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Coloni uccisi, ultradestra attacca palestinesi e presidente Rivlin

È esplo­siva la situa­zione a Geru­sa­lemme e in Cisgior­da­nia, dove l’esercito israe­liano ha inviato altri quat­tro bat­ta­glioni. L’agguato di gio­vedì sera, a pochi chi­lo­me­tri da Nablus tra gli inse­dia­menti ebraici di Ita­mar ed Elon Moreh, costato la vita a una cop­pia di coloni israe­liani, Eit­man e Naama Hen­kin – i loro quat­tro figli, di età com­presa tra quat­tro mesi e nove anni, sono stati tro­vati illesi nella parte poste­riore dell’autovettura presa di mira da un com­mando armato pale­sti­nese – ha sca­te­nato la rab­bia e il desi­de­rio di ven­detta dell’ultradestra nei con­fronti dei pale­sti­nesi e del loro pre­si­dente Abu Mazen, e pesanti attac­chi ver­bali con­tro alcuni rap­pre­sen­tanti delle isti­tu­zioni israe­liane rite­nuti troppo “mor­bidi” con gli arabi.

Al ter­mine dei fune­rali ieri a Geru­sa­lemme dei coniugi Hen­kin, la poli­zia ha dovuto fare scudo al capo dello stato Rue­ven Rivlin. Nono­stante sia un espo­nente di spicco del par­tito di mag­gio­ranza Likud, Rivlin è stato dura­mente con­te­stato e solo con la pro­te­zione della poli­zia è riu­scito a rag­giun­gere indenne la pro­pria auto­mo­bile. «Devi chie­dere scusa al popolo ebraico», gli hanno urlato con­tro due dei lea­der più noti del movi­mento dei coloni, Ita­mar Ben Gvir e Ben­zion Gop­sh­tein, “indi­gnati” per la con­danna, fatta due mesi fa da Rivlin, dell’uccisione del pic­colo pale­sti­nese, Ali Dawab­sha, 18 mesi, bru­ciato vivo nel rogo della sua abi­ta­zione nel vil­lag­gio di Kfar Douma presa di mira con bot­ti­glie incen­dia­rie da mili­tanti dell’estrema destra ebraica (i geni­tori del bam­bino, rima­sti ustio­nati gra­ve­mente, sono morti nelle set­ti­mane suc­ces­sive). Ben Gvir e Gop­stein non si sono accon­ten­tati delle parole di Rivlin che, qual­che momento prima, rivol­gen­dosi alle migliaia di pre­senti ai riti fune­bri, aveva assi­cu­rato che non si fer­merà mail la costru­zione delle colo­nie nella Cisgior­da­nia occu­pata e a Geru­sa­lemme Est.

Com­menti duris­simi all’uccisione di Eit­man e Naama Hen­kin sono giunti anche dal pre­mier Neta­nyahu e da diversi mini­stri, in par­ti­co­lare quelli più legati al movi­mento dei coloni e al nazio­na­li­smo reli­gioso. Poche ore prima dell’agguato Neta­nyahu, nel suo discorso alle Nazioni Unite, aveva attac­cato la lea­der­ship pale­sti­nese, accu­san­dola di «inci­ta­mento» e di non voler ripren­dere i nego­ziati. Per­ciò ha pun­tato di nuovo e con forza l’indice con­tro Abu Mazen. L’accaduto, ha detto, «è il risul­tato dell’istigazione pale­sti­nese ha pro­dotto un atto di ter­ro­ri­smo». «Non ho sen­tito alcuna con­danna da parte dell’Autorità pale­sti­nese». «Io e l’intera lea­der­ship israe­liana con­dan­namo subito con forza (l’attacco di Kfar Douma) Mi recai in ospe­dale, abbiamo dato (alla fami­glia Dawab­sha) tutta l’assistenza pos­si­bile. Con­fron­tate (il nostro com­por­ta­mento) con que­sto silen­zio assor­dante (da parte dei lea­der pale­sti­nesi)». Il pre­mier ha sor­vo­lato su un’altra dif­fe­renza di com­por­ta­mento, anche que­sta signi­fi­ca­tiva. Men­tre l’Esercito israe­liano da gio­vedì notte è impe­gnato in una cac­cia all’uomo impla­ca­bile, senza sosta, dei respon­sa­bili dell’agguato a sud di Nablus, nel caso degli assas­sini di Ali Dawab­sha e dei suoi geni­tori, non ha messo in campo un simile spie­ga­mento di forze. I respon­sa­bili del rogo di Kfar Douma restano ancora liberi.

