InfoAut
Immagine di copertina per il post

Kurdistan: morti o martiri?

Gli oratori indirizzano agli astanti gravi moniti sull’importanza del sacrificio dei caduti “nella lotta contro la dittatura del regime terrorista di Bashar Al-Assad”, ricordando che la realizzazione della democrazia confederale in Siria diviene un compito ancora più irrinunciabile dopo la loro morte, che entra negli onori della storia del Kurdistan e della sua battaglia per la libertà. Il cimitero delle Ypg è uno dei luoghi più belli di Qamishlo. Le tombe, tutte in fila, tutte uguali, tutte realizzate in marmo, sono ricoperte da fiori colorati e identificano chi vi è seppellito con una foto su sfondo giallo, accanto al simbolo delle Ypg; il nome di battaglia e la città di provenienza completano l’informazione sul caduto. In questa occasione, come in quella di alcune settimane fa – quando diverse Ypg della città erano state vittima di un’esplosione a Shaddadi – le famiglie degli shehid (i martiri) si riuniscono attorno alla sepoltura del caro scomparso, che nella maggior parte dei casi è una figlia o un figlio. Una miriade di anziane signore, con i colorati foulard della tradizione curda a coprire i capelli, si siedono sui bordi delle tombe e osservano le foto dei propri caduti, ora in silenzio, ora parlando della persona scomparsa con gli amici e i familiari che si stringono loro attorno.

“Shehid na mirin!” grida la folla ammassata sotto il palco più volte, al termine del discorso del comandante delle Ypg. “I martiri non muoiono”: strano concetto. Il paradosso della sopravvivenza dopo la morte non è ammantato, in Rojava, del fervore religioso che caratterizza gran parte della Siria, dell’Iraq, della Palestina. Molti tra coloro che si aggirano per le cerimonie funebri sono credenti, ma la filosofia del martirio – che scatena in Kurdistan immenso entusiasmo sociale – ha un legame tutt’altro che stretto con la religione, benchè ciò possa apparire inusuale. Il sacrificio dei giovani in questi anni di guerra non è valorizzato in relazione al valore assoluto della sottomissione a Dio, pur ritenuto importante da molti, ma in rapporto a una sorta di valore sociale del dono, che comprende anche il dono della propria vita. Chiunque sia stato in Kurdistan sa quanto sia radicata questa cultura in queste terre, secondo una profondissima, atavica eredità regionale. Le persone fermano per strada gli sconosciuti per posare loro in mane il pane appena sfornato o una mela, anche senza necessità di ulteriore comunicazione. Questi gesti sono ammantati di un senso che non potremmo facilmente decifrare entro i codici cui siamo abituati.

Mentre sul palco di Qamishlo si susseguono le parole degli oratori, rimbombano dietro di loro le esplosioni di Nusaybin, la città oltre il confine turco a poche centinaia di metri di distanza, che fa da sfondo alla cerimonia con le sue macabre colonne di fumo. Là altri giovani affrontano la morte ogni giorno per difendere l’autonomia dichiarata dai loro quartieri contro un altro esercito, quello turco. Li abbiamo visti bere il tè e mangiare caramelle attorno al fuoco, i ragazzi del Bakur, e affermare sorridendo che saranno tutti ammazzati. Le Yps del Bakur, come le Ypg del Rojava, affrontano il nemico perché è ciò che si deve fare, non in ottemperanza a un’autorità impersonale o disincarnata, ma perché lo stabilisce il debito che ciascuno ha contratto con la comunità. Se una certa organizzazione della società è ciò contro cui il militante curdo si ribella, infatti, la società come tale è ciò cui egli, o ella, obbedisce. Questo carattere sociale del martirio è iscritto anche nelle leggi rivoluzionarie: non è ammesso il reclutamento nelle forze armate cantonali del Desteya Parastin, di recente creazione (le Ypg sono forze volontarie) dei giovani nella cui famiglia ci sia stato già un martire, o dei figli unici; e nelle cooperative del Tev Dem non è ammessa l’iscrizione di soci il cui figlio o la cui figlia abbiano abbandonato le Ypj o le Ypg, atto considerato espressione di inaccettabile egoismo, quasi la propria vita valesse più di quella degli altri.

