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Del sionismo dei media, e di chi non si schiera

Di fronte a ciò il compito di tutti i media di movimento, dei militanti e degli attivisti, deve essere aggredire ancora di più quel blocco giornalistico di parte, svelando la sua ideologia, demistificandone la neutralità. Costruire la contro-narrazione capace di contrapporre alla legittimità israeliana quella palestinese, capace di diffondere la necessità di comunque schierarsi, di essere comunque di parte. Ma di parte palestinese. Come? Indubbiamente attraverso la diffusione mediatica del massacro, delle sue immagini, dei video, dei comunicati. Attraverso la ricostruzione in casa nostra dell’evidenza di uno sterminio in atto. In questo senso riteniamo completamente ideologica (quindi affatto condivisibile) la critica intorno alla pubblicazione di foto (a migliaia in diffusione sui social network) che ritraggono corpi mutilati dalle bombe, il tutto condito da una retorica che sposta l’informazione dal piano politico a quello morale (questi palati fini del giornalismo paiono aver dimenticato-o forse non l’hanno mai capito-che il bello e il brutto non sono fatti della politica, che nella sua valutazione estetica si annida il germe fascista). Del resto a tanta sinistra salottiera è caro il lascito berlingueriano, ai democratici cristiani e a tutte le destre più o meno cattoliche torna bene rimandare il tempo del pubblico schieramento adducendo la scusa dell’efferatezza di certe immagini, non adatte agli occhi quindi men che mai all’intelletto. Sul fatto quotidiano di ieri si diceva che non è informazione quella fatta “strumentalizzando” quel che resta di bambini, uomini e donne dopo i bombardamenti, che è mancanza di rispetto per una sofferenza che noi viviamo da casa, che il voltastomaco distrae e solo la lucidità afferra. Come non disvelare immediatamente la natura ideologica di queste affermazioni, la loro utilità per una neutralità pubblica e una partigianeria privata. Come si dicesse: è troppo brutto quello che accade per parlarne, ci sono cose che non debbono più far parte del mondo (eh già). Premettendo che allorquando l’orrore è stato o sarà in casa nostra nessun militante ha chiuso o chiuderà gli occhi, in questi giorni in cui, guardando la cartina, il lato efferato del capitalismo si mostra leggermente in basso a destra rispetto a noi, non possiamo che narrare i fatti per quello che sono, per quello che sono da un punto di vista di parte, contro Israele. Non dimentichiamoci che ogni analisi o sintesi che ha pretese di scientificità non può che scaturire da una scelta parzialità, che non solo tutto ciò che si millanta neutrale non è scientifico (quindi non è attendibile, men che mai neutrale) ma che ogni discorso generale è astratto dalle dinamiche materiali necessariamente dovute a rapporti tra forze opposte, che dunque se si vuol dire realmente di un conflitto, non si può che farlo contemporaneamente parteggiando. In altre parole: pretendere di rimanere super partes comporta inevitabilmente una faziosità. Rimanere super partes nel conflitto israelo-palestinese comporta inevitabilmente non riconoscere la natura diversa delle parti, comporta non riconoscerle per quello che sono: da un lato un esercito razzista invasore col preciso scopo di estendere i confini del proprio territorio nazionale, dall’altro una resistenza armata che cresce nei territori in risposta all’esproprio dei terreni, agli arresti arbitrari, ai colpi di fucile sui contadini, alla segregazione, alle generali condizioni di indigenza. Non schierarsi, cioè non schierarsi a favore del popolo palestinese, significa scegliere le ragioni sioniste, nella misura in cui non se ne confuta la legittimità, anzi la si costruisce ricorrendo alla retorica della difesa in seguito a provocazione terroristica! E ancora: chiamare terrorista il solo lancio di razzi palestinesi è già schierarsi (in questo senso la narrazione mainstream non è già più neutrale, si è già schierata)! E’ giudicare, stigmatizzandola, una lotta di resistenza. Le parole nella sintassi diventano giudizio, scelta, gesto politico, costruzione di un immaginario preciso, di questo piuttosto che di quell’altro. Il significato non è un apriori, bensì l’esito di una collocazione. Situare certe parole in un certo momento del discorso ne determina il messaggio, dire terrorista di quella cosa che noi invece chiamiamo per quello che è (lotta armata di resistenza) e non dirlo di ciò che realmente lo è (l’occupazione sionista), significa far riferimento ad una morale, ad una ideologia che condanna una parte in particolare, significa schierarsi con chi sta portando, coerentemente con questa retorica, un attacco al terrorismo: Israele. (Questo dimostra che la faziosità inevitabile vale per tutti, anche per la falsa coscienza mainstream. Il Tg3 è caduto spesso-nei primi giorni-nel tranello: si è lasciato trascinare dalla scienza e ha parlato di morti, feriti, disperazione e COLONI, qui si accorge che sta parteggiando per chi non si può parteggiare, qui si accorge di legittimare-giustamente-la resistenza di un popolo invaso, quindi il ricamo: Hamas è il peccatore originale, ha cominciato lui. Mette quindi a posto le virgole accreditando la morale di cui sopra-è bruttissimo ciò che accade in Palestina ma se lo sono cercati. Dando un colpo al cerchio e uno alla botte, non ha fatto che confermarsi di parte israeliana; non accusandola completamente, imputandole a margine di una giusta difesa solo un po’ di esagerazione, ha reinventato la sua missione politica, che resta occupare tutta la Palestina, cioè perpetrare una violenza di tipo imperialista. Il Tg3 è quindi di parte sionista perché collabora affinché resti oscurata la volontà politica dello stato invasore, affinché come tale non appaia. In questi ultimi giorni ha imparato la lezione e riesce bene a mettere a posto la coscienza di molti democratici di casa nostra. L’attuale massacro non è dovuto ad un’invasione in atto, è bensì legittima difesa dopo reiterate provocazioni dei terroristi palestinesi. In tutto ciò chi ci rimette è sempre il grande blocco civile estraneo alla volontà violenta di piccoli gruppi armati. Nella speranza che si trovi presto un accordo tra le parti e si ponga fine al sangue, noi speriamo nella pace).

