Argentina. Estate violenta: criminalizzazione della protesta
Jujuy, Neuquén, Córdoba, Formosa, Salta, Mendoza e Chaco. Alcune delle provincie che durante l’estate sono state lo scenario di repressioni su contadini, indigeni e organizzazioni socio-ambientali. Sullo sfondo c’è la disputa per il territorio, dove imprese e governi avanzano su popolazioni che rivendicano il diritto di decidere riguardo il luogo dove vivono. Petrolio, miniere, modello agropastorale e affari immobiliari. Due fattori presenti: l’aumento delle rivendicazioni sociali e la complicità del Potere Giudiziario nella violazione dei diritti. La Presidente ha contestato i blocchi delle strade e il governatore di Misiones ha agito di conseguenza.
Jujuy
Gennaio è cominciato con il grande apparato pubblicitario del Rally Dakar. Inviati speciali di canali televisivi, ampia copertura di quotidiani e di imprese automobilistiche con generose righe. “La festa dell’automobilismo”, è stato uno dei titoli ricorrenti. 575 partecipanti che hanno attraversato l’Argentina, il Cile e la Bolivia. Ogni giorno c’è stata una notizia. E i corridori sono stati intervistati come gladiatori della libertà.
Il 12 gennaio, a Rumi Cruz (Jujuy), delle comunità indigene hanno commesso il peccato di richiedere che venisse osservata la legge: per ogni atto che danneggi i popoli indigeni ci deve essere una consultazione, e si deve esercitare il diritto alla consultazione, libera, preventiva e informata. La corsa attraversava il territorio comunitario, e i popoli Kolla e Omaguaca hanno reclamato il proprio diritto. È sopravvenuta la repressione. La polizia provinciale ha picchiato i manifestanti e ha arrestato dieci persone. Due dei detenuti erano giornalisti (Armando Quispe, di FM Pachakuti, e Sergio González, di FM Luna Azul).
Una settimana dopo, il 20 gennaio, il portavoce indigeno Armando Quispe è stato gettato al suolo dalla Fanteria di Jujuy, ammanettato e arrestato per una “verifica dei precedenti”.
“Dopo la repressione della Dakar, la polizia persegue un giornalista indigeno”, ha denunciato in un comunicato il Coordinamento per la Comunicazione Audiovisiva Indigena Argentina (CCAIA) e ha precisato che “Quispe sta venendo perseguitato dalle forze della sicurezza provinciale per impedirgli di portare avanti normalmente le sue attività di militante dei diritti indigeni”.
Neuquén
È una pratica storica la transumanza che avviene nel nord neuquino. Le comunità si trasferiscono con i propri animali nei campi di “veranada” (estivi, ndt) durante i mesi di caldo e tornano in quelli di “invernada” (invernali, ndt) all’inizio dell’autunno. La camminata può durare fino a dieci giorni. Ma nell’ultimo decennio hanno incominciato a moltiplicarsi i problemi per l’avanzata imprenditoriale sui campi di veranada.
Il 6 gennaio le comunità mapuche Felipin, Cayupan e Paineo sono state aggredite quando erano nei campi di veranada (nella sierra di Catán Lil, al centro del Neuquén), sono stati minacciati verbalmente e con spari in aria da dipendenti dell’impresario Pedro Chaparro, che vuole le terre mapuche. “Ci hanno bloccato il passo con tre palizzate, lungo un cammino hanno fatto una buca gigantesca affinché non potessimo entrare con gli animali né con i veicoli e ci hanno bruciato tre rukas (alloggi di veranada)”, ha spiegato Juan Romero, dirigente mapuche di Zapala. Hanno bruciato anche il rewe (luogo sacro delle cerimonie).
Il Gruppo Diocesano della Pastorale Aborigena (Edipa) della Diocesi di Neuquén, attraverso un comunicato, ha ricordato che dall’inizio del 20° secolo fino ad oggi “il territorio indigeno è stato invaso da proprietari agricoli e imprese. Non c’è mai stata una azione decisa e concreta da parte dello stato a favore delle popolazioni indigene per tutelare i loro diritti”.
