Biopolitica del vaccino
di Andrea Fumagalli per Effimera
In questo testo[1] si denunciano alcuni nodi problematici nella produzione e distribuzione del vaccino anti-Covid19, esito del prevalere di interessi economici sul essere collettivo e dell’abbraccio mortale tra grandi case farmaceutiche e le istituzioni di governi che hanno il monopolio di vaccinazione. Non è una novità. La storia della medicina moderna, in particolar modo dei vaccini, ha assunto sempre più il carattere di un profittevole business economico: non sempre curare conviene. A differenza di altre malattie diffuse nei paesi poveri, puntare sulla ricerca vaccinale per il Covid è al centro delle attuali strategie biopolitiche di profitto. La posta in gioco è troppo alta e le mutazioni del virus potranno reiterare nel tempo la necessità della vaccinazione, incrementando i relativi guadagni. Soprattutto se i brevetti del vaccino rimarranno saldamente in possesso dell’industria delle Big Pharma
Una delle questioni al centro del dibattito pubblico è oggi il tema dei vaccini. Le istituzioni hanno il monopolio della vaccinazione, possono concederla o negarla: non esiste uno statuto dei diritti del vaccinando. Ed esiste la paura come sentimento diffuso, promosso anzi. Il vaccino potrebbe essere la risoluzione dell’epidemia Covid-19, lo strumento che ci consentirà di ritornare a una vita normale, sempre però mantenendo le dovute cautele, comportandoci responsabilmente e facendo ancora qualche sacrificio.
Il vaccino è l’illusione in grado farci sopportare le restrizioni che ci sono imposte, facendoci credere che non saranno per sempre. Ma non si distingue mai, nella comunicazione di stato, il provvisorio dal definitivo; sul punto prevale un’ambigua reticenza. In realtà il monopolio statale e l’oligopolio delle Big Pharma sul vaccino rafforza il dominio del capitale sulla vita umana. Si tratta di un rapporto squilibrato, dove il coltello dalla parte del manico è detenuto dalle Big Pharma. Sono loro che producono il vaccino e che dettano le condizioni per le forniture. Come è possibile che proprio lo strumento che – ci dicono – permetterà la sopravvivenza umana messa a rischio dall’epidemia Covid-19 possa essere considerato uno strumento di dominio e di controllo e non di liberazione?
Due sono le ragioni.
Tanatopolitica vs biopolitica
La prima ha a che fare con la tanatopolitica del capitalismo. Tale concetto non è antitetico ma è complementare al concetto di biopolitica. Tale coppia concettuale (biopolitica-tanatopolitica) ha rappresentato dalla rivoluzione francese in poi il tessuto sociale ed economico che ha innervato l’evolversi del capitalismo e dei rapporti sociali che lo hanno caratterizzato, a partire da quello tra capitale e lavoro.
Senza scomodare Foucault e Esposito, uno dei campi di sperimentazione più illuminante è quello sanitario e dell’immunizzazione. Nell’ambito dei settori sanitari e farmaceutici, con riferimento al segmento dei vaccini, Il Market Vaccine Report (https://apps.who.int/iris/handle/10665/311278 ) dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riporta che il mercato globale dei vaccini nel 2019 ha avuto un fatturato pari a circa 33 miliardi di dollari (29,5 miliardi di euro), corrispondente a 5,5 miliardi di dosi commerciate. L’offerta mondiale di vaccini è concentrata in cinque grandi multinazionali che generano il 90 per cento del valore delle vendite mondiali.
Si tratta dei giganti della farmaceutica Pfizer (Usa, 46,72 miliardi di fatturato), Merck (Usa, 36,83 miliardi di euro il fatturato), GlaxoSmithKline (Regno Unito, 34,2 miliardi di fatturato globale), Sanofi (Francia, 34,46 miliardi di fatturato), e Gilead Sciences (Usa, 19,3 miliardi i ricavi).
Nonostante vari interventi statali e internazionali per migliorarne la trasparenza, il settore dei vaccini e il mondo miliardario dei Big Pharma, capace di decidere la vita o la morte di milioni di persone e di far cadere ministri e governi, resta uno dei più opachi dell’industria farmaceutica. Anche perché la diffusione mondiale di questi prodotti si scontra con numerosi problemi: dalla struttura oligopolistica del mercato che, in certi territori, diventa monopolistica, alla necessità di passare attraverso sistemi rigorosi di garanzia di qualità e procedure di controllo e approvazione pubbliche molto restrittive.
