RIFORMA CARTABIA: TRA CRIMINALIZZAZIONE E ESTENSIONE DELLE PENE
Ritorna in auge la grande “sfida” della ministra Marta Cartabia di mettere mano alla giustizia italiana, così definita da lei stessa in una dichiarazione rilasciata durante la sua visita negli Usa. La riforma rientra nel programma politico del PNRR in qualità di riforma “orizzontale”, dato che l’obiettivo principale è quello di snellire i procedimenti penali italiani andando ad accorciare i tempi e migliorare l’efficienza dei tribunali. In realtà, la ministra Cartabia parte da premesse tutt’altro che orizzontali e il suo operato potrebbe costituire numerosi passi indietro a favore di una giustizia che estende a macchia d’olio profili criminalizzati e dunque passibili di pena.
Questa riforma andrà a investire a cascata la società tutta proprio per il meccanismo secondo il quale, per invertire la tendenza dei tempi giurassici della magistratura, è possibile estendere i casi passibili di pena a numerosi reati ricorrendo a pene alternative e sostenendo una logica ipocrita e violenta basata sulla reinserzione nella società. In particolar modo, la riforma Cartabia si fa carico di quattro obiettivi: un’importante deflazione del carico giudiziario, un più ampio accesso alle pene alternative, una maggior selezione dei processi destinati al dibattimento e una significativa riduzione delle impugnazioni. Il tutto accompagnato da una significativa riduzione dell’ipotesi di prescrizione del reato.
È interessante il punto di vista che ci propone Vincenzo Scalia, criminologo e docente all’Università di Firenze, che per analizzare questa riforma si riferisce ai lavori critici di Stanley Cohen, criminologo degli anni 80 che fece da spartiacque nella disciplina. Nel 1985 Cohen sosteneva come l’aumento delle pene alternative al carcere avessero l’effetto di ampliare il raggio di criminalizzazione. Inoltre, in questo estensione entrano in gioco una serie di operatori sociali, dai servizi sociali pubblici a organizzazioni e enti di volontariato del terzo settore, che diventano mediatori tra gli imputati e la giustizia, assumendo così un ruolo punitivo tutt’altro che nei termini di possibilità di reintegrazione. Non da ultimo, occorre evidenziare l’elemento della precarietà sociale di quei soggetti che in un contesto simile assumono immediatamente lo status di devianti e che, in un circuito che si autoalimenta, finiranno nelle maglie della magistratura andando ad allargare il bacino dei soggetti considerati a rischio.
La riforma Cartabia si può leggere in questi termini, una manovra che va ad allargare le possibilità di penalità in Italia all’interno dei gruppi sociali già perseguiti dalla legge in maniera particolare, dagli immigrati, ai rom, agli attivisti politici, ai poveri. Parallelamente, andrà a beneficiare tutti quei settori dell’assistenzialismo e della sinistra benpensante che potranno occuparsi della rieducazione degli imputati in una dinamica per la quale le loro pene saranno considerate legittime agli occhi della società.
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