un cristiano…”. Persino il sindaco, fino ad ora latitante sulla questione abitativa, ha finalmente preso parola, per esprimere, però, solidarietà ad Assanelli e blaterare di minacce e violenza. Ma la vera e unica violenza è quella del comune verso coloro che dovrebbero rappresentare l’unico vero destinatario della milizia cattolica: i poveri, i diseredati, gli umili, cui l’assessore risponde non porgendo l’altra guancia, ma in più riprese e attraverso varie modalità, abbattendo su di loro la prepotenza della forza pubblica e del potere.
E a poco vale anche il maldestro tentativo di criminalizzare un gesto che in sé non ha nulla di intimidatorio o di minaccioso, compiuto in pieno giorno e al quale altri seguiranno. Perché nostra intenzione è, infatti, quella di continuare a mettere l’assessorato e il comune davanti alle proprie responsabilità su questa grave questione che continua a non essere affrontata nei dovuti modi.
Nostra intenzione è quella di mantenere alta l’attenzione su un problema le cui proporzioni sono sempre più vaste e che, a breve giro, rischia di diventare un’onda destinata a travolgere i vari farisei che affollano gli scranni del palazzo comunale. E se il nostro ricondurre l’Assessore all’etica cristiana viene con leggerezza liquidato come atto di violenza, rincariamo la dose con un’evangelica minaccia, curiosi di scoprire se anche al cospetto delle parole di Gesù Cristo Assanelli e i suoi apostoli hanno ancora qualcosa da ribattere.
Noi non siamo venuti per unire, ma per dividere. Non siamo venuti a portare la pace, ma la spada. Perché siamo venuti a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno i suoi famigliari (dal Vangelo secondo Matteo; 10, 34-38)
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