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Perchè Salvini vince dove non ci sono porti da chiudere?

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Era solo un’elezione regionale certo, ma alcune tendenze arrivano a compimento con il voto in Abruzzo. La Lega, come evidenziato in questi mesi da tutti i sondaggi e dal sentire generale, è primo partito. Con Forza Italia e Fratelli d’Italia al traino, ma sempre più deboli rispetto a Salvini. Il CinqueStelle è invece in forte calo, logorato da uno stare al governo sempre più contraddittorio e spesso auto-umiliante. Il Partito Democratico può esultare solo perchè non scompare, ma definirlo altro che comatoso è difficile. Non pervenuti altri soggetti, a destra come a sinistra.

 

Il voto ci suggerisce poi altre considerazioni, più in profondità. La Lega vince dove non ci sono porti da aprire o da chiudere. Dove non c’è alcuna presenza soverchiante di migranti sul territorio. Dove non ci sono forti interessi industriali da proteggere. Perchè? Perchè in questi mesi il vero capolavoro di Salvini, a cavallo tra politica e comunicazione, è stato stravolgere ogni dibattito su un tema specifico in una discussione basata su termini puramente ideologici. Ovvero, senza alcuna verifica pratica sul territorio, senza alcun elemento concreto.

In questo quadro, ogni tema è occasione di campagna elettorale. Da Mahmood “protetto delle elites” alle performance del Milan, dal commissario Montalbano ai fatti di Torino per lo sgombero dell’Asilo. Ogni voto diventa di conseguenza un voto su come vedere la società nel suo complesso, più che uno sui temi specifici. Non c’è stato un voto sull’Abruzzo, ma uno sulla figura del Capitano e sulla sua battaglia contro “le elites”, la “sostituzione etnica” e le “tradizioni sotto attacco”.

Probabimente, stessa dinamica accadrà alle Europee. Assodata la mancanza di fiducia in ogni forma di rappresentanza, o ci si affida in una figura forte e fintamente “contro”, oppure semplicemente domina l’apatia. Purtroppo anche sociale, oltre che elettorale. Chi rimane ancora attaccato a un dato reale, a una idea del territorio e dei suoi problemi, a una prospettiva di cambiamento infatti, semplicemente non vota più.

Non sarebbe corretto infatti non segnalare in questa analisi che il 50% degli elettori è stato a casa. Un dato che risulta ulteriormente alto tra i giovanissimi, tra le donne, tra i disoccupati. Come è corretto ribadire che a questo dato non si accoppia alcun tipo di mobilitazione, aldilà di poche e valorose esperienze, purtroppo ancora deboli rispetto alla sfida. Di fronte abbiamo una disillusione di portata sia generale, sia specifica rispetto alla traiettoria compiuta dal Movimento CinqueStelle. I grillini hanno dimezzato i consensi rispetto a un anno fa, e non può essere solo il tipo diverso di elezione la risposta.

L’aver di fatto portato a casa solo sconfitte in merito ad ogni punto del programma del 4 marzo, sul tema della giustizia fino a quello sulle grandi opere, sembra aver influito. L’oscillazione tra lotta e governo, tra un viaggio ad incontrare i gilet gialli e un profilo istituzionale, non sembra pagare. Nondimeno, la schizofrenia pentastellata sembra aver fatto scendere la fiducia anche nei confronti della prospettiva del reddito di cittadinanza. Soprattutto perchè riguardava una regione del centro-sud, il voto rivela la disillusione da parte di chi aveva visto nei grillini un potenziale grimaldello per provare a cambiare qualcosa della propria esistenza. Ma su questo sarà necessario riaggiornarsi il prossimo 25-26 maggio, dopo che i primi soldi saranno entrati nelle tasche degli aventi diritto.

Detto questo, assumendo la tendenza di un CinqueStelle in calo di consenso, la domanda su che succederà nella base sociale grillina dopo le Europee è quella da iniziare a porsi in questo contesto. Ci troveremo di fronte ad una spirale di aspettative tradite che necessiteranno di andare oltre le pratiche e le retoriche di un partito ormai accartocciato tra i palazzi e le tattiche politiche? Oppure la delusione per quanto avvenuto all’opzione di “riforma dall’interno” rinforzerà ancora di più la tendenza alla disillusione? Si rinforzerà la posizione di chi non vede alcuna alternativa possibile al finto scontro tra burocrati liberali europeisti (PD Zingaretti-Calenda) e sovranismo (Salvini e Meloni)?

Alcune indicazioni su come si evolverà il prossimo futuro, almeno da parte padronale, ci sembrano arrivare dalla orrenda piazza romana convocata dai confederali lo scorso sabato. Partecipata anche da alcune delegazioni di Confindustria, si è espressa in termini semplici. Non servono reddito od investimenti in welfare, ma lavoro, investimenti, crescita. Tradotto dalla neolingua, si legge sfruttamento, uso delle risorse a fine dell’arricchimento di pochi, devastazione dei territori. Il tutto pur di allontanare l’incubo di alcuna prospettiva di lungo periodo che faccia i conti con automazione, impoverimento generalizzato, salvaguardia dei territori. E quindi con la perdita di potere da parte degli industriali o delle burocrazie sindacali.

Non sappiamo cosa succederà a maggio. Se Salvini farà cadere il governo andando a nuove elezioni, se proseguirà con la strategia di logoramento a fuoco lento dei CinqueStelle, se il Pd zingarettiano offrirà a DiMaio la prospettiva di un nuovo governo (insieme dem e grillini hanno la maggioranza potenziale alle camere). Di sicuro, c’è chi si sta preparando a lanciare ulteriori attacchi ad ogni prospettiva di avanzamento sociale, in qualunque scenario si verificherà.

 

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