
La Nakba dei Bambini: come Israele sta prendendo di mira il futuro palestinese
Questa guerra non riguarda solo la morte. Si tratta di rendere la vita impossibile.
Fonte: English version
Di Ahmad Ibsais – 15 maggio 2025
Immagine di copertina: Una donna incinta e il suo bambino di un anno, morti in un attacco a una tenda per sfollati a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, il 19 marzo 2025. Foto: Abdallah F.S. Alattar/Anadolu tramite Getty Images
“Per favore, non mettetelo in frigo!” ha detto. “Non sopporta il freddo.”
La sua voce si incrinò mentre implorava i medici di non mettere il suo figlio di due anni, Omar, all’obitorio. Aveva cercato di avere un figlio per nove anni. Poi, nell’istante in cui un attacco aereo si schianta contro un edificio a Khan Yunis, nella Striscia di Gaza, lui era scomparso.
Sentiamo spesso dire che il Genocidio a Gaza, iniziato nell’ottobre 2023, ha causato la morte di tantissime persone innocenti. E sebbene anche gli uomini a Gaza abbiano diritto alla presunzione di innocenza, le uccisioni di donne, oltre 20.000 donne palestinesi e 15.000 bambini, hanno dimostrato al mondo come Israele stia prendendo di mira non solo i palestinesi, ma anche il loro futuro.
Il 15 maggio, i palestinesi celebrano la Giornata della Nakba, una commemorazione della loro espropriazione collettiva, espulsione e sfollamento per mano del Progetto Sionista e dello Stato di Israele. Oggi più che mai, è evidente come questa Catastrofe non sia solo un evento del passato, risalente al 1948, all’epoca della dichiarazione d’indipendenza di Israele, ma piuttosto un tentativo continuo di distruggere il popolo palestinese.
Questa guerra, dopotutto, non riguarda solo la morte. Si tratta di rendere la vita impossibile.
Ciò è particolarmente evidente non solo negli attacchi ai bambini, ma anche nell’accesso delle donne alle cure prenatali. I reparti maternità sono stati chiusi, l’assistenza neonatale è stata praticamente annientata e migliaia di embrioni in una clinica per la fertilità sono stati letteralmente distrutti. L’UNICEF segnala un aumento del 300% degli aborti spontanei. Otto neonati sono morti di ipotermia a gennaio di quest’anno.
Distruggere la capacità riproduttiva significa cancellare il futuro di un popolo.
I palestinesi sono ora costretti a vivere, partorire e seppellire i propri figli nello stesso spazio.
L’assalto totale ai bambini getta i genitori nel panico costante. “È come un’Apocalisse”, ha detto un padre. “Devi proteggere i tuoi figli dagli insetti, dal caldo. Non c’è acqua pulita, né servizi igienici, e i bombardamenti non si fermano mai. Ti senti subumano qui”.
Questo è il punto.
Il Genocidio non riguarda solo i corpi. Riguarda le condizioni. L’attacco al futuro palestinese è parte integrante dell’attacco di Israele. È parte della Nakba in corso. Non mi credete? Basta guardare cosa ha detto il Ministro dell’Agricoltura israeliano Avi Dichter mentre la guerra si intensificava nei suoi primi giorni: “Stiamo attuando la Nakba di Gaza 2023. Ecco come finirà”.
Il bilancio
I dettagli del bilancio delle vittime, dell’assistenza prenatale e neonatale sono sconcertanti.
Quando il Ministero della Sanità di Gaza ha pubblicato un documento di 1.516 pagine che elencava i nomi dei palestinesi deceduti, le prime 27 pagine contenevano nomi la cui età era 0: bambini di età inferiore a 1 anno.
In media, 37 madri sono state uccise ogni giorno. E, negli ultimi 19 mesi, Israele ha ucciso una media di 30 bambini al giorno.
Almeno 50.000 donne in gravidanza rimangono senza assistenza medica. Le donne partoriscono tra macerie e tende, senza anestesia. La più grande clinica per la fertilità di Gaza, che ospitava 3.000 embrioni, è stata bombardata. I reparti maternità sono stati bombardati. Le incubatrici sono state chiuse dopo l’interruzione del carburante. E poi ci sono le isterectomie inutili: medici che rimuovono uteri per prevenire infezioni in assenza di antibiotici, attrezzature o strumenti puliti. Si salvano vite umane eliminando la capacità di dare la vita.