Come riportato da Valori.it, produrre vaccini in grado di sradicare totalmente una malattia, come avvenuto nei decenni scorsi con il vaiolo, non è sempre conveniente. Nel 2018, il colosso finanziario Goldman Sachs ha pubblicato un rapporto che si chiedeva: «La cura dei pazienti è un modello di business sostenibile?». L’analista pensava che il trattamento di Gilead Science per l’Epatite C, che ha prodotto tassi di guarigione superiori al 90%, offrisse un ammonimento. Nel 2015 le vendite statunitensi di tale cura hanno consentito un fatturato di 12,5 miliardi di dollari. Tre anni dopo, il fatturato è diminuito a soli 4 miliardi di dollari, perché il «franchising di Epatite C ha gradualmente esaurito il pool disponibile di pazienti curabili». Curare non conviene.
Altrettanto noto è il caso della malaria. Questa malattia, particolarmente diffusa nei paesi a più alto tasso di povertà, è causata da 5 tipi di zanzare anofele. Il genoma del Plasmodium Falciparum (l’origine della malaria) è ben stato isolato e decodificato, ma gli investimenti necessari per trovare la combinazione di epitopi (determinanti antigenici) capaci di immunizzare efficacemente contro la malaria non sono stati sudfficienti.. Probabilmente per decenni la ricerca ha preferito concentrarsi sugli antimalarici, in grado di ridurre la mortalità (ogni anno circa 400.000 decessi, di cui l’85% è costituito da bambini di età inferiore ai 5 anni), così da non debellare definitivamente la malattia e quindi far prosperare il loro mercato. Come riportato su Avvenire lo scorso gennaio, solo recentemente, GlaxoSmithKline (con l’aiuto di un organismo non profit, Path’s Malaria Vaccine Initiative), ha prodotto un vaccino (denominato Mosquirix), che agisce contro (uno solo ma) il più comune e mortale delle cinque specie di parassiti che provocano la malaria. E’ stato, infatti, messo in sperimentazione di fase tre il vaccino RTS,S/AS01 de GSK Il processo di autorizzazione procede rallentato e deve comunque essere accompagnato dall’uso dei farmaci anti-malarici.
Non si tratta di casi isolati. Molto si potrebbe aggiungere sul perché non si sia fatto abbastanza per superare le difficoltà che impediscono, dopo quarant’anni, di sviluppare un vaccino per l’HIV (che ha provocato più di 35 milioni di decessi), nonostante il suo Rna sia stato decodificato, che è condizione necessaria ma non sufficiente. Esistono cure, spesso costose e non utilizzabili dalle popolazioni povere, le più colpite.
È la strategia del business sanitario privato: una strategia di tanotopolitica, per l’appunto. La cura delle persone passa anche per la loro selezione. Biopolitica e tanatopolitica sono così strettamente intrecciate, anche in ragione del parallelo geografico di riferimento, delle alleanze militari, delle ricchezze da conquistare e dei territori.
Il vaccino anti-Covid-19
Produzione, acquisto, disponibilità, distribuzione e applicazione dei vaccini sono oggi una questione centrale, politica-economica-militare. Sulla vaccinazione si gioca la partita del consenso, del potere. Per meglio comprendere le dinamiche e il business del vaccino anti-Covid, oltre a quanto appena scritto, bisogna tener conto di alcuni fatti particolari. Non sono dati assoluti, ma bisogna tenerne conto per meglio comprendere la logica politica dell’organizzazione delle vaccinazioni.
In primo luogo, occorre ricordare, che il Covid-19 è una malattia virale, con un tasso di mortalità diretto (nel senso che è la prima causa di morte) in relazione al numero delle persone contagiate assai ridotto. La maggior parte dei decessi, in relazione al numero delle persone contagiate: infatti, colpisce per i due terzi persone con tre o più patologie gravi pregresse (quasi il 67% secondo i dati dell’ISS italiano: e ciò concorre a spiegare come i decessi riguardano le persone più anziane. Non a caso il vaccino viene (o almeno dovrebbe essere) somministrato prima agli ultra-ottantenni per poi scalare versi le persone più giovani. Poiché l’ottantenne è spesso pensionato o meno produttivo: nella prima fase italiana le conseguenze sono state micidiali, trasformando le RSA destinate agli anziani in mattatoi sociali, senza, ad oggi, una sola rimozione dall’incarico pubblico e senza una sola condanna risarcitoria (tanto meno penale). Ma il rallentamento dell’economia non era tollerato, la produzione doveva continuare.
