Moubarak come Ben Ali? Il movimento avanza
E nel pomeriggio piazza Tahrir è diventata un campo di battaglia. Se nella mattinata di ieri le iniziative di contestazioni non sembravano assumere proporzioni di massa, con le ore, in Egitto i cortei sono aumentati di numero e partecipanti, fino a portare in strada decine di migliaia di contestatori del regime. Infatti agli attivisti per i diritti civili e a chi era sceso in piazza per protestare contro uno stato da sempre estremamente repressivo e autoritario, si sono aggiunti progressivamente i cortei provenienti dalle periferie animati da donne, laureati disoccupati e giovani studenti.
I quartieri operai hanno risposto così all’appello di lotta contro il regime, portando con forza le ragioni del conflitto sociale contro la crisi. Dopo alcuni casi di immolazione da parte di proletari da ieri la lotta contro il caro vita e per i diritti sociali è entrata all’ordine del giorno di un movimento che nello scontro di mercoledì ha messo in campo una prima prova tecnica scatenando rabbia e indignazione contro l’eternamente presente Moubarak. L’importante pedina della governance a stelle e strisce nell’area mediorientale è al centro degli obiettivi dei manifestanti che facendo eco alla rivoluzione in Tunisia puntano il dito contro la corruzione, la repressione, e il mal governo di un establishment-casta attenta ad assecondare gli interessi di America ed Europa quanto a disattendere i bisogni e i desideri rivendicati dalle generazioni di proletari egiziani da sempre schiacciati manu militari. La Casa Bianca vede con preoccupazione il susseguirsi degli eventi e solo in tarda serata, tramite la Clinton, ha esortato con una nota ufficiale a mettere fine alle violenze. L’Europa e Frattini, che ancora non si sono riavuti dallo shock tunisino, si sono limitati a mettere in guardia dal pericolo islamista.
Ma a ben vedere oltre a qualche esclamazione esultante declinata in omaggio ad Allah mentre i plotoni di celere indietreggiano, la piazza egiziana in movimento non sembra essere particolarmente incline ad ascoltare il discorso religioso. I Fratelli Musulmani, organizzazione islamista d’opposizione, sicuramente ben consolidata ed organizzata in Egitto ha dato indicazione ai suoi numerosi militanti di partecipare a titolo individuale ai cortei e alle mobilitazioni, segno che per ora non sembra voler investire politicamente nelle mobilitazioni anti-Moubarak e contro la crisi, attivate dall’impegno militante di molti giovani (come nel caso del gruppo I ragazzi del 6 aprile) e dall’attivismo di blogger. Gli scontri al Cairo sono durati fino a notte fonda e a piazza Tahrir i lacrimogeni hanno reso irrespirabile l’aria fino alle prime luci dell’alba. Una vera battaglia durata ore e diffusa anche in altre città dove si sono registrati i primi morti tra i manifestanti. Oggi ancora repressione. Il governo sembra aver optato per un ripiego estremamente repressivo nella gestione dei moti di piazza: centinaia di arresti, provocazioni polizieschi e cariche anche durante i cortei funebri dei manifestanti uccisi, e blocco preventivo di alcune sedi sindacali, come quella dei giornalisti che questa mattina è stata circondata da decine di poliziotti e celerini nel tentativo di sbarrare l’uscita dei giornalisti in sciopero.
Anche il web inizia a divenire terreno di lotta incandescente e le voci di sabotaggio dell’accesso alla rete sono state confermate da centinaia di giovani egiziani. Mubarak già marzo dell’anno scorso aveva rafforzato il regime di sorveglianza sulla rete egiziana, vietando (grazie alla collaborazione di Vodafone) l’utilizzo dei Skype, software che se utilizzato via rete cellulare, rendeva possibile l’accurato controllo per cui l’Autorità Nazionale Regolatrice delle Telecomunicazioni (NTRA) si è resa tristemente famosa. Ma con la “giornata della collera” lanciata ieri, le autorità egiziane (messe sul chi vive dai recenti fatti tunisini) hanno deciso di giocare ancora più sporco. Facebook e Twitter sono stati bloccati in modalità preventiva già dalle prime ore della mattinata. Il social network dei 140 caratteri, la cui potenza del contro-uso in chiave organizzativa e logistica comincia ad essere assunto come fattore consolidato nelle mobilitazioni magrebine dell’ultimo mese, sembra essere una delle armi più temute in mano ai manifestanti anche per la viralità del suo potere immaginifico e narrativo, in grado di offrire copertura immediata agli eventi in corso. In questo senso Twitter è una sorta di termometro della rete dove ieri gli hashtag #jan25 e #tahrir impazzavano, e venivano utilizzati da centinaia di migliaia di utenti per segnalare breaking news sull’andamento degli eventi in corso. Singolare (e denso di interrogativi) il fatto che per molte ore gli stessi rappresentanti di Palo Alto, abbiano tentennato nel rilasciare dichiarazioni ufficiali sull’impossibilità da parte degli utenti egiziani di accedere a twitter.
