Israele continua il massacro e si appresta a invadere Gaza
Mentre a Gaza City mancano i medicinali e il più grande ospedale della Striscia, al-Shifa, è ormai quasi privo di medicine e equipaggiamento sanitario, le autorità egiziane riaprono a singhiozzo il valico di Rafah tra Gaza e Egitto in una sola direzione per permettere l’evacuazione dei feriti gravi.
Intanto la situazione sul campo sembra cambiare di ora in ora. Pare ormai chiaro che Israele si prepari ad un’offensiva via terra (il ministro degli esteri, l’oltranzista Lieberman, parlava dei bombardamenti come fase 1 della guerra), mentre la diplomazia occidentale dovrebbe incontrarsi oggi, a margine di un incontro con l’Iran sul nucleare, per abbozzare una proposta di “cessate il fuoco”. Nel frattempo i paesi arabi chiedono una riunione d’urgenza dei Ministri degli Esteri dei paesi della Lega Araba, e intanto la Turchia dichiara di augurarsi un intervento dell’Onu e, per bocca del primo ministro Erdogan, nega ogni possibilità di normalizzazione con Israele a fronte degli avvenimenti a Gaza.
Al di là delle dichiarazioni di rito e di “fratellanza araba e musulmana” pomposamente sbandierata ai quattro venti, l’Egitto di colui che si autodefinisce il “nuovo Nasser”, Al-Sisi, decide di chiudere nuovamente il valico di Rafah, unico accesso dei palestinesi bisognosi di cure e cibo all’Egitto, mentre Erdogan e la Turchia continuano il commercio con Israele, concedendo il proprio spazio aereo per le esercitazioni dell’aviazione con la stella di David, la Giordania di re Abdallah (dove la popolazione è al 60% palestinese) non va oltre qualche dichiarazione di condanna verso Israele, e l’Arabia Saudita sembra più impegnata nella sua “partita a scacchi” per l’egemonia regionale con l’Iran che a prendere posizione a favore dei palestinesi.
L’apatia araba verso la situazione a Gaza sembra, almeno parzialmente, il risultato della cattiva reputazione che Hamas si è costruito nel corso degli ultimi anni, soprattutto verso Egitto e Arabia Saudita, che lo vedono come diretta emanazione dei “terroristi” della Fratellanza Musulmana: la caduta di Morsi in Egitto e la fine del protagonismo della politica estera qatariota hanno tolto ad Hamas terra da sotto i piedi, e anche le alleanze con Hezbollah e Iran (per non parlare di quella con la Siria, che ha cacciato il capo politico Hamas, Meshaal, nel 2011), viste le prese di posizioni di Hamas a favore dei ribelli siriani, sono ai minimi storici. Israele intanto si trova in posizione totale di forza: il primo ministro Netanyahu ha affermato più volte che nessuna tregua con Hamas è in agenda, e che l’obiettivo dell’azione militare è sconfiggere completamente e per sempre il movimento islamico che governa a Gaza, checchè ne dica la comunità internazionale.
Il governo israeliano sembra voler sradicare Hamas una volta per tutte, e sente che il momento è propizio, con il movimento palestinese più debole che mai, mancante di un reale sostegno regionale e frammentato al suo interno, incapace di controllare le sue cellule (con la branca di Hebron, responsabile del rapimento dei 3 coloni, che agiva completamente in maniera autodeterminata rispetto ai comandi militari della leadership di Hamas) e tagliata fuori dalle entrate che raccoglieva attraverso i tunnel con l’Egitto, ormai ridotte a zero.
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