Un po’ tutti si aspet­tano che eser­cito e ser­vizi segreti di Israele riu­sci­ranno ad invi­duare pre­sto i mem­bri del com­mando delle “Bri­gate Abdel Qader al Hus­seini”, una cel­lula del gruppo armato “Mar­tiri di Al Aqsa” che fino a qual­che anno fa faceva capo del movi­mento Fatah gui­dato da Abu Mazen. Nella riven­di­ca­zione dell’attacco — com­piuto da un’auto in corsa che ha affian­cato quella degli Hen­kin — il gruppo armato afferma di aver col­pito chi vive nelle colo­nie «erette su terre pale­sti­nesi» e dif­fida Israele dal com­piere ritor­sioni verso la popo­la­zione civile. È dif­fi­cile valu­tare la cre­di­bi­lità della riven­di­ca­zione. Uffi­cial­mente “I mar­tiri di al Aqsa” non esi­stono più. Abu Mazen, con­tra­rio a qual­siasi forma di resi­stenza armata all’occupazione israe­liana, ha impo­sto lo scio­gli­mento di tutte le for­ma­zioni mili­tanti di Fatah nate durante la seconda Inti­fada pale­sti­nese, comin­ciata esat­ta­mente 15 anni fa. Il ritorno sulla scena di gruppi armati legati a Fatah indica l’esistenza di un impor­tante dis­senso interno alla linea del pre­si­dente, accu­sato da una parte della base del suo movi­mento di «aver fal­lito» — per aver con­dotto per anni senza suc­cesso il nego­ziato con Israele — e di non avere una alter­na­tiva in grado di por­tare alla nascita sul ter­reno dello Stato di Palestina.

Adesso è il momento, ancora una volta, dell’ala più estrema del governo di destra gui­dato da Neta­nyahu. Il mini­stro dell’agricoltura Uri Ariel, un “mito” per i coloni e un soste­ni­tore della «sovra­nità israe­liana sul Monte del Tem­pio», la Spia­nata delle moschee di Geru­sa­lemme, ha pro­cla­mato che «la rispo­sta a que­sto ter­ri­bile omi­ci­dio deve essere l’annessione dell’area C (il 60% della Cisgior­da­nia, sotto il pieno con­trollo israe­liano, ndr) e l’espansione delle colo­nie a Geru­sa­lemme e in Giu­dea e Sama­ria (i ter­mini biblici che indi­cano la Cisgior­da­nia)». Il suo col­lega di par­tito, Naf­tali Ben­nett, lea­der di Casa Ebraica (il par­tito dei coloni) e mini­stro dell’istruzione, ha avver­tito che «il tempo per i nego­ziati è finito. È ora di agire…un popolo, i cui lea­der sosten­gono gli omi­cidi, non avrà mai uno Stato».

Il clima ricorda molto da vicino quello del giu­gno 2014, durante il seque­stro e l’uccisione di tre ragazzi ebrei in Cisgior­da­nia, che sfo­ciò nell’offensiva israe­liana con­tro Gaza. Sta­volta non pare coin­volto Hamas, il movi­mento isla­mico, ma Fatah. La destra israe­liana per­ciò alza il tiro con­tro Abu Mazen, che pure sino ad oggi è stato garante della coo­pe­ra­zione di sicu­rezza con Israele, nono­stante l’opposizione netta del suo popolo. Appro­fit­tando dello schie­ra­mento di cen­ti­naia di sol­dati israe­liani che hanno sigil­lato in aree mili­tari i vil­laggi pale­sti­nesi a sud di Nablus, in par­ti­co­lare Beit Furik, doz­zine di coloni hanno orga­niz­zato bloc­chi stra­dali, pro­te­ste, scan­dendo slo­gan come “Morte agli arabi”, e attuato rap­pre­sa­glie con­tro i palestinesi.

Michele Giorgio – Il manifesto

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