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Se sciopera anche Chrysler

Dopo lo scontro nelle fabbriche della Fiat con la Fiom e i lavoratori in disaccordo sul nuovo contratto, il manager dei due mondi è inciampato in un inedito fronte sindacale americano. Con un atteggiamento che ricorda da vicino il braccio di ferro in Italia. Un pessimo segno sia per il futuro delle relazioni sindacali (ma in America Marchionne non potrà contare su un governo che emana leggine ad hoc), sia per gli ambiziosi obiettivi di gruppo, a rischio rallentamento, 6 milioni di auto prodotte entro il 2014. A fronte di una crisi finanziaria galoppante e all’ombra di una nuova recessione. dalle due parti dell’Atlantico.

A Dundee (come in Italia), in discussione sono le condizioni di lavoro. L’azienda ha comunicato agli operai che una settimana dovranno lavorare di giorno, la successiva di notte. Un turno che non piace a nessuno: in passato, molto di coloro che avevano fatto questa rotazione si erano lamentati con il giornale dell’auto, il Detroit News, sostenendo che si sarebbero cercati un altro lavoro piuttosto che accettare la turnazione, penalizzante per la sicurezza in fabbrica e per la loro vita a casa. Il voto schiacciante di domenica non implica automaticamente lo sciopero, ma il sindacato Uaw ha il via libera per deciderlo quando vuole. La fabbrica è fuori dall’accordo imposto da Marchionne nel giugno del 2009 nell’emergenza della bancarotta e accettato dai lavoratori, che vieta ogni forma di sciopero fino al 2015.

Il caso di Dundee acuisce le tensioni sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Uaw ha firmato venerdì notte una bozza di accordo con la Gm, che adesso farà da stella polare per le trattative parallele con la Chrysler e con la Ford. Più soldi per gli assunti in Gm dopo la bancarotta del 2009, oggi a metà stipendio rispetto a chi era rimasto dentro (come in Chrysler), più posti di lavoro, più bonus. Ma Marchionne non ha mandato giù – e inusualmente lo ha fatto sapere con una lettera di fuoco al New York Times – che il capo di Uaw, Bob King, abbia preferito il tavolo di Gm invece di sedersi al suo. Per il quale era precipitosamente volato via dal salone di Francoforte, mentre l’amministratore delegato di Gm, Dan Akerson, era rimasto in ufficio delegando i suoi negoziatori all’incontro con King.

Se nella forma Marchionne può avere delle ragioni, nella sostanza ha sbagliato: in questa prova di forza perduta, si può leggere che la Chrysler, notoriamente la più debole dei tre costruttori di Detroit, sembra avere anche la più debole delle leadership.

La Chrysler produce meno utili della Gm e della Ford ed è la più dipendente dal mercato nordamericano. Le vendite vanno bene, ma i soldi non bastano mai e soprattutto non arrivano più quelli richiesti al governo. Il Dipartimento per l’Energia di Washington non ha ancora sbloccato la richiesta del 2009 di Marchionne di prestiti agevolati per 3,5 miliardi di dollari, da investire nella ricerca di auto più «pulite». Eppure, l’amministrazione Obama vuole su strada un milione di auto elettriche e ibride, cioè con motore elettrico abbinato a un benzina, entro il 2015. Il 5 agosto scorso ha concesso crediti per 2,4 miliardi dollari per lo sviluppo di una nuova generazione di batterie elettriche. Il giorno successivo, altri 400 milioni sono stati divisi tra tutti i costruttori del Michigan per lo stesso scopo, briciole per Marchionne. Ma va anche detto che la sua Chrysler è la meno virtuosa di Detroit: in listino non ha un modello ibrido. A Washington sanno tutto.

Francesco Paternò per Il Manifesto

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