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Messico: grandi opere e grande repressione.

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Per il Tren Maya e gli altri megaprogetti il presidente Andrés Manuel López Obrador militarizza i territori. Le grandi imprese e le milizie private ringraziano, ma i popoli indigeni e i movimenti sociali proseguono la resistenza. 

 

Sul Tren Maya il presidente Andrés Manuel López Obrador non intende tornare indietro. All’inizio di agosto, il giudice Adrián Fernando Novelo Pérez aveva imposto la sospensione definitiva al ramo “5 sur”, quello da Cancún a Tulum, ma, per tutta risposta, Amlo aveva deciso di proseguire espropriando 1 milione e 93mila metri quadrati di terra per destinarli proprio al Tren Maya.

Non solo. Per far desistere gli oppositori del progetto, comunità indigene e contadine e movimenti sociali, il presidente sembra intenzionato ad utilizzare la discussa Ley de Seguridad Nacional, promulgata nel 2005 dal panista Vicente Fox, allora a Los Pinos. La legge, il cui scopo era quello di tutelare le privatizzazioni e ridurre i diritti sociali, include tra le minacce alla sicurezza nazionale “il sabotaggio, il terrorismo e la ribellione”, che rappresentano, non casualmente, le principali accuse nei confronti di coloro che si oppongono all’opera.

Di fronte alla sospensione imposta dal giudice, il governo federale infatti, non solo ha proseguito nell’opera di espropriazione delle terre necessarie per questa grande opera, ma ha trasformato il Tren Maya in una questione di sicurezza nazionale. Il primo stop era già arrivato il 30 maggio scorso, a seguito della devastazione della selva vergine di Playa del Carmen.

Definito come un esempio evidente della recolonización capitalista que opera en territorios de los pueblos indígenas, il Tren Maya verrà imposto con la forza alle comunità indigene. La denuncia arriva arriva dai popoli chontal, chatino, zapoteco, ñu saavi, mazateco, chinanteco e zoque (Oaxaca) e otomís (Città del Messico). Per il Tren Maya, ma anche per il Corredor Transístmico, sono state organizzate delle assemblee fasulle per fare in modo che le comunità dessero il loro assenso a megaprogetti che, con la scusa di portare sviluppo e progresso nelle comunità indigene, in realtà rappresentano il cavallo di Troia per il furto delle risorse naturali.

Nel solo territorio di Oaxaca sono state attribuite alle imprese circa 425 concessioni per l’estrattivismo minerario, senza alcuna consultazione preventiva delle popolazioni: «Nos declaramos en alerta máxima por la aceleración de los megaproyectos de desarrollo establecidos para el sur-sureste mexicano y llamamos a fortalecer los procesos de resistencia desde los pueblos originarios, para posicionarse contra la violencia, el despojo y la devastación de los cuerpos y territorios».

Inoltre, i megaprogetti sono fonte di una crescente criminalizzazione dei movimenti sociali, che hanno definito il Tren Maya e tutte le altre grandi opere come guerra de exterminio capitalista. Ancora più grave è che tutto ciò sia sostenuto apertamente dal governo di Andrés Manuel López Obrador che pure, almeno in politica estera, sembra smarcarsi, sotto certi aspetti, dalle ingerenze Usa e adoperarsi per l’integrazionismo latinoamericano. Nella campagna elettorale che lo aveva condotto a Los Pinos, di fronte alle comunità indigene, Amlo dichiarò la sua contrarietà al Tren Maya.

L’imposizione del Tren Maya, ma anche dell’estrattivismo minerario, genera la crescita del paramilitarismo e dell’utilizzo di milizie private da parte delle multinazionali senza alcun intervento da parte del governo. “Le grandi opere mettono a rischio l’esistenza stessa delle comunità indigene”, ha ricordato Carmen Cariño Trujillo, docente dell’Universidad Autónoma Metropolitana (UAM), insistendo sull’immobilismo del governo, poco interessato ad offrire delle soluzioni. Alla crisi climatica ed ambientale si aggiunge la pericolosità del cosiddetto modello desarrollista in cui si identifica lo Stato e che favorisce esclusivamente le grandi imprese, sottolinea l’Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo de Tehuantepec en Defensa de la Tierra y el Territorio.

I movimenti sociali temono che la quarta trasformazione sbandierata da Obrador finisca solo per accrescere l’esclusione delle popolazioni indigene, a cui sarà imposto non solo il Tren Maya, ma anche il Corredor interoceánico e l’Istmo de Tehuantepec tramite una crescente militarizzazione dei territori.

In Messico gran parte dei popoli indigeni vive in una condizione di emarginazione, esclusione e discriminazione, ma le grandi opere saranno imposte con la forza: quello che poteva rappresentare una speranza di cambiamento sembra profilarsi, sotto certi aspetti, come un governo nel segno della continuità con quelli precedenti del panismo e del priismo.

di David Lifodi

da: La BottegadelBarbieri

 

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