Il Quotidiano Río Negro (uno di quelli di maggiore tiratura della Patagonia) ha avuto una peculiare interpretazione dei fatti: “Violento ingresso di mapuche in un campo privato”.
Il 9 gennaio, la Corte di Zapala ha sentenziato a favore delle comunità mapuche e ha ordinato all’impresario Chaparro di bloccare le opere nel campo di veranada.
Un altro punto focale storico di conflitto sta nell’avanzata delle imprese petrolifere, ma che si è accentuato con lo sfruttamento della formazione geologica Vaca Muerta con venti pozzi petroliferi delle imprese Gas y Petróleo (GyP) di Neuquén e Petrobras. Il 1 marzo, Enrique Muñoz è stato arrestato per aver bloccato il passo alle imprese petrolifere. Protestava per la morte degli animali a causa della contaminazione e per il non rispetto della GyP riguardo le riserve d’acqua.
Senza maggiore fortuna è il popolo Mapuche, che subisce le imprese petrolifere da quando si estrae petrolio a Neuquén, ma evidenziato dalla scoperta di Vaca Muerta. La Confederazione Mapuche di Neuquén ha contato almeno 29 comunità che vivono sulla formazione geologica petrolifera.
Il 9 febbraio, nove comunità hanno emesso un comunicato con un titolo esplicito: “Una situazione territoriale insopportabile”. Descrive la violazione di una numerosa legislazione indigena e avverte sull’aumento delle conflittualità. “Abbiamo cercato in tutti i modi di essere ascoltati dalle autorità provinciali. Siamo delle comunità mapuche preesistenti allo stato, all’YPF (…) Ci riunisce un’urgenza prioritaria, i nostri territori minacciati e invasi. Mentre vediamo che la nostra terra comunitaria è aperta e attraversata da sentieri, condotte e strade interne per il transito della tecnologia petrolifera, la nostra economia si impoverisce ogni giorno di più”, denunciava.
All’inaugurazione del periodo legislativo provinciale, il 1 marzo, il governatore Jorge Sapg ha dato un chiaro segnale. Ha annunciato che nel 2014 “gli investimenti sul gas e sul petrolio saranno di 6 miliardi di dollari” e si è rivolto contro i popoli originari: “Quando appaiono degli investitori appaiono le proteste. Molte persone che si auto-denominano mapuche. Non permetteremo che sia vanificato un progetto affinché alcuni si approprino delle risorse. Noi parleremo solo con i lonko (capi, ndt), non parleremo con la Confederazione Mapuche perché non rappresenta i lonko”. Ha anche avvisato che porterà avanti una riforma del Codice Processuale Penale con l’obiettivo di aumentare la detenzione preventiva. “Molte volte la libertà dell’imputato mette a rischio la pace sociale che è l’obiettivo primario della giustizia sociale”, ha giustificato Sapag.
Córdoba
A giugno del 2012 la Presidente ha annunciato l’installazione di un impianto dell’impresa Monsanto (il “più” grande del Latinoamerica”) nella località di Malvinas Argentinas, nei dintorni di Córdoba Capitale. La località è circondata da campi transgenici e fumigati. Immediatamente ha cominciato ad organizzarsi l’Assemblea degli Abitanti Malvinas Lotta per la Vita. Chiedono che la popolazione decida se vuole come vicino il megaimpianto.
L’ 8 gennaio, la Seconda Sala della Camera del Lavoro di Córdoba ha dato luogo ad una azione di tutela presentata dagli abitanti e ha ordinato al municipio di bloccare le opere della multinazionale. Alla base c’era la necessità di contare sullo studio di impatto ambientale e sulla realizzazione di un’udienza pubblica.
Un mese dopo, il 10 febbraio, il governo provinciale ha respinto lo studio di impatto ambientale. “La documentazione di sostegno (dello studio della Monsanto) è insufficiente, ripetitiva e senza approfondimenti tecnici necessari per rispondere adeguatamente ai vincoli”, afferma il parere della Segreteria dell’Ambiente della provincia di Córdoba.