Molti combattenti delle Ypg, a vent’anni, hanno già perso una ventina di amici stretti, in molti casi caduti al loro fianco. La prolungata sopravvivenza alla guerra provoca sensi di colpa, poco importa quanto assurdi. C’è chi descrive qualcosa che approssima uno strano desiderio di morte tra i ragazzi al fronte: alcuni camminano oltre le trincee esponendo i propri corpi ai colpi del nemico, gridando verso di esso sarcastiche esortazioni, quasi la prospettiva di vivere non fosse in sé preferibile a quella di morire. Tutti onorano chi ha trovato il martirio, ma piangerne il destino è considerato sbagliato. I combattenti vedono i volti dei loro amici comparire in televisione nella quotidiana lista dei caduti e, raccontano testimoni, hanno una comprensibile reazione di dolore, che immediatamente reprimono. Trattengono le lacrime ed esclamano: “Bash!” (“bene”), mostrandosi felici per l’amico che ha avuto l’onore di morire in battaglia. C’è chi racconta di aver visto combattenti in preda a crisi simili a sfoghi epilettici a causa dell’accumulata tensione emotiva, all’inumano autocontrollo nervoso mantenuto per mesi, o per anni.

È straniante vedere il sorriso spalancarsi sulla bocca della sorella di un caduto, quando parla di quello che noi chiameremmo un lutto, e che qui sembra l’evento attraverso cui tutti i cari del defunto sono stati, grazie al gesto di immolazione, baciati da una sorta di eternità politica. Alcune famiglie offrono agli ospiti bomboniere avvolte nella fotografia del figlio che ha trovato la morte in battaglia, rappresentato sorridente, in uniforme, accanto all’usuale bandierina gialla. La reazione delle Ypg al fronte, quando qualcuno mostra loro uno tra le miriadi di santini su cui è raffigurato un coetaneo morto nelle formazioni rivoluzionarie in Siria, in Iraq o in Turchia è immediata: la figura viene passata di mano in mano, mentre tutti osservano con aria grave il volto dello sconosciuto, annuendo in un’enigmatica forma di approvazione del suo destino. Alcuni di loro, sembrerebbe, storcerebbero il naso a immaginarsi vivi al termine della guerra, anziché rappresentati su analoghe figurine, o sui manifesti che campeggiano all’ingresso di ogni città, raffiguranti i volti di coloro che sono morti in difesa delle sue strade.

Il flash che si prova nel vedere quel gesto, quella circolazione di immagini, che a un italiano non può non ricordare il passaggio di mano in mano, da ragazzini, delle figurine dei calciatori, illumina molto più di quanto si potrebbe pensare sul retroterra psicologico della cultura del martirio. Benchè i giovani italiani, che vorrebbero diventare calciatori, e quelli curdi, che vogliono divenire martiri, vivano vite completamente diverse, si tratta di esseri umani del tutto simili, che una distribuzione demografica casuale ha collocato su fronti interiori diversi. Per un ragazzo curdo morire in battaglia è fonte sicura di approvazione sociale, non del tutto diversamente da ciò che la celebrità televisiva rappresenta per il suo coetaneo europeo, nelle società pacifiche e compiutamente spettacolari dell’occidente. Nell’uno e nell’altro caso una sorta di trasfigurazione è necessaria alla soddisfazione delle proprie pulsioni narcisistiche, che non sono, come si crede, espressione di “presunzione” (sebbene questo equivoco sia radicato) ma della necessità – che è di ciascuno – di ottenere conferme sociali circa il proprio valore; e che la soddisfazione delle pulsioni narcisistiche in Kurdistan preveda la morte, e in Europa o in America la malinconia di un desiderio indefinitamente frustrato di celebrità, non toglie dignità, di per sé, né all’una né all’altra ricerca di realizzazione o pienezza dell’essere umano.

