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Territori, conflitti, beni comuni: invertiamo la rotta partendo dalle periferie!!!

Parlare di meridione, parlare di una pratica del conflitto a sud, a 150 anni

dall’Unità d’Italia, non è, né dovrebbe essere mai, puro e semplice esercizio

declinativo sui luoghi comuni della subalternità e dell’idea di altri sud

possibili.

Premettiamo che un utile indicazione per un altro sud possibile, per quanto ci

riguarda, è quella che viene dai paesi del nord Africa liberati da vere e

proprie rivoluzioni, sulla spinta del proletariato giovanile, dei precari e dei

lavoratori della nuova economia, con un’ottica del tutto nuova e soprattutto di

classe.

Ecco, il primo nodo da sciogliere è proprio questo, praticare conflitto a sud

e interconnettere le pratiche del conflitto stesso con le celebrazioni

ufficiali dei 150 anni di Unità è, e questo deve essere chiaro, una delle tante

facce del prisma della lotta di casse. Non quindi amarcord neoborbonico né,

tantomeno, la solita ritrita cantilena del sud povero e subalterno. Ci preme,

quindi, partire proprio da questo: dal dato palese, cioè, che il Meridione, ad

oggi, si riconferma terreno di sperimentazione sul piano dell’attacco alla

classe, e le periferie più remote sono, a loro volta, sperimentazione nella

sperimentazione dei nuovi modi di sfruttamento e di riproduzione della morsa

del capitale.

Crediamo, anzi ne siamo convinti, che il Meridione sia centro di accumulazione

di ricchezze enormi, altro che povertà, ricchezze che il capitale raccoglie

mettendo in piedi meccanismi di camaleontismo rispetto ai territori, facendo si

che nuove forme di dominio, per lo più agenti nella sfera della criminalità

organizzata, non siano un’anomalia, bensì la declinazione naturale del

capitalismo sul nostro territorio.

Questo il punto centrale della nostra narrazione, tocca a noi dare risposte

per l’organizzazione del conflitto sociale e della lotta di classe sul

territorio meridionale. Cosa e come fare, insomma, per dotarci di strumenti

atti a mettere in piedi, creare, diffondere conflitto nella nostra terra.

A questo punto si aprono una serie di interrogativi e di problematiche che, a

partire della crisi globale, dalle nuove insorgenze nel mediterraneo, ci

restituiscono uno scenario che è meglio avere ben nitido al fine di poter fare

del terreno della crisi ambito di agire politico antagonista.

La nostra esperienza parte appunto dalla realtà che viviamo e in cui ci

troviamo ad operare. E’ da tempo, ormai, che rivendichiamo una specificità

della provincia, apparente periferia del sistema.

Nel Meridione, ed in Italia in genere, i grandi centri metropolitani non

rappresentano la forma tipica dell’organizzazione politica e socio-economica,

anche se, in nessun caso, commetteremo l’errore di sottovalutarne l’importanza

e la centralità.

Tuttavia, il Sud ci sembra caratterizzato dall’estrema frammentazione sociale

e territoriale: piccoli centri, spesso rurali e montani, ottimali per il

“divide et impera” del capitale. Il primo problema, dal punto di vista delle

lotte, è proprio l’emancipazione da questa configurazione a “tenuta stagna”, è

l’interrogarsi su come riuscire a rompere le gabbie sociali, antropologiche, a

volta post-tribali, che ci vedono rinchiusi in micro-comunità isolate tra di

loro.

Da antagonisti ci preme quindi, come primo passo, essere capaci di creare

“capillarità” sui territori, essere in grado di mettere in piedi iniziative e

percorsi che possano diventare polo catalizzatore di insorgenze distribuite sul

territorio. Tradotto in soldoni, significa che, oltre al lavoro dei compagni

nelle metropoli, sia necessario in questa fase, e soprattutto al Meridione,

avere l’ambizione creare movimento, radicamento e lotta politica anche fuori

dalla grande città. Praticare conflitto per creare immaginario, ma anche di

ribaltare l’assioma in “creare immaginario per praticare conflitto”!

E’ vero che il meridione è, ad oggi, ancora chiuso in logiche di divisione, ma

è stato anche capace di palesare l’estrema capacità conflittuale, partendo

appunto dalle periferie più remote. Il caso di Terzigno è solo l’ultimo e forse

il meglio rappresentativo di tutto ciò.

Per questo motivo abbiamo deciso di chiamare, per il 17 marzo, all’iniziativa

su tutti i territori, per cominciare a ragionare sul serio sulla necessità di

essere polo attrattivo per le insorgenze del proletariato giovanile e delle

comunità territoriali. La difesa dei beni comuni è l’esempio lampante, ma

troviamo esempi ed esperienze significative anche riguardo alla rivendicazione

del reddito (come ad Acerra), alla lotta per il diritto all’abitare, al nuovo

welfare.

