Dalla rivoluzione del Rojava: primo festival delle donne giovani e libere
Arrivati da qualche giorno nel Rojava, abbiamo l’occasione di partecipare alla prima edizione del Festival delle Giovani Donne, Festivala Ş Stêrvan Jinên Ciwan Bakurê Suryê, organizzato dalla omonima organizzazione nei pressi della città di Dêrik, nel cantone di Cizire.
La scelta del luogo non è casuale: ci troviamo in uno dei luoghi più verdi di questa regione. Un grosso palco è montato nel prato e sullo striscione di presentazione dell’evento si stagliano due volti: da un lato serokati 1Apo , dall’altro un volto femminile. Si tratta di Şheid2 Stêrvan: una giovane donna morta per la rivoluzione, a lei è dedicato il nome di questo festival. Decine di ragazze come lei sono qui da giorni: donne di tutte le età ballano e cantano insieme, mettono in scena spettacoli teatrali, cucinano, organizzano partite di calcio e concerti, letture collettive e momenti di discussione. Altre donne delle unità delle Asaysha Jin3 controllano a turno, più lontano, il perimetro: il territorio è stato liberato dalle milizie di Daesh ma una simile espressione di forza e autodeterminazione femminile potrebbe attirare reazioni. L’esercito del Califfato nei suoi attacchi ha infatti messo in atto una strategia ben precisa, volta a colpire le donne e i loro spazi, numerosi sono gli esempi in merito. L’atmosfera è di festa: questo è il risultato del lavoro delle Jinên Ciwan una delle numerose strutture con cui il movimento rivoluzionario del Rojava opera all’interno della società al fine di una sua trasformazione continua e radicale. L’obiettivo è insieme ideolojico e pratico: la liberazione e l’ emancipazione femminile da 5000 anni di patriarcato e dall’oppressione di una società a caratteri feudali devastata da neocolonialismo e conflitti etnici e confessionali. L’ ideologia è quella elaborata da Öcalan negli anni di prigionia: il confederalismo democratico, di cui le donne sono l’avanguardia. Il lavoro é organico e simbiotico: giovani donne educano altre giovani donne, e da queste imparano come trasformare ancora sé stesse e il mondo che le circonda. Stiamo parlando della perwerde, l’educazione, la pratica fondamentale di questa rivoluzione che nella crescita soggettiva individua la chiave del cambiamento collettivo. Gli strumenti di questa pratica sono insieme tradizionali e rivoluzionari, e molto diversificati: i canti sono canti di lotta, di libertà per Öcalan. Le danze sono i balli delle guerrillere sulle montagne. Abbiamo avuto la fortuna di assistere ad alcuni degli spettacoli di teatro costruiti dalle ragazze che mettevano in scena l’oppressione di genere. Alla violenza dell’uomo (raffigurato come un miliziano di Daesh), rappresentata cruda e senza filtri, segue, immancabilmente, il riscatto altrettanto violento della donna: sola o con l’aiuto delle donne sue sorelle rovescia i rapporti di forza tornando a ballare e a volare sopra ad un marito, un padre, un fratello, oramai in ginocchio. Segue il boato di gioia del pubblico. L’isolamento, la dimensione tutta privata della vergogna e il vittimismo con cui spesso vengono affrontati questi temi in Occidente qui non sono di casa e il teatro è solo uno dei tanti strumenti che le donne si danno per un’educazione di genere volta a un riscatto senza mediazioni e che vuole essere profondamente collettiva, pratica, trasversale e intergenerazionale.
To be continued (!!!) nei prossimi approfondimenti…
Segue intervista realizzata con l’heval4 Dhoà, militante delle Jinen Ciwan:
Come organizzazione delle giovani donne di cosa vi occupate?
Ci occupiamo di cultura, teatro, sport, musica, attività legate alla salute.. in generale il nostro lavoro è organizzazione. Noi andiamo dalle giovani donne, ci parliamo. Infatti la rivoluzione non è solo guerra e “bang bang”, riteniamo fondamentale occuparci anche di svilupparne la cultura, l’ideoloji, conoscere la storia del nostro paese e del medioriente, la scienza delle donne (jineoloji), saper riconoscere le relazioni di potere e come funziona la società. Il festival che abbiamo organizzato è il risultato di questo lavoro.
