Si sciolgono le camere, iniziano le chiacchiere
Si sciolgono le camere del Parlamento, dopo l’ultima vergognosa pantomima sul tema ius soli da parte di una delle legislature meno legittimate e più reazionarie della storia recente d’Italia. Mentre Gentiloni a sprezzo del ridicolo afferma che il paese si è rimesso in moto, ai blocchi di partenza i partiti si preparano alla lotta per spartirsi le poltrone del futuro. E’ subito bagarre ad uso e consumo di televisioni, giornali e social networks, in direzione 4 Marzo, data delle prossime consultazioni.
Renzi, leader di un PD sempre più a pezzi e in crollo nei sondaggi, continua a mettere in mostra il suo distacco profondo dalla realtà. Continuando a parlare unicamente alle fasce più ricche e potenti della società che sembrano sostenerlo sempre meno, lancia il modello Macron come riferimento per il suo ritorno sulla scena. Nel frattempo, ultimo dei giapponesi, rivendica l’azione di un governo che ha sistematicamente devastato il mondo del lavoro e della formazione, mentre destinava miliardi e miliardi di risorse pubbliche al mondo dei banchieri e dei grandi costruttori edilizi.
Intanto ancora una volta, bollando come assistenzialismo il minimo sindacale che i CinqueStelle vogliono assegnare tramite la loro versione di “reddito di cittadinanza”, il PD ribadisce l’impronta completamente neoliberista della sua filosofia politica, così come la sua scarsa capacità di immaginare solamente una retorica adatta per la realtà che lo circonda. Risultato, l’auto-rinuncia a conquistare un determinante voto giovanile sempre più appannaggio dei grillini.
Berlusconi, ormai sempre più soverchiante su Salvini, legge l’aria che tira, parlando di una campagna elettorale centrata unicamente sullo scontro tra cdx e M5S. A pochi anni dalla sua estromissione a colpi di letterine da parte di Draghi e Juncker, l’uomo di Arcore prova a tornare garante della stabilità del sistema paese in chiave anti-grillina, descrivendo il PD come inadatto a questo ruolo. Intanto, capendo di non poter star fuori dalle chiacchiere su varie opzioni di redditi di base che – in una discussione che più al ribasso non si può – caratterizzeranno la prossima campagna elettorale, lancia l’idea del reddito di dignità per le “famiglie povere”.
Tra le promesse, anche quella di concedere un aiuto alle famiglie con animali domestici e un integrazione alle pensioni minime. Sparate che hanno un senso: il blocco di riferimento di Lega e Forza Italia sembra infatti sempre più identificarsi con quello degli ultrasessantenni, maggioritario in termini demografici nel paese. Un blocco sociale che potrebbe condurre il centrodestra alla vittoria, o quantomeno ad una posizione di forza nelle trattative del governo che verrà.
DiMaio intanto non perde l’occasione di battere un colpo in direzione della classe media bianca e rancorosa del paese, affermando di voler pensare prioritariamente al reddito degli italiani piuttosto che allo ius soli. Tra una rassicurazione agli Stati Uniti sulla natura iper-compatibile del M5S con le esigenze atlantiche e un colpetto all’anima complottista del paese dei social (vaccini, referendum su euro), i CinqueStelle tentano di legittimarsi come forza responsabile, in un clima interno da o la va o la spacca dato che dopo i disastri politici e mediatici della Raggi, questa sembra l’ultima occasione per i pentastellati.
Insomma, niente di nuovo sotto il sole dal fronte delle chiacchiere e della retorica, per rimanere almeno nel campo delle formazioni più accreditate per una vittoria finale. Quello che lasciano questi cinque anni è però un paese reale dominato dall’individualismo e dall’atomizzazione, dove la pervasività della ragione neoliberale si è diffusa ancora più in profondità all’interno delle giovani generazioni. Il rapporto Istat sullo stato del paese parla di una società sempre più invecchiata, dove il distacco dalla politica in tutte le sue forme è sempre più forte e dove solo il 4,3% delle persone in età di formazione secondaria ha partecipato ad una mobilitazione.
Una generazione che ha talmente interiorizzato la precarietà e una certa visione del mondo del lavoro che sembra avere sempre meno gli strumenti per poter anche concepire un suo ribaltamento. Questo anche in seguito ad una azione poliziesca che ha cercato di trasformare ogni questione sociale in questione di ordine pubblico, impedendo ogni possibilità di vertenza sociale di poter vincere ed affermare un precedente. Obiettivo cardine dei governi di questa legislatura è stato anche sconfiggere in ogni modo l’ipotesi che la lotta potesse pagare.
Quell’idea che invece si è sedimentata in quei lavoratori e quelle lavoratrici, sopratutto di origine migrante, che stanno conducendo lotte a livello molecolare in tantissimi luoghi di lavoro soprattutto nel Nord Italia, senza però riuscire a legarsi in maniera virtuosa con lotte sociali estese alle dimensioni territoriali. Un compito di lotta che rimane necessario per il futuro per chi ancora non si arrende in questo paese.
Sulla pelle dei migranti, sia sbarcati nel nostro paese sia ancora impegnati nel tentativo di raggiungerlo, si è giocata la costruzione del consenso delle forze istituzionali. Queste, nel nulla assordante delle polemiche social hanno provveduto anche ad inviare centinaia di soldati in Niger, con la scusa ufficiale di assistere il governo locale nella gestione dei flussi migratori e la motivazione reale di controllare quote delle risorse di un paese sempre più oggetto di conquista.
Controllo interno ed esterno si fondono in un unico dispositivo di governo. I duri attacchi di Renzi, Alfano e Minniti ai tentativi di generalizzazione delle lotte tentati dai movimenti di lotta per il diritto all’abitare, dove i migranti sono in prima linea, sono uno dei risultati più importanti in ottica sistemica realizzati dal governo. Il quale, legandone sempre più spesso le lotte alla questione dell’emergenza migranti, ha cercato coscientemente a confonderli all’interno di una narrazione orientata sulla paura, la paranoia, il rancore, liberando e sdoganando le peggiori pulsioni xenofobe della pancia del paese.
Lo stesso Renzi ha indicato al PD la necessità di non lasciare il governo del paese ai rancorosi, dimenticando che a produrre la devastazione dei tessuti sociali dei territori è stata in primis l’azione del suo governo. Non basterà però al PD alcun antifa-washing o qualche mancetta per recuperare il consenso perduto in questi cinque anni, che hanno devastato in maniera profonda un partito che da tentativo di diventare sistema probabilmente ne diventerà articolazione minoritaria nelle camere.
Da parte nostra il compito sarà tentare di trasformare il più possibile questo rancore in sana ostilità verso ogni tentativo di costruire una nuova fase di stabilità politica. Qualunque esito deriverà da questo teatrino elettorale a venire, a prescindere dalla formazione di un governo o meno, avrà come obiettivo la pacificazione sociale e la gestione di una società sempre più diseguale e immersa nelle contraddizioni. Che toccherà a noi cercare di fare esplodere.
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