Israele sta massacrando impunemente una popolazione, più di 200 morti dopo otto giorni di bombardamenti che hanno provocato quasi 2000 feriti e costretto migliaia di famiglie a lasciare le loro case ormai distrutte; la narrazione di questi numeri passa per la loro evidenza storica, il corpo di un morto, una casa in macerie, arti strappati, sangue e disperazione. Non è necrofilia, è lucida assunzione di responsabilità di fronte alla Storia. O ne parliamo noi o tutto ciò cadrà nell’oblio, e diventerà fisiologico per il pubblico il massacro israeliano in Palestina. Basti pensare alla reazione scatenata di tutte le autorità bolognesi all’azione di muratura dello studio di Panebianco, docente universitario, che in un editoriale sul corriere aveva sollecitato Renzi alla fermezza contro i Palestinesi. Gli studenti autori dell’azione hanno dovuto subire un linciaggio mediatico perché si sono permessi di riportare in casa nostra (e in che forma assai ridotta!) l’evidenza e la violenza dei muri e del filo spinato che segregano i palestinesi in fazzoletti di terra. Sarebbe da chiedersi perché, poco pudico e molto necrofilo in occasione di qualche omicidio in casa nostra, il giornalismo-detective che piace tanto si ricorda solo in questi casi del rispetto del dolore. E’ forse per loro che è strumentale quel dolore? E’ forse funzionale alla loro volontà oscurantista (leggi ideologica) ammantarsi di morale e pudicizia quando serve a nascondere le responsabilità storiche, il genocidio perpetrato da Israele, legittimato da Obama e da tutta Europa? Forse chi usa veramente per fini di parte sono loro? Per noi non è strumento l’abbondare di foto toccanti i nostri media, bensì vera solidarietà con i fratelli e le sorelle attaccate e massacrate da una potenza imperialista qual è Israele. Per noi è reale sentimento del dolore, difesa di quella popolazione, aiuto concreto affinché non resti nelle soffitte della storia quello che un governo sionista sta facendo a migliaia di palestinesi. Leggiamo invece come buona retorica e falso cordoglio l’indignazione di chi chiude gli occhi di fronte alla verità delle nefandezze sioniste, leggiamo come pratica precisamente strumentale e moralista (nel senso più colpevole e ideologico) quella di oscurare le bombe perché disgustose. E’ vero, lo sono. Ma la crudeltà continua a far parte del mondo. E non solo nella modalità piccola, e per ciò sussunta alla pubblica quotidianità, del delitto spietato d’amore, della strage di famiglia, ma soprattutto ad essere crudele, spietato, efferato e sanguinoso su scala mondiale continua ad essere il capitalismo. In Israele nella sua forma razzista ed imperialista. Questi giorni sono la prova (per chi stesse ancora nell’idillio) che le ultime cose “brutte” non furono le Twin Towers e i manganelli di Seattle e Genova, che l’illusione (o forse ancora il pretesto ideologico per non assumersi la responsabilità della lotta di classe) della fine della politica dello scontro è stata un’invenzione creata ad hoc, che tutta l’ideologia postmoderna della storia conclusa era tale, cioè una bugia.

Gli anni zero sono passati, eppure continuano le vessazioni capitalistiche, continuano le guerre, continuano i massacri sotto l’egida ora del razzismo, ora del becero guadagno. Continuano le resistenze, continuano le lotte, continua la necessità per tanti e tante di rivendicare la propria ineludibile dignità. In questi giorni siamo passati dagli sgomberi mano armata delle favelas di Rio ai massacri nazisti in Ucraina, abbiamo visto le immagini di corpi arsi vivi in regioni diverse ma evidentemente non distanti del mondo, si spara in Brasile, in Ucraina e in Palestina. E questa non è la Storia? Questo non è il tempo che continua, il capitalismo che non cessa di perpetrare la sua missione oppressiva e vessatrice nei confronti degli indigenti, dei medi e bassi strati della popolazione? Questa non è la prova che dopo Genova ha avuto ragione chi si è rimboccato le maniche e non chi ha pianto la fine di tutte le speranze? Non è forse da parte di tanti moralisti l’ennesima occasione per rimuovere l’evidente attualità della lotta di classe? Questo più o meno consapevole rifiuto di guardare in faccia la realtà, non è forse un rimosso tutto borghese di fronte alla contemporanea ed attuale efferatezza dei nostri nemici? Noi crediamo che chi oggi si rifiuta, argomentando come crede, di mostrare a sé e agli altri cosa sono Israele e la sua forza distruttrice, continua ad avere la coscienza sporca, la falsa coscienza di chi costringe sé e gli altri a negarsi e a negare la continua violenza del capitalismo. Costoro fanno della propria pigrizia e borghese sfiducia la teoria della neutralità, la teoria del rifiuto di un imperativo storico: continuare ad essere partigiani. Partigiani palestinesi.

Per noi restare umani significa continuare a lottare nei nostri territori contro tutte le oppressioni, significa sostenere la giusta resistenza del popolo palestinese, boicottare tutto ciò che porta il sanguinoso timbro sionista, significa riempire i canali della contro informazione con l’evidenza di un massacro tale da ridestare lo sdegno, da far maturare l’odio per gli occupanti in Palestina, tale da diffondere il sano disgusto per ogni sterminio imperialista, per ogni genocidio perpetrato dai capitalisti.

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