Avete una struttura in cui organizzate il vostro lavoro? Quale è il primo approccio che avete con le ragazze?
Abbiamo delle strutture dove svolgere le nostre attività ma soprattutto andiamo casa per casa. Il nostro lavoro è nella società. La maggior parte delle difficoltà che incontriamo sono proprio lì, nelle famiglie delle ragazze. Il Medioriente è molto diverso dall’Europa. La famiglia è una realtà determinante nella vita delle giovani donne; prima dobbiamo sempre convincere le famiglie, non vogliamo fare nulla senza avere il loro consenso. Spesso capita che anche le donne vicine alle ragazze, sorelle o amiche del quartiere, si uniscano alle attività. Non è raro che anche le madri prendano parte ai seminari e al nostro lavoro. A volte capita che un’intera famiglia sia impegnata in differenti settori di un più generale lavoro politico e sociale. Per esempio una delle ragazze che abbiamo coinvolto ha il fratello e il padre nelle YPG, la madre attiva nel supporto alle famiglie degli Şheid, e un terzo fratello caduto martire. è importante per noi conoscere tutto il nucleo familiare, avere un rapporto di fiducia. Anche quando abbiamo a che fare con famiglie che non condividono in partenza alcuni aspetti del nostro lavoro, che magari rimangono scioccate, comunque ci aprono la porta. Ma non accade spesso che il rapporto cominci da zero, la maggior parte della gente si aspetta che andiamo a parlare con loro, che proviamo a coinvolgerli.
Come si sviluppa il vostro lavoro e come si relaziona con il sistema scolastico istituzionale?
Il nostro è un lavoro che sta crescendo, posso dirti questo: dove ci sono le giovani donne ci siamo anche noi. Organizziamo anche momenti e seminari nelle scuole e nelle accademie: spingiamo le ragazze a parlare, spesso è infatti difficile per le donne parlare in contesti misti, e discutiamo insieme di cose come la scienza delle donne, o comunque temi che le riguardano da vicino. In Medioriente se vuoi fare delle cose devi lottare, la rivoluzione della Siria del Nord ha come scopo la liberazione delle donne ed e per questo che vogliamo organizzare l’ educazione per tutte le giovani donne, non solo farle diventare militanti del partito, quella è una scelta collaterale che ciascuna prende in autonomia. Vogliamo dare alle ragazze strumenti perché sviluppino la loro intelligenza, questa cosa per noi è importantissima. L’organizzazione è aperta a tutte le donne, in tutti gli aspetti della loro vita, il fine è che si rendano autonome nelle loro scelte. In medio oriente spesso c’è una sola via per queste ragazze: il matrimonio; a questo vogliamo costruire un’alternativa. Capita spesso che il tradizionale metodo educativo sia qualcosa che non piace, non interessa alle ragazze, per questo motivo adottiamo altri metodi e rendiamo le cose più “colorate”: la nostra educazione è fatta di teatro, musica, danza, sport… vediamo sin da subito come le ragazze cambino nel lavoro che facciamo insieme. Noi non facciamo pressioni sulle ragazze, non ci comportiamo come i loro padri e gli uomini in genere. Ad esempio sui trucchi o i vestiti: noi non diciamo loro cosa possono o non possono fare, ma le spingiamo a interrogarsi sulle ragioni del perchè fanno le cose.
come a tua volta ti sei formata per questo genere di lavoro?
noi a nostra volta impariamo dalle ragazze, è un lavoro simbiotico. siamo donne che vivono nella società, leggiamo e studiamo l’ideologia di Apo, discutiamo molto e continuamente tra di noi. Siamo attente ad essere sempre coerenti con ciò che insegnamo e a tutti i livelli della società . Impariamo e viviamo quello che studiamo, questa è la pratica della ideologia di questa rivoluzione. La nostra ideoloji non è solo teoria, impariamo vivendo, spesso un esempio è più importante di mille parole.
1Comandante, guida. Appellativi per Öcalan, leader del movimento curdo e fondatore del Pkk
2Concetto di martire, Şheid è colei o colui che muore combattendo per la rivoluzione
3Forza femminile delle guardie rivoluzionarie
4Concetto di hevalti, l’amicizia politica che abbraccia tutti coloro che lottano per la rivoluzione
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