L’Articolo II delle Convenzioni sul Genocidio definisce pratiche come “l’imposizione di misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo”una forma di Genocidio. L’Articolo 16 della Quarta Convenzione di Ginevra esige una protezione particolare per le donne in gravidanza, mentre gli Articoli 55 e 56 obbligano le Potenze Occupanti a fornire cibo e mantenere i servizi medici. Israele viola palesemente tutti questi obblighi.
La distruzione di ogni ospedale di Gaza in grado di ospitare le partorienti è stata intenzionale; una commissione delle Nazioni Unite ha scoperto a marzo che Israele stava prendendo di mira le infrastrutture sanitarie.
Anche il bilancio delle vittime è straziante.
Dina Hani ‘Eleiwa era incinta di nove mesi quando il fosforo bianco è stato sganciato vicino al suo rifugio.
“Il medico mi ha detto che il bambino non si muoveva”, ha detto. “Mi ha detto che era già morto”.
Non era la sola. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani, le donne di Gaza hanno subito aborti spontanei tardivi a causa dell’esposizione a fosforo, traumi e fame.
Hadil Isma’il Sbeihat, incinta di otto mesi, sopravvive con un solo piatto di riso al giorno.
“Non c’è niente per il bambino”, ha detto. “Nemmeno l’acqua”.
Distruggere la sopravvivenza
Se l’intento del Genocidio è distruggere le condizioni in cui un gruppo può sopravvivere, allora cosa resta da discutere?
Il sistema sanitario di Gaza è al collasso. L’Ospedale Al-Shifa, l’Ospedale Nasser, l’Ospedale Al-Awda, l’Ospedale dell’Amicizia Turco, l’Ospedale Specialistico del Kuwait, sono stati bombardati o saccheggiati. Solo 17 dei 36 ospedali di Gaza erano parzialmente funzionanti, a dicembre 2024.
“Non c’è un posto sicuro a Gaza”, ha detto un’infermiera americana, volontaria di Medici Senza Frontiere.
L’architettura giuridica volta a proteggere queste donne e questi bambini è vasta. La Convenzione sui diritti dell’infanzia, ratificata da Israele nel 1991, impone agli Stati di garantire la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni bambino. Il Protocollo I della Convenzione di Ginevra proibisce gli attacchi alle infrastrutture civili e impone la protezione di elementi “indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile”.
Eppure, Israele ha bombardato non solo ospedali, ma anche acquedotti, panetterie, scuole e cimiteri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità conferma che il 95% delle donne in gravidanza e in allattamento a Gaza rischia la denutrizione. La fame è diventata un’Arma di Guerra. Dall’inizio del Ramadan a marzo, tutti i convogli di aiuti sono stati respinti.
Oltre l’80% delle infrastrutture di Gaza è in rovina. Trentasette milioni di tonnellate di detriti hanno sostituito quelle che un tempo erano case, cliniche, aule e cucine. Interi quartieri distrutti.
Hind Rajab aveva 6 anni. L’auto della sua famiglia è stata colpita a Gaza. È stata l’unica sopravvissuta. Per ore si è nascosta tra i corpi dei suoi famigliari: “Sono tutti morti intorno a me”, ha detto. “Ho così tanta paura”. L’ambulanza inviata a salvarla è stata bombardata. Il suo corpo è stato trovato giorni dopo, carbonizzato e senza vita.
In Cisgiordania, la Macchina dell’Eliminazione si muove in forme diverse. I bambini vengono giustiziati ai posti di blocco. Israele rimane l’unico Paese al mondo che detiene e processa sistematicamente i minori nei tribunali militari. Human Rights Watch ha documentato la Tortura dei bambini nelle carceri israeliane. Solo nel 2023, le forze israeliane hanno ucciso almeno 111 bambini palestinesi in Cisgiordania.
Le donne palestinesi hanno sempre saputo cosa significhi crescere la vita all’ombra della morte. Nel 1948 furono violentate ed esiliate. Durante la Prima Intifada, tennero la Resistenza quando gli uomini furono imprigionati. Ora, nel 2025, bollono le foglie per nutrire i loro bambini. Allattano al seno sotto i bombardamenti.
Gaza è un grembo che si svuota. È un luogo dove la nascita è una condanna a morte e la maternità è un bersaglio. E il mondo guarda come se la morte palestinese fosse una cosa astratta. Ma Omar non era astratto. Omar aveva un nome. Omar non sopportava il freddo.
Traduzione a cura di: Beniamino Rocchetto
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