Ciò che impressiona, semmai, è la distribuzione coloniale del lavoro narcisistico, la gerarchia del valore delle vite non in rapporto ai meriti e alle gesta, ma agli interessi globali del capitale. La via mediorientale alla conquista della stima sociale conserva non a caso il paradosso per cui il soggetto non potrà godere del premio dell’autostima concreta, che sarà (per ciò che ci viene venduto erroneamente come un mancato effetto di secolarizzazione) riservato esclusivamente alla sua immagine. Il narcisismo spettacolare ha ancora questo di diverso, che l’individuo pretende di essere tanto rappresentazione quanto spettatore di sé, ed avere quindi esperienza sensibile (e per questa via edonistica: “secolarizzata” sì, ma da uno sbilanciamento di poteri mondiali) della sua riuscita. Questo nonostante permanga l’invidia malinconica dell’attore per l’eroe di cui indossa i panni, poiché la trascendenza riconosciuta ai martiri, purgata di ogni elemento individualistico e materiale, è appagata da un maggiore riconoscimento sociale, che è, contrariamente a quello rarefatto dello spettacolo, compiutamente terrestre, socialmente materiale e fino in fondo secolare; e questo sebbene, per uno strano movimento logico di questo paradosso, soltanto per il martire la trasfigurazione del corpo in immagine sia completa: soltanto l’immagine pura, infatti – la “vera” immagine – non può vedere stessa.

Condannare unilateralmente i desideri delle persone, la loro volontà di eccellere e di ottenere approvazione, così come quella di combattere o donare agli altri la propria vita, è espressione della sterilità infruttuosa che caratterizza la confusione, purtroppo pervasiva, tra attitudine critica e moralismo. Semmai, per porre in essere una realtà in cui nessuno debba cercare la propria fine per realizzare sé stesso, e tutti possano giocare serenamente tanto con il proprio sé quanto con la sua rappresentazione, dovremmo rivolgere la critica contro ciò che impone alle persone questo comune, sebbene per molti versi incomparabile, destino – anziché alle persone che da esso sono diversamente schiacciate; e ciò prevede, sia detto di passaggio, tanto il desiderio di conformarsi a un’immagine positiva di sé, quanto la concreta possibilità della morte. Le popolazioni del medio oriente sono oggi, nel framework capitalistico, variabili in eccesso, esseri animati che camminano su risorse energetiche, che per questo possono complicare, con la loro vita foriera di contraddizioni, il funzionamento della macchina globale. Il capitale percepisce sé stesso come organizzazione complessiva della vita, da Lima a Taipei, da Cape Town a Shangai; e Baghdad e Aleppo, o Damasco e Qamishlo, sono in questa rappresentazione dossi fastidiosi lungo il cammino dei flussi del valore, più che luoghi dotati di intrinseca dignità. Il martirio appare a un tempo addizione e sottrazione alla contabilità del nemico: imposizione senza ritorno di una singolare irrepetibilità.

Dall’inviato di Radio Onda d’Urto e Infoaut a Qamishlo, Rojava

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Conflitti Globalidi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Armi e appalti: l’Italia mantiene aperto il canale con l’industria militare israeliana

Nonostante la campagna di sterminio contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza, Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato continuano ad equipaggiare i propri reparti di pronto intervento rifornendosi presso le più importanti aziende israeliane.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bambini sfruttati e affumicati nei campi della California

Molto lontano dai campi di Entre Ríos o Santa Fe, i bambini contadini della California lavorano dagli 11 ai 12 anni, sfruttati, mal pagati, in terreni affumicati con pesticidi e con il terrore di essere deportati insieme alle loro famiglie di migranti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Palestina, i coloni attaccano volontari internazionali: feriti tre italiani

Un nuovo attacco dei coloni israeliani ha colpito la comunità di Ein al-Duyuk, vicino a Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Drone assassino israeliano massacra due fratellini palestinesi

Fadi Tamer Abu Assi e Juma Tamer Abu Assi, bambini palestinesi di 10 e 12 anni, sono stati ammazzati da un drone israeliano a est di Khan Yunis (sud della Striscia) mentre raccoglievano legna per il padre ferito.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Membro della Knesset: Israele sta “importando la guerra di sterminio” da Gaza alla Cisgiordania

Un membro israeliano della Knesset (Parlamento) ha affermato che Tel Aviv sta “importando” la sua “guerra di sterminio” dalla Striscia di Gaza alla Cisgiordania occupata.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

CONTRO I SIGNORI DELLA GUERRA E PADRONI DELLA CITTÀ, BLOCCHIAMO TUTTO!