Allo stesso tempo però non sono stati pochi gli analisti di sicurezza e gli hacker sparsi per il pianeta, che fino a notte fonda hanno scandagliato i gateway della rete egiziana riuscendo ad individuare le modalità del blocco messo in atto dal Cairo ed indicando soluzioni di ripiego sulle modalità per aggirarle. Non è mancato neanche questa volta l’apporto di Anonymous (per ora ancora in sordina anche se i rumors sostengono che sia pronto un carico da dodici da essere gettato sul tavolo a seconda di come andrà evolvendosi la situazione nelle strade del Cairo) che nella giornata di ieri ha sferrato i primi attacchi contro il sito del ministero dell’interno e quello delle comunicazioni (anche se altri obbiettivi come il sito del ministero degli esteri sono presenti in una lista che è stata stilata e che circola in rete).
Certo è, che una volta di più, la guerra guerreggiata che ha avuto come teatro questa volta l’infosfera egiziana, mette in evidenza come ben al di la della censura, si combatta una battaglia di percezione e fiducia tra differenti reti, non solo tecnologiche, ma anche politiche e sociali: non erano pochi in fatti ieri gli account su twitter e facebook che diffondevano informazioni false sull’andamento delle mobilitazioni e propaganda filo NDP. Reti che tracimano la stessa internet se è vero che non sono mancati accorati inviti inviati attraverso i social network ai residenti del Cairo ad aprire le proprie connessioni wireless per permettere ai manifestanti in piazza di mettere al corrente il mondo degli avvenimenti.
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“Abbiamo una sola richiesta: que se ne vadan tutti, e per primo Ghannouchi!”
Ancora una giornata di scontri e pressione del movimento che non vuole cedere all’esercito la posizione conquistata dalla Carovana della Liberazione che aumenta di giorno in giorno. Con l’annuncio di un prossimo rimpasto del governo la repressione si è fatta più dura alla Kasbah e i militari hanno iniziato ad impedire agli abitanti di Tunisi l’accesso per portare vivande e coperte a chi, venuto anche da centinaia di kilometri di distanza dalla capitale, sta animando il presidio permanente. Questa mattina ancora lacrimogeni e sassaiole per contendersi lo spazio tra il movimento e l’esercito posto a difesa della sede del primo ministro.
Da Sfax arrivano le voci della riuscita dello sciopero generale utile per i sindacalisti anche a denunciare il clima di criminalizzazione architettato dai media ufficiali contro le iniziative sindacali e le ripetute provocazioni della milizia che in questi giorni sembra riaver nascosto nell’armadio passamontagna e mitragliette tentando una nuova strategia offensiva contro i passi in avanti del movimento rivoluzionario. A Gafsa alcuni uomini dell’RCD sono stati sorpresi mentre provavano a raccattare qualche disperato per aizzarlo contro la sede del sindacato e a Tunisi si è svolta la prima manifestazione in sostegno del governo di transizione. Poche centinaia di manifestanti, nella maggioranza impiegati, hanno tentato di gridare qualche slogan pro-Ghannouchi venendo bruscamente allontanati dai passanti che li hanno apostrofati come “ladri della rivoluzione!”. Neanche 5 minuti e il teatrino pro-governo era sparito, lasciando al movimento rivoluzionario il suo viale, l’Avenue Bourguiba.
Ancora tentativi di provocazione e attacco della milizia sono stati smascherati dall’ordine degli avvocati che hanno denunciato, in una nota ufficiale, la presenza di alcuni miliziani camuffati da giovanotti di borgata all’opera per provocare, intimidire e provocare i coetanei venuti a presidiare la kasbah dalle altre città. La milizia armata dopo essere stata scacciata dalle periferie grazie ai gruppi di auto difesa territoriale, tenta di attaccare il movimento ripulendosi il viso o prendendo spunto da pratiche neofasciste e neosquadriste. Ma la vigilanza del movimento grazie, in questo caso, al lavoro degli avvocati ha saputo bloccare sul nascere i tentativi di provocazione.
Sul fronte del governo, l’establishment, oltre a tentare la carta del rimpasto, prova altre deboli manovre per placare la piazza, è il caso dell’avvicendamento di diversi ambasciatori e della richiesta all’interpol di catturare Ben Ali per essere processato. Ma a ben vedere dall’affluenza alla kasbah di queste ore, le mosse di aggiustamento del regime non convinco i manifestanti.
Intanto ieri sera è andato in onda il Gheddafi show organizzato dal canale televisivo tunisino di proprietà di Berlusconi. NessmaTV ha trasmesso una lunga intervista a Gheddafi che in prima battuta non ha potuto fare a meno di consigliare ai tunisini di abbandonare le proprie ambizioni repubblicane per abbracciare la fortunata esperienza libica della Jamahiriya (in crisi e contestata in questi giorni da rivolte sociali e lotte per il diritto alla casa e ai servizi) e poi ha assicurato i telespettatori che dietro la rivoluzione ci sono interessi stranieri (americani?) che hanno provocato la caduta del regime del vecchio alleato. I contenuti dell’intervista hanno provocato diverse reazioni comprese quelle dell’inviato speciale della Casa Bianca che ha negato qualsiasi intromissione statunitense in Tunisia, ricordando di essere da due giorni a colloquio con ministri e opposizione solo per dare suggerimenti amministrativi su come organizzare al meglio le prossime elezioni. Ad entrambi non avrebbe creduto comunque nessuno ma dopo aver letto mesi fa i cables di wikileaks per i tunisini non resta altro che andare avanti con le idee ben chiare e proseguire i propri grandi scopi… di liberazione.
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