Messico: identificati i resti di Christian Rodríguez, uno dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa
Christian Alfonso Rodríguez era uno studente della scuola rurale di Ayotzinapa, nello stato del Guerrero, in Messico. Amava la veterinaria e la danza folclorica, e i compagni lo chiamavano Clark per i suoi occhiali e il taglio di capelli simili a quelli dell’alter ego di Superman. Insieme ad altri 42 aspiranti maestri, a Iguala, nella notte tra il 26 e 27 settembre del 2014, Christian fu vittima di sparizione forzata.
Il 7 luglio scorso l’attuale procuratore del caso, Omar Gómez, ha confermato che alcuni micro-frammenti ossei ritrovati nella vicina città di Cocula, analizzati dall’Università di Innsbruck, appartengono al ragazzo. Questa identificazione smantella definitivamente la cosiddetta “verità storica” fabbricata dal precedente governo.
6 anni fa decine di studenti di Ayotzinapa soffrirono una serie di attacchi perpetrati dalla polizia municipale e da gruppi della criminalità organizzata, collusi con le autorità, sotto lo sguardo complice dell’esercito e della polizia federale che non impedirono la strage: 6 morti, centinaia di feriti e 43 desaparecidos fu il bilancio della “notte di Iguala”.
L’allora procuratore generale, Jesus Murillo, e il suo braccio destro, il direttore dell’agenzia per le investigazioni criminali, Tomás Zerón, oggi profugo all’estero e ricercato dall’Interpol, produssero una versione falsa dei fatti, che chiamarono, con cinica ironia, la “verità storica”.
Secondo questa ricostruzione, ottenuta da alcuni testimoni mediante tortura con il fine di insabbiare le indagini, i ragazzi sarebbero stati consegnati dalla polizia di Iguala alla banda criminale dei Guerreros Unidos per poi essere bruciati nella discarica di Cocula e gettati nel sottostante fiume San Juán.
Nell’ottobre di 6 anni fa Zerón simulò il ritrovamento di alcuni resti ossei, contenuti in borse di plastica lungo le rive del fiume, e questi risultarono essere di due studenti, Alexander Mora e Joshivani Guerrero, ma nessuno sa da dove venissero veramente, dato che fu il funzionario a piantarli come “evidenze dei fatti” in quel luogo.
La manipolazione delle prove e l’esclusione di altre piste, scomode per il governo dell’allora presidente Peña Nieto, ha impedito in questi anni l’accesso alla verità e alla giustizia per le famiglie degli studenti e la società intera, che ha reagito con la creazione di un solido movimento sociale di solidarietà.
Giornalisti ed esperti internazionali, tra cui l’Equipe Argentina di Antropologia Forense e il Gruppo Indipendente (GIEI) inviato nel 2015 dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani, hanno smontato pezzo dopo pezzo l’investigazione e le azioni del governo e della procura che, tra l’altro, tendevano a criminalizzare le vittime e le loro famiglie.
L’amministrazione di Andrés Manuel López Obrador dal dicembre 2018 ha investito molto capitale politico e risorse materiali per cercare di voltare pagina e ribaltare giudiziariamente questa falsa-verità, intensificando le ricerche sul campo, creando una commissione per la verità e una procura speciale, e anche riconoscendo le responsabilità delle autorità statali nel crimine. Qualche passo avanti è stato fatto anche se l’esercito, l’ex presidente e l’ex procuratore sembrano, per ora, intoccabili.
Le famiglie messicane che cercano i desaparecidos dicono che i resti dei loro cari, sepolti in fosse clandestine, sono dei tesori d’inestimabile valore. L’identificazione di un ossicino del piede destro di Christian è fondamentale perché è stato trovato in un’altra zona, a 800 metri da quella discarica di Cocula in cui le indagini precedenti pretendevano di seppellire la verità e chiudere il caso. Invece non è così, ed emerge una nuova verità resistente dalle ceneri dell’ignominia.
Di Fabrizio Lorusso per lamericalatina.net
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