Sardegna, cronache post-alluvione pre-elezioni
Ad Olbia, il capoluogo che si è visto (almeno) due grossi quartieri costruiti in fretta e furia sulla scia del boom edilizio e speculativo cavalcato nel pieno dell’epoca berlusconiana, tanto da crescere in meno di trantanni da 30mila a 70mila abitanti (controtendenza assoluta rispetto al trend isolano), i danni sono tuttora visibili come se fosse il giorno dopo l’alluvione. Mentre si ripescano auto trascinate da chissà dove dai canali, proprio i quartieri sopra menzionati sono praticamente disabitati, e oltre mille persone aspettano una collocazione abitativa temporanea, mentre chi si azzarda a voler riprendere una vita normale cerca di risistemare la propria casa, tra impianti elettrici saltati, elettrodomestici che non funzionano più e muri con evidenti crepe e rigonfiamenti. C’è da chiedersi se questa frazione di olbiesi si sia capacitata di aver vissuto in una zona che a scopo abitativo era palesemente improponibile, trattandosi di vere e proprie paludi bonificate in fretta e furia a beneficio dei palazzinari e del profitto selvaggio.
In altre parti dell’isola la situazione è ugualmente molto precaria; molti campi coltivati e allevamenti sono rimasti disastrati, in particolare nelle Baronie, dove i raccolti dei frutteti e dei cereali è stata largamente compromessa. Ma le condizioni di disagio più evidenti sono provocate dai collegamenti stradali tuttora non ripristinati, con paesi come Dorgali che si ritrovano praticamente impossibilitati a raggiungere in un tempo accettabile il capoluogo (Nuoro) a seguito del cedimento di una parte di ponte su cui molto ha avuto a che fare la mano dell’uomo (una costruzione altamente precaria, senza criteri di sicurezza minima e argini a terrapieno laddove era palesemente necessarie delle campate; è stata aperta una indagine a riguardo).
Altre strade del nuorese sono tuttora soggette a dissesti e cedimenti, in primis quelle statali che collegano al capoluogo. La mancanza di intervento su questi collegamenti di importanza primaria hanno provocato la rabbia di alcune comunità del centro-Sardegna : cinque paesi hanno minacciato di astenersi in toto dal voto per le ormai imminenti elezioni regionali (previste per fine Febbraio).
Elezioni su cui il discorso alluvione peserà ma forse non troppo, facendo pendere la bilancia a favore della giovane formazione progressista che reclama un sovranismo illuminato a stampo riformista guidato dalla scrittrice Michela Murgia, capace di mangiare in poco tempo il terreno ad un PD regionale che dopo lo scandalo di corruzione e clientelismo, che ha coinvolto 65 consiglieri regionali su 82, è divenuto ancora meno credibile e meno solido al suo interno. Una Murgia che, con una formazione che per molti versi rappresenta una novità rispetto all’opzione grillina vista precedentemente nella penisola italiana, può essere capace di guardare vis-à-vis l’attuale presidente della Regione, il lacchè berlusconiano Ugo Cappellacci (che non a caso ha voluto accelerare bruscamente i tempi per andare alle urne), uno dei garanti più affidabili del profitto italiano e non sulla terra sarda. Di sicuro, questa tornata elettorale allerterà anche Roma sugli umori di pancia e sulle volontà politiche dei Sardi che potrebbero ulteriormente destabilizzare un quadro per niente cristallizzato.
Sembrano per ora in declino le opzioni parlamentari indipendentiste, tra le quali decisamente non fa una confortante figura IRS (Indipendentzia Repubrica de Sardigna), che probabilmente correrà a fianco del candidato PD Pigliaru.
A rimanere centrale , prima e dopo la tornata elettorale, la voce dei territori in merito ai fronti di lotta che sapranno crescere e rinforzarsi di fronte alla recessione economica, alla disoccupazione dilagante, alla domanda in costante crescita di “sovranità” fiscale e gestione della spesa “pubblica”.
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