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Sul 15 ottobre

Abbiamo aspettato qualche giorno prima di prendere parola sui fatti del 15 ottobre, abbiamo aspettato che scemasse l’infame e strumentale attenzione dei media su quella giornata, abbiamo aspettato che “La Repubblica” tornasse al suo sterile anti-berlusconismo, ma soprattutto abbiamo aspettato per non rischiare di commentare a caldo una giornata così importante.

 

“United for Global Change”. E’ così che è stato chiamato il 15 ottobre, la giornata mondiale di mobilitazione lanciata dalle “acampadas” spagnole contro la crisi economica e i piani di austerity imposti dai mercati e dalla finanza mondiale (Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea su tutti). Una giornata che ha visto scendere nelle strade di ben 82 paesi del mondo, da Madrid a Roma, da Tunisi ad Algeri, dagli Usa al Cile, centinaia di migliaia di persone. Quasi mezzo milione solo a Roma.

 

Una manifestazione oceanica, quella di Roma, che ha visto una composizione sociale molto eterogenea. Insieme ai tanti movimenti sociali e alle lotte reali che hanno attraversato il paese in questi mesi, abbiamo rivisto in piazza quella generazione senza futuro (studenti, ricercatori e precari di ogni risma) che per tutto lo scorso anno ha creato non pochi grattacapi a questo governo, quella che è stata probabilmente l’unica opposizione reale a dispetto di una “opposizione” parlamentare assente e anch’essa completamente assoggettata ai diktat della finanza mondiale. Eppure, rispetto alle mobilitazioni dello scorso anno, il 15 ottobre ha rappresentato un salto di qualità: a questa componente sociale, infatti, si è andata a saldare tutto quel ceto medio che, sotto i colpi delle politiche di austerity, si trova in via di proletarizzazione, dando così vita ad una vera e propria ricomposizione di classe.

 

Ma se da una parte vanno sottolineati i numeri e la composizione sociale estremamente eterogenea, dall’altro lato vanno sottolineati i contenuti radicali che quella giornata ha portato in piazza. Quei contenuti che ai media non è parso vero poter oscurare con la solita litania dei black-bloc (parola che non ha nessun significato, frutto di una distorsione giornalistica).Rifiuto del debito, diritto all’insolvenza. Queste le principali parole d’ordine che risuonavano in quella piazza. Da una parte, quindi, il rifiuto di pagare un debito che non abbiamo certo contribuito a creare. Dall’altra, il diritto alla bancarotta per precari, cassintegrati, disoccupati non in grado di saldare i pesanti mutui che sovrastano le loro vite,  e cioè il diritto di non pagare senza vedersi arrivare pignoramenti da quelle agenzie di riscossione, come Equitalia, a cui il governo concede sempre maggiori poteri. Contenuti radicali, quindi, che parlano direttamente di una totale irrappresentabilità di questo movimento.

 

Come anticipavamo, questi contenuti sono stati strumentalmente nascosti dai media. Infatti, ogni qual volta assistiamo ad un radicalizzarsi delle pratiche di conflitto sociale, su Tg e giornali va in scena il solito spauracchio dei Black Bloc. E’ su questo facciamo qualche considerazione e precisione. Premesso che non siamo giudici e non ci interessa emettere condanne, pensiamo che le azioni autoreferenziali e di auto-rappresentazione del conflitto fine a se stesso siano stupide e dannose, nonché pericolose per l’incolumità delle persone che manifestavano dato il modo con cui sono state effettuate. Ci riferiamo agli episodi accaduti ad inizio corteo i Via Cavour. Infatti bruciare una macchina a lato di un corteo di migliaia di persone oltre che stupido è chiaramente pericoloso.

 

Detto questo, non possiamo non denunciare ancora una volta la criminale gestione dell’ordine pubblico. A pochi metri da piazza San Giovanni, infatti, diversi blindati con idranti, lanciati ad oltre 60kmh, hanno fatto irruzione nel mezzo del corteo, spaccandolo in due. Davanti ai pericolosi caroselli inscenati dalle forze dell’ordine è arrivata la risposta compatta della piazza che ha cercato come poteva di respingere la Polizia. Per quasi 4ore, migliaia di persone, hanno resistito alle cariche delle forze dell’ordine. Sia chiaro, nulla a che vedere questo, con le azioni autoreferenziali di inizio corteo. La battaglia di piazza San Giovanni ha visto la determinazione e la rabbia di migliaia di persone nel respingere l’arroganza della polizia, nel respingere un presente fatto di tagli, precarietà e austerity. Ha visto una generazione precaria che ha ben stampato nella mente le rivolte arabe, gli assedi greci ai palazzi del potere, i riot inglesi, una generazione che vede nella rivolta l’unica via d’uscita da questa crisi, una generazione, come già detto, che va a ricomporsi con un ceto medio in via di proletarizzazione e che non è racchiudibile nei recinti della rappresentanza.

 

A piazza San Giovanni noi c’eravamo, complici e solidali!

Que se vayan todos!

 

csoa Tempo Rosso – Pignataro Maggiore – Terra di Lavoro

 

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