Renzi, i dati sull’occupazione, le bugie mediatiche, la realtà distorta
Renzi ha eliminato il precariato. Sembrerebbe questa l’affermazione, assurda, da fare se dessimo ascolto alle parole del premier fiorentino durante la scorsa direzione PD, quando questi ha dichiarato che nel corso dei suoi quasi 30 mesi di governo sarebbero stati creati ben 497.000 nuovi posti di lavoro. Affermazione assurda poiché i numeri in questione non riflettono in maniera evidente quella che è la realtà sociale del paese, testimoniata sia nel dato elettorale che ha devastato il PD sia in quello dell’astensionismo.
Come già era stato fatto qualche mese dal ministro Poletti, i dati sbandierati da Renzi non sono altro che le previsioni effettuate dall’Istat: dati che evidentemente, nella loro inutilità rispetto alla realtà (un po’ tipo gli exit polls elettorali), servono solamente a permettere al governo di lanciare qualche annuncio a mezzo stampa, sperando che la grancassa mediatica possa rendere vero nell’opinione pubblica qualcosa che vero non lo è. Il problema è che come nelle bollette della luce, una volta pagati i consumi stimati arriva poi la lettura reale..e molto spesso i dati divergono fortemente, come in questo caso.
Renzi, da ottimo televenditore, dimostra ancora una volta la sua abilità nella manipolazione della realtà statistica: il rilancio dell’occupazione a tempo indeterminato è soltanto una colossale balla, dato che come hanno descritto diversi analisti, una volta finita la bolla degli sgravi per le assunzioni prevista dal fondo stanziato in parallelo all’approvazione del JobsAct si è tornati, da parte delle aziende, a preferire il contratto di apprendistato rispetto a quello a tempo indeterminato, in una percentuale di 78% contro 22%. Questo poiché il primo ha un costo minore del secondo per l’azienda: l’unica cosa creata da Renzi è stata quindi una nuova bolla che nel lungo periodo tornerà a fare aumentare i dati del precariato. Nel frattempo, con l’introduzione del licenziamento per motivi economici, si è anche eliminata ogni residua difesa della stabilità occupazionale.
C’è poi da sottolineare ancora una volta, visto che a quanto pare ce n’è bisogno, che le misurazioni Istat sull’occupazione sono fatte su criteri quantomeno discutibili: vengono infatti considerati occupati tutti coloro i quali hanno più di 15 anni e hanno lavorato almeno un’ora nella settimana di rilevazione. Criteri che ovviamente portano a risultati unicamente quantitativi, incapaci di rendere la realtà qualitativa del lavoro espresso; un contratto a chiamata, pagato in voucher, di qualche ora in una settimana non è ovviamente in grado di assicurare quella sostenibilità e sicurezza economica che l’occupazione lavorativa dovrebbe dare.
Ci troviamo di fronte a quella che è una esplosione di “lavori di merda”, come sono stati definiti, che ormai rappresentano la grande maggioranza delle nuove possibilità di impiego nel paese e che hanno portato, nella loro inutilità a garantire la dignità di chi li svolge, anche all’aumento di chi si rifugia – in mancanze di alternative – al lavoro nero, sfruttato oltre misura se non all’abbandono della ricerca di lavoro, quella sottoccupazione che non viene tralaltro neanche conteggiata nelle statistiche ufficiali!
Siamo quindi di fronte ad un’ulteriore mossa cosmetica da parte del governo, sempre più stritolato dalla realtà della crisi; uno stato delle cose presenti che da un lato gli ha tolto il consenso popolare soprattutto nelle periferie e dall’altro sembra portarlo sempre più ad essere scaricato dai piani alti dei capitali transnazionali, che non credono più alle sue promesse di stabilizzazione e iniziano ad attuare processi di attacco soprattutto rispetto alla questione della tenuta bancaria, in attesa di quanto succederà ad ottobre con un referendum che ogni giorno è sempre più complicato per il capo del governo…
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