Il 20 febbraio, durante un corteo di fronte al Municipio di Malvinas Argentinas, gli abitanti sono stati repressi dalla polizia provinciale. Gas al peperoncino, proiettili di gomma e una decina di feriti.
Formosa
La comunità qom Potae Napocna Navogoh (La Primavera) ha lamentato un’altra morte. Il 12 gennaio un bebè nato di recente, figlio di Rubén Díaz e Beti Miranda. Hanno aspettato l’ambulanza per cinque ore. Hanno denunciato che la medica del CIC (Centro Integrale Comunitario) della comunità non ha voluto fornire assistenza medica e hanno affermato che l’ospedale di Laguna Blanca (la città più vicina) ha tardato nell’invio dell’assistenza.
Rubén Díaz è un attivo militante della causa qom. La comunità ha denunciato l’abbandono, i maltrattamenti e la discriminazione regnante nella provincia, che si sono presi un’altra vita.
Il 1 marzo, dei creoli sono entrati nella comunità per estrarre in modo illegale del legname. Membri della Primavera hanno chiesto che si ritirassero, ma la risposta sono state minacce e spari in aria. “Sono andato a denunciare i fatti alla Gendarmeria, guidata dal sottotenente Pérez, e alla polizia, guidata dall’ufficiale Leguizamón, ma non hanno voluto intervenire. Le forze di sicurezza non vogliono ricevere le nostre denunce”, ha messo in guardia Félix Díaz, qarashe della comunità.
Salta
Il 20 gennaio, un centinaio di poliziotti della località di Cachi ha represso la comunità diaguita Las Pailas. Dal 2010, la comunità ha un conflitto territoriale con l’impresario immobiliare Carlos Robles, che vuole la terra della comunità. Non riconoscendo il diritto indigeno internazionale (Trattato 169 dell’OIL) e nazionale (Legge 26160, proibisce l’allontanamento delle comunità), la procuratrice Gabriela González (Procura Penale 4 di Salta) ha sollecitato lo sgombero. Durante l’operazione sono stati arrestati nove membri della comunità.
Il giorno successivo l’operazione è continuata. La polizia ha scortato l’impresario per collocare un cancello e impedire l’accesso degli indigeni al terreno e hanno distrutto il capanno e la biblioteca della comunità. Il commissariato di Cachi si è rifiutato di ricevere la denuncia. Due giorni dopo, il giudice Héctor Martínez ha riconosciuto il diritto della comunità e ha ordinato all’impresario di togliere il cancello che aveva collocato sul sentiero comunitario. Ma il privato non ha riconosciuto la sentenza e ha mantenuto il cancello.
Due settimane dopo, un altro giudice (Carolina Sanguedolce) ha ordinato uno nuovo sgombero della comunità Las Pailas. In questo caso, su richiesta di un cittadino svizzero che ha dimostrato di aver comprato nel 2013 parte del territorio che utilizza la comunità. “Vediamo una volta di più come la Giustizia faccia orecchie da mercante alle legittime proteste di rispettare pienamente i nostri diritti come popoli originari preesistenti”, ha protestato la comunità Diaguita Calchaquí.
Mendoza
“Appropriazione indebita e tentato omicidio”, ha messo in guardia il comunicato dell’Unione dei Lavoratori Rurali Senza Terra (UST), di Mendoza. È accaduto il 9 febbraio, dopo che in due occasioni avevano sparato contro delle famiglie contadine delle località Jocolí Norte e La Estación (dipartimento di Lavalle). Si tratta di un conflitto su delle terre di famiglie che da più di quarant’anni vivono sul luogo e un ex sottocommissario (Esteban Rivas) che dichiara di lavorare per una impresa proprietaria del luogo.
La notte del 9 febbraio un giovane assegnatario è stato attaccato con spari nel campo della comunità. Gli spari provenivano da un’auto della polizia. Un’ora dopo, hanno sparato contro l’abitazione degli assegnatari. I contadini hanno cercato di fare la denuncia, ma nella Procura e nel commissariato locale gli è stata rifiutata. “Gli attacchi vengono fatti con la complicità dei membri del sottocommissariato di El Porvenir”, ha denunciato l’UST.
