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Gafsa: un disoccupato si immola per protesta

Ieri pomeriggio un uomo di 45 anni, padre di famiglia e attualmente disoccupato, si è dato fuoco nella città di Gafsa nel centro della Tunisia durante la visita ufficiale di tre ministri del nuovo governo a maggioranza islamista. [guarda il video]

Dallo scoppio della rivolta di Sidi Bouzid lo scorso 17 dicembre, la regione di Gafsa era stata tra le più attive nella mobilitazione contro la disoccupazione e il regime subendo la repressione più efferata da parte della polizia del paese magrebino. Nelle settimane scorse, non appena iniziati i lavori della neoeletta assemblea costituente, il governatorato di Gafsa aveva dovuto subire il coprifuoco imposto dalle autorità a seguito della mobilitazione dei disoccupati determinati a contestare le liste dell’impiego pubblicate dall’azienda estrattrici di fosfati, importante risorsa e indotto economico del territorio. Edifici sia pubblici che privati erano stati dati alle fiamme dai manifestanti in segno di protesta e diversi sit-in erano stati organizzati per dare continuità alla lotta che anche in questa occasione stava ricevendo la solidarietà della stragande maggioranza della popolazione locale.

L’immolazione di ieri avviene in un contesto sociale molto teso. Il disoccupato che si è dato alle fiamme, licenziato da pochi giorni, partecipava ai presidi di protesta e aveva fatto richiesta di essere ricevuto dalle autorità in occasione della visita dei ministri. Una volta sentitosi negare la possibilità di discutere con i rappresentanti governativi la decisione della protesta ultima: l’immolazione.

Durante il pomeriggio e la notte si sono susseguiti scontri tra gli abitanti e le forze di polizia che non hanno esitato a caricare e a gassare i manifestanti.

 

L’immolazione di Gafsa avviene solo un giorno dopo il primo anniversario della morte di Mohamed Bouazizi, datosi alle fiamme per protestare contro la povertà e la disoccupazione. Ma il gesto terribile di ieri oltre a provocare rabbia e indignazione non stupisce visto che il movimento rivoluzionario tunisino non ha mai cessato di denunciare pubblicamente la grave situazione in cui versano giovani e meno giovani proletari che dopo aver coraggiosamente rischiato e (in molti, troppi casi) dato la vita per scacciare Ben Ali, sciogliere il suo partito e imporre l’assemblea costituente si sono ritrovati a dover combattere il nemico micidiale di sempre: lo sfruttamento, la povertà e la disoccupazione.

 

Ad un anno dalla rivolta di Sidi Bouzid, rivolta per la giustizia sociale e la solidarietà, in Tunisia ci si immola ancora. Ad ascoltare le voci della piazza “niente è cambiato da un anno a questa parte” e le ragioni sociali che avevano scatenato la collera dei tunisini sono ancora lì a fare della vita di decine di migliaia di uomini e donne un vero incubo. Il movimento islamista moderato Ennahda, uscito recentemente vincitore dalla tornata elettorale a cui hanno partecipato poco più della metà degli aventi diritto, non sembra aver variato il suo programma in materia economica che si conferma un mix di neoliberismo e pietà religiosa. La disoccupazione e la povertà secondo Ennahda sarà risolta tramite l’istituzionalizzazione dell’elemosina. Ben poca cosa per il proletariato tunisino motore di quella rivoluzione che ha mandato in frantumi la macchina di rapina guidata dalla cricca di Ben Ali e che oggi non sembra proprio essere convinto dalla promessa di caritatevoli briociole.

 

L’immolazione di Gafsa, i cui sviluppi immediati sono ancora difficilmente prevedibili, fa bruciare ancora una volta la transizione democratica contestata senza soste dai movimenti del paese magrebino. E il 14 gennaio, primo anniversario della fuga di Ben Ali, a Gafsa potrebbe non esserci una festa…

 

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