Oggi, nell’ambito dello sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, come realtà autorganizzate del movimento milanese abbiamo deciso di bloccare l’ingresso principale della sede dirigenziale di ENI S. p. a. di San Donato.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Linee gialle e zone verdi: la divisione di fatto di Gaza

Crescono i timori che il nuovo mosaico di zone diverse di Gaza, separate da una Linea Gialla, possa consolidarsi in una partizione permanente del territorio.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

La Germania è in crisi e vaga nella nebbia

Le ultime notizie dal paese teutonico indicano che la sua crisi economica non si arresta ed entra ormai nel suo quarto anno.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bombardamenti israeliani contro il Libano: 5 morti, tra cui l’Alto comandante di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabaei

Beirut-InfoPal. Il ministero della Salute Pubblica libanese ha diffuso il bilancio ufficiale dell’attacco israeliano senza precedenti contro un’area residenziale alla periferia sud di Beirut, domenica 23 novembre: cinque morti e 28 feriti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Verso il 28 novembre: i comitati sardi chiamano alla mobilitazione

Diffondiamo l’appello uscito dalla rete Pratobello24 che invita tutti i comitati che lottano contro la speculazione energetica a unirsi allo sciopero e alla mobilitazione del 28 novembre.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Morte di Ramy Elgaml: altri due indagati per falso tra i carabinieri premiati con l’Ambrogino d’Oro

Altri due carabinieri sono stati iscritti nel registro degli indagati con le accuse di aver fornito false informazioni al pubblico ministero e di falso ideologico in atti pubblici nell’ambito dell’indagine sulla morte di Ramy Elgaml

Immagine di copertina per il post
Sfruttamento

Genova: corteo operaio sotto la Prefettura. Sfondate le reti della polizia, lacrimogeni sulle tute blu

La rabbia operaia continua a riempire le strade della città ligure contro il (non) piano del governo Meloni sul destino di migliaia di operai ex-Ilva e sul futuro del comparto siderurgico in Italia.

Immagine di copertina per il post
Crisi Climatica

Presidio permanente di San Giuliano: dove abbattono case, noi costruiamo resistenza!

Martedì 2 dicembre, durante l’assemblea popolare, i/le giovani No Tav, hanno fatto un importante annuncio: casa Zuccotti, dopo essere stata espropriata da Telt, torna a nuova vita.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino: riflessioni attorno “all’assalto squadrista alla sede della Stampa” e alla libertà di informazione

Il centro sociale Askatasuna di Torino è tornato al centro del dibattito politico nazionale dopo l’azione alla redazione de La Stampa del 28 novembre durante la manifestazione nel giorno dello sciopero generale

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Appello di docenti, ricercatori e ricercatrici universitarie per la liberazione di Mohamed Shahin

Riportiamo l’appello di docenti, ricercatori e ricercatrici per la liberazione di Mohamed Shahin, per firmare a questo link.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Investimenti israeliani sui progetti delle grandi rinnovabili in Italia

Diamo il via all’inchiesta collettiva sugli investimenti israeliani sui progetti delle grandi rinnovabili che abbiamo deciso di iniziare durante la “Due giorni a difesa dell’Appennino” a Villore, di cui qui si può leggere un resoconto e le indicazioni per collaborare a questo lavoro.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

Un primo resoconto dell’appuntamento “Due giorni a difesa dell’Appennino”: come continuare a rendere vivi i nostri presidi di resistenza dal basso

Iniziamo a restituire parte della ricchezza della due giorni a difesa dell’Appennino, svoltasi in una cornice incantevole a Villore, piccolo paese inerpicato tra boschi di marronete e corsi d’acqua, alle porte del parco nazionale delle Foreste Casentinesi.