Chaco
“Non è che io sia buono, ma che gli altri sono peggiori”. Frase che, parole più o parole meno, si è soliti attribuire a Juan Perón e che attualmente potrebbe dire il capogabinetto, Jorge Milton Capitanich, riguardo il suo successore nel Chaco: Juan Carlos Bacileff Ivanoff, che ha dei meriti per posizionarsi nel ranking dei repressori dell’Argentina. In solo due mesi, nel Chaco ci sono state cinque repressioni.
Il 7 gennaio c’è stata la repressione degli indigeni che avevano occupato delle terre nella località di Makalle. L’ 11 febbraio la repressione è avvenuta nella piazza principale di Resistencia, contro organizzazioni sociali, indigeni e contadini che chiedevano piani sociali e costruzione di case. Il 19 febbraio è stato il turno della località di Pampa del Indio, con decine di indigeni qom feriti. Il 24 febbraio, il Fronte Popolare Darío Santillán ha denunciato che sono stati repressi di fronte al Ministero dello Sviluppo Sociale del Chaco. E il 3 marzo la violenza ha avuto il suo epicentro nel Quartiere Toba di Resistencia.
La violenza a Pampa del Indio ha avuto delle particolarità. Le comunità indigene e contadine hanno bloccato la strada provinciale 3 (a 200 chilometri da Resistencia) chiedendo acqua, assistenza sanitaria e cibo. Il governatore Bacileff Ivanoff ha ordinato di sgomberare la strada. Almeno 30 manifestanti feriti (da proiettili e con contusioni). E cinque qom arrestati durante una settimana.
Nella prima settimana di marzo la protesta si è spostata a Buenos Aires, quando contadini, indigeni e organizzazioni sociali hanno denunciato il processo repressivo che si vive nel Chaco. Alla chiusura di questa edizione, continuava l’accampamento a Plaza de Mayo, senza risposte del Governo Nazionale.
In una conferenza stampa, il 12 marzo, il governatore Bacileff Ivanoff ha descritto gli indigeni del Chaco: “Io ho vissuto con loro, sono stati sempre pacifici. Ora motivati da interessi meschini, da gente che appare da Buenos Aires creando delle ONG che li usano per i blocchi di strade e quant’altro”.
Tempi nuovi
Congresso Nazionale. Sabato 1 marzo. Inaugurazione delle sessioni legislative. La Presidente concede un discorso di quasi tre ore. Due concetti direttamente legati alla conflittualità: ha celebrato il superamento della frontiera agropastorale (che implicherà l’avanzamento sui territori contadini e indigeni) e ha messo in discussione i blocchi delle strade. “Dovremo tirar fuori alcune norme riguardo la convivenza cittadina, perché non può essere … non può essere che dieci persone ti blocchino una strada, per quante ragioni attendibili abbiano. Non può essere. E che non succeda nulla”, ha affermato la Presidente.
In senso contrario rispetto la prima fase kirchnerista (quando aveva uno sguardo comprensivo e perfino di accompagnamento), i blocchi meritano una condanna. Nella sua allocuzione la Presidente ha guadagnato un alleato incomodo: due legislatori del PRO hanno applaudito esultanti. La legislatrice del PRO Laura Alonso ha applaudito in piedi.
Solo quattro giorni dopo, durante lo sciopero dei docenti, i maestri di Misiones e le organizzazioni sociali sono stati violentemente repressi dall’azione congiunta della polizia provinciale e della Gendarmeria Nazionale. Il delitto? Bloccare la strada 12. Una decina di feriti e di arresti. Le immagini mostrano i maestri distesi sull’asfalto, con agenti che li ammanettano e li colpiscono.
Il governatore Maurice Closs ha spiegato di fronte alle telecamere: “Sabato la Presidente ci ha chiesto pubblicamente di fermare questo metodo (blocco delle strade). In tutti questi anni abbiamo avuto moltissima pazienza”.
Né la Presidente, né nessun funzionario nazionale di prima linea, ha condannato la repressione dei maestri di Misiones. Non hanno condannato nessuna repressione di questa violenta estate.
Di Darío Aranda per Comitato Carlos Fonseca
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