In un simile contesto, la ricerca di un vaccino che possa limitarne il contagio può essere facilitata anche se la sua sicurezza può essere compromessa dall’evoluzione stessa del virus. In un tempo molto veloce (circa 7 mesi) è stato così possibile sperimentare i primi vaccini anti Covid-19: tuttavia tale intervallo di tempo rischia di essere troppo breve per valutare a regime l’efficacia del vaccino stesso. Il vaccino anti-Covid 19 è quindi un vaccino particolare e per questi motivi (volatilità del virus e tempi stretti di preparazione) non è ancora arrivato alla sua finale definizione. Ciò, ovviamente, non significa che non sia efficace: infatti è sempre meglio farlo se si vuole proteggere sé e gli altri dal possibile contagio. Vuol dire solo usare le popolazioni come cavia. In Israele, paese che non ama l’ipocrisia e utilizza un linguaggio anche politico più prossimo alla brutalità che alla franchezza, il contratto di fornitura dei vaccini prevede (in forma di sconto) l’accesso delle Big Pharma ai dati statistici: la sperimentazione sui corpi umani non solo non viene nascosta, ma risulta rivendicata e trasformata in merce.
In secondo luogo, come scrive Marianna Mazzucato, nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione dei vaccini è stata riversata una quantità senza precedenti di fondi pubblici. Si stima che i sei candidati principali abbiano ricevuto 12 miliardi di dollari (circa dieci miliardi di euro, pari a un terzo del fatturato complessivo dell’industria dei vaccini) di denaro pubblico e dei contribuenti, di cui 1,7 miliardi di dollari (circa 1,4 miliardi di euro) per il vaccino Oxford-AstraZeneca e 2,5 miliardi di dollari (circa 2,1 miliardi di euro) per quello di Pfizer-Biontech. Questo livello d’investimenti rappresenta un enorme rischio, ma non è l’unico che il settore pubblico ha corso. I governi hanno usato degli “impegni anticipati di mercato” per garantire alle aziende private che sono riuscite a produrre un vaccino contro il covid-19 a essere ampiamente ricompensate con cospicui ordini.
La Tabella 1 ci indica l’ammontare dei pre-ordini a inizio 2021, pari a 14,080 miliardi di dollari, una cifra superiore all’investimento pubblico effettuato.
Ciò significa che i produttori di vaccini hanno ottenuto circa 12 miliardi di finanziamenti pubblici e 14 miliardi di pre-ordini da parte degli Stati Uniti e dall’Europa. Nelle loro casse, sono così entrati la bellezza di 26 miliardi di dollari, un incentivo più che notevole per mettersi al lavoro!
Tale coinvolgimento pubblico non ha però condizionato o imposto vincoli stringenti (ma solo trattative) sulle strategie di prezzo e di produzione dei principali produttori. Ogni impresa privata ha deciso il livello di produzione e il prezzo di vendita in modo autonomo, favorendo in tal modo una varietà assai ampia, a seconda delle finalità di profitto e dei mercati interessati.
La tabella 2 (tratta dalla BBC, fonte Unicef, Us Government, OMS) fornisce un quadro di tale variabilità. Si passa da costo di una dose tra i 4$ gli 8$ di Astrazeneca (vaccino, ricordiamolo, creato dall’Università di Oxford, con soldi pubblici ma in seguito sviluppato e distribuito privatamente dal gigante farmaceutico anglo-svedese) a Moderna, la cui dose, in alcune aree, tocca il prezzo di 37$.
Stesso discorso vale per le scelte di produzione, a seconda degli accordi presi con gli enti pubblici dei vari paesi. Il connubio pubblico-privato è stato sicuramente un fattore di accelerazione nei tempi di individuazione del vaccino, nel senso che i governi investono nelle prime e più rischiose fasi dell’innovazione sanitaria, prima che esista un mercato.
