Una “ordinaria” storia di maltrattamenti sul lavoro nel field marketing
Riceviamo e pubblichiamo questa testimonianza che ci è stata mandata su un’esperienza lavorativa non certo edificante.
Diamo un po’ di contesto a quanto leggerete di seguito: l’azienda di cui si parla è la Field Marketing SRL: si tratta di una agenzia che fornisce modelli e promoter per servizi di Testimonials, serate ed eventi e offre servizi quali Ufficio Comunicazione e Immagine e Ufficio Stampa. Una delle tante aziende che si occupa sostanzialmente del reclutamento di giovani per promuovere prodotti all’interno di esercizi commerciali, eventi ecc…
I fatti che vengono raccontati di seguito avvengono a Roma, in una profumeria della catena Sephora all’interno di un centro commerciale.
L’azienda Field Marketing SRL ha pubblicato la mattina stessa del 16 giugno un annuncio dove esprimevano l’esigenza di una promoter da mandare in profumeria dalle 11 alle 20; prevista un’ora di pausa pranzo.
Avendo annullato altri programmi quel giorno, dò la mia disponibilità pur non avendo mai svolto questo specifico incarico. Nel dichiararlo alla referente, ho fatto presente che avevo però svolto altri lavori affini che necessitavano delle stesse competenze: professionalità, cordialità e ottimo rapporto con i clienti.
La referente procede allora nel mandarmi una serie di documenti che sarebbero serviti a prepararmi. Documenti che mi sarei studiata meglio durante la pausa pranzo, data la mancanza di tempo. Questo perché la profumeria in questione aveva delle esigenze estetiche di presentazione, che per essere soddisfatte da me, richiedevano del tempo materiale per procurarmi l’occorrente.
Fatto presente l’eventuale ritardo alla referente, che in quel momento era cambiata, questa mi rassicura dicendo che avrebbe provveduto lei ad avvisare il negozio.
Arrivo così in negozio con mezz’ora di ritardo (che avrei recuperato durante la pausa pranzo, a quel punto ridotta a mezz’ora) ed inizio il mio lavoro. Vengo supportata dai colleghi ai quali chiedo consigli. Li metto in pratica e lavoro fino alle 13:00.
Mi permetto a quell’ora di chiedere una pausa pranzo, perché essendo incinta ho delle esigenze impellenti che non sono tenuta a dichiarare ai datori di lavoro. Quel giorno in particolare ero in piedi dalle 5:30 e fino ad allora avevo mangiato solo una barretta: mi sentivo di svenire.
La responsabile del negozio mi attacca verbalmente, vessandomi pubblicamente davanti a tutto il personale e la clientela, facendo leva sul fatto che ero arrivata in ritardo, che non sapevo quale agenzia rappresentavo, la poca chiarezza su quale linea sponsorizzavo e in quel momento addirittura la “presunzione” di fare pausa pranzo.
A quel punto la invito cordialmente a ridimensionare i toni, le dico che se non fosse stato possibile pranzare in quel momento, sarebbe bastato semplicemente informarmi che avrei avuto la pausa più tardi. Perché così facendo non avrebbe incentivato il mio piacere di lavorare per loro. Ho fatto presente che così come avevo dato la disponibilità di imparare questo nuovo mestiere, l’avrei revocata se non mi fossi sentita rispettata.
La signora a quel punto sposta le colpe sull’agenzia che mi aveva mandata accusandola di non avermi preparata a dovere. Finisce quindi per darmi la possibilità di congedarmi.
Io scelgo di farlo.
Mi scrive allora allarmata l’agenzia invitandomi a restare perché altrimenti non li avrebbero pagati. Manifesto il mio disinteresse per i soldi e che a me sarebbe andato bene pure non prendere niente, perché infondo mi ero divertita, il lavoro infatti mi era piaciuto.
La prima referente, quella con cui ero in contatto inizialmente, sottolinea molto sgarbatamente che era chiaro che non mi avrebbe pagata e allude al fatto che non sarei mai più stata contattata… Non era chiaro se dall’agenzia che lei rappresentava o anche ad altre agenzie di sua conoscenza. A quel punto faccio presente che effettivamente io del tempo glielo avevo dedicato; legge vuole che quel tempo che dedico venga retribuito e che al limite se ne sarebbero occupati gli organi competenti di valutare se quei soldi mi erano dovuti.
Ho dato comunque la disponibilità alla referente più giovane, la seconda con cui ero entrata in contatto, di finire la giornata. Lei mi risponde che la profumeria l’aveva ormai annullata. Le ho manifestato che comunque volevo la mia retribuzione per aver lavorato dalle 11:30 alle 13; Tra l’altro ancora senza contratto firmato perché per loro esigenze impellenti non si è avuto modo e tempo di stampare, firmare e rimandare. Quindi io mi sono fidata dell’accordo verbale che era stato preso da entrambe le parti ed ho lavorato.
Loro comunque si sono rifiutati di pagarmi ed hanno addirittura attuato una campagna diffamatoria nei miei confronti per la quale io vengo espulsa da un gruppo di annunci di lavoro.
Io chiaramente ho contattato l’amministratore, spiegandogli l’intero quadro della situazione allegandogli le chat. Lui mi chiede scusa e mi reintegra nel gruppo, tuttavia non togliendo le fautrici di questa ignobile ingiustizia…
L’espressione del meraviglioso mercato del lavoro italiano.
La ragazza che ci ha contattato per condividere questa testimonianza ci ha mostrato gli screenshot delle chat con le referenti.
In questa storia appare chiara tutta la microviolenza ed ipersfruttamento che si annida in un settore lavorativo scarsamente regolato. In questo caso il conflitto organizzativo che è nato tra committenza ed azienda è stato scaricato su una lavoratrice che non aveva ancora neanche firmato il contratto e a cui non era stata somministrata neanche la formazione, per aver fatto una richiesta elementare: una pausa pranzo, per giunta ridotta. Poi gli stessi che propinano queste condizioni di lavoro inaccettabili sono quelli che vanno in tv a lamentarsi che i giovani non hanno voglia di lavorare…
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