E’ necessario per noi condividere l’analisi sulle province e periferie

meridionali, è questa la nostra storia, ed è forse un “salto di qualità” quello

che abbiamo fatto, producendo pratiche, analisi e impostazioni antagonistiche

fuori dal territorio metropolitano e cittadino tout court, per declinarlo nelle

periferie rurali o post-rurali. Per fare ciò non abbiamo mai cessato di

coltivare le relazioni con il centro metropolitano, di militare nel movimento

“in città”, di difenderlo e sostenerlo ad ogni occasione. Riconosciamo,

ciononostante, il nostro maggiore contributo nell’aver portato la pratica

dell’autonomia, dell’autorganizzazione sociale, nella provincia casertana.

Per noi non è un caso che il capitalismo-mafioso che agisce a sud trova in

questi territori il suo habitat prediletto, come testimonia il caso clan dei

casalesi in provincia di Caserta o, ancora, i fenomeni “n’dranghetisti ” in

Calabria. E’ qui, nelle campagne più remote, che il capitalismo sperimenta

pioneristicamente nuove applicazioni di se stesso. E’ qui, a Castelvolturno,

che un’enclave di oltre 20mila africani viene tenuta in condizioni di schiavitù

per un accumulo di capitale senza pari; è qui che viene aperta la discarica di

Ferrandelle che ha letteralmente “fagocitato” la prima emergenza rifiuti in

Campania, è qui che l’onorevole Cosentino riesce a far costruire una centrale

da 800 megawatt sulle sue terre con un intrallazzo “bipartisan” che vede da un

lato Cosentino e i casalesi, dall’altro aziende municipalizzate modenesi legate

ai DS prima, al PD poi, proprio a sottolineare che il problema non è nord-sud o

Italia Unita-Regno delle due Sicilie, il problema era e resta di classe, e

secondo una logica di classe va affrontato.

È in questi territori che ci tocca creare “appigli”, immaginario, sono queste

terre che vanno indagate e che sono a buon diritto linea di trincea nello

scontro tra capitale ed oppressi. Ad oggi manca un intervento specifico, una

capacità e un percorso lineare che possa catalizzare la voglia di

emancipazione, di riscatto e di insorgenza delle comunità meridionali.

Questo il senso del nostro documento sul 17 marzo, la volontà di cominciare

con un progetto specifico e di prospettiva sulla costruzione di percorsi a

livello periferico. Dobbiamo essere capaci di dare a tutte le comunità sparse

sul territorio meridionale una possibilità, un senso di appartenenza affinché

si possa attaccare verticalmente, dal basso verso l’alto, la nostra controparte

soprattutto qua al meridione.

Come compagni casertani ci ritroviamo a dover fare i conti con questo scenario

ormai da 12 anni e la data del 17 Marzo resta in piedi proprio nell’ottica di

voler lanciare il sasso, di gridare la possibilità di un altro sud che sappia

partire dai territori e dalle loro specificità, dai conflitti, dalla difesa dei

beni comuni. Questo il terreno di gioco per invertire la rotta, per imporre dal

basso alla controparte l’agenda per la costruzione di un nuovo welfare, e non

per subire dall’alto verso il basso i percorsi di sfruttamento e di dominio del

capitale. Crediamo fortemente nella necessità di investire a livello della

comunicazione e della pratica conflittuale su quanto si muove a Sud. Siamo

convinti che la nostra condizione è la stessa di migliaia di giovani proletari

in tutto il meridione, isolati, loro malgrado, in piccoli centri e quindi

mutilati della possibilità di sentirsi parte integrante di insorgenze

conflittuali, di un movimento, su di un piano più generale. Per questo possiamo

e dobbiamo ragionare sul ruolo dei social network nelle rivoluzioni del nord

Africa, dobbiamo cioè saper utilizzare, allo scopo di creare rete nei

territori, tutti gli strumenti di cui abbiamo disponibilità, ribaltando, in

questo caso, anche la subalternità proletaria rispetto ai nuovi mezzi di

comunicazione di massa.

Bisogna rilanciare in avanti sulla difesa dei beni comuni, sulla lotta per il

reddito, la casa, il nuovo welfare e da questi processi non possiamo e non

dobbiamo tenere fuori le periferie, le campagne e i territori di quella

provincia diffusa di cui altri, ad esempio da prospettive di destra e nordiste,

hanno afferrato l’importanza politica e strategica.

Dobbiamo anzi essere capaci di saper costruire percorsi che possano essere

assunti e riprodotti ovunque, che si diano come catalizzatori per quanti sono

sul sentiero della creazione di conflitto, di emancipazione e di una nuova idea

di Meridione.

…rompere gli argini, travolgere tutto!!!!

 

i/le compagn*

del Csoa Tempo Rosso

No-Workers Terra di Lavoro

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