Si spiega così la possibilità per alcune Big Pharma di poter non ottemperare gli accordi siglati con la Comunità Europea nella fornitura dei vaccini. Accordi, peraltro, il cui contenuto è stato parzialmente secretato e non è disponibile. Si calcola tuttavia che il costo della penale sia inferiore, per singola dose, a quello spuntato nel mercato degli stati sovrani potenziali acquirenti. Alcuni paesi hanno rastrellato così vaccini sottratti a chi disponeva di un contratto precedente; il meccanismo evoca più il bagarinaggio dei concerti e del calcio che il libero mercato delle democrazie occidentali.
Altro fattore non secondario riguarda il possibile utilizzo dei brevetti sui vaccini. Allo stato attuale non esiste alcuna certezza che i vari brevetti possano divenire di pubblico dominio, anzi, nonostante che alcuni esperti (come Ellen ‘t Hoen, direttrice del gruppo di ricerca Medicines Law and Policy, che ha recentemente dichiarato che sarebbe stato poco saggio fornire finanziamenti alla ricerca del vaccino senza avere la garanzia di un brevetto pubblico: abbiano sollevato la questione, è probabile che non lo sia, a differenza di altri (come il vaccino cubano Soberana2, che è completamente pubblico, gratuito e privo di brevetti).
Dall’insieme di queste considerazioni, il business dei vaccini si presenta di elevatissima profittabilità per le Big Pharma. La regola dello Stato imprenditore è oramai consolidata: socializzazione dei costi di investimento al fine di favorire la privatizzazione dei profitti, secondo la logica del New Public Management
A questi lauti profitti, occorre poi aggiungere le rendite da capital gain che sono maturate sulle azioni di questi colossi farmaceutici. Giusto per fare un esempio, un’azione Pfizer veniva quotata a inizio marzo 2020 27$. Oggi ha un valore di 37$ dopo aver toccato anche punte sopra i 40$.
È questa situazione che spiega perché non vi è mai stata una vera guerra dei vaccini tra le imprese produttrici. Si tratta di una situazione favorita anche, sul piano geopolitico, dalla decisione di Stati Uniti e Europa di impedire l’entrata in questo business, del vaccino russo Sputnik e dei vaccini Cinesi.
A differenza del vaiolo, definitivamente debellato, la capacità del Covid-19 di trasformarsi (come qualsiasi virus) consentirà di protrarre nel tempo le opportunità di guadagno e di mercato. Mettendo le mani avanti ci hanno già abituato all’idea di doverci vaccinare ogni anno, ogni due se va bene. E la chiave delle vaccinazioni sta ben ferma nelle mani dei “tecnici”, naturalmente.
In cambio, i governi potranno utilizzare la permanenza costante della paura, il timore del virus, la delega senza condizioni alla cura per completare senza opposizione il piano di governance e di modifiche eccezionali, introducendo continui processi di deregulation, come è già avvenuto, ad esempio, per alcuni contratti di lavoro. L’assenza di norme diviene “la norma”, l’unico interprete è l’istituzione, ma senza certezze. Il relativismo della deregulation è un elemento fondante dell’assetto di controllo, mentre il monopolio del vaccino costituisce al tempo stesso fondamento di consenso e di potere. Ci abitueremo a vedere generali che svolgono compiti politici, accozzaglie di maggioranze di governo con a capo i “migliori tecnici” e ci assuefaremo a veder sempre più ridotti i nostri diritti di mobilitazione, di protesta, di movimento? Questo è il progetto politico “loro”. Vogliono una resa generale.
Più biopolitica di cosi.
P.S. In questa fase, occorre che si crei una mobilitazione in grado di contestare il monopolio della distribuzione del vaccino, con l’obiettivo di ribadire che il vaccino è un bene comune e che non può essere fonte di profitto, che occorre creare forme di auto- organizzazione del “comune” per la sua somministrazione: chi ha contrattato segretamente con le Big Pharma come si distribuisce, quanto costa, come si applica, chi controlla? Il vaccino, di fronte al pericolo di crepare, si fa potere, è arma di controllo. E noi dobbiamo sviluppare contro-potere.
[1] L’autore ringrazia Gianni Giovannelli, Cristina Morini e Gianfranco Pancino per aver migliorato e integrato una versione precedente.
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