Avere paura degli aquiloni
Da piccola passavo una parte dell’estate in Marocco, il paese d’origine dei miei genitori.
Quelle settimane le ricordo con il sorriso, tanto amore e un po’ di malinconia.
Passavo le mie giornale nel darb a socializzare con i coetanei della zona. Mi chiedevano come fosse l’Italia, come mai avessi un accento così strano, ridevamo, scherzavamo e giocavamo, tanto.
Ricordo che rimanevamo per ore con lo sguardo all’insù a giocare con l’aquilone, tutti ne avevano uno anche grazie al suo costo contenuto (circa 1,60€) e chi non se lo poteva permettere lo costruiva da solo o con l’aiuto degli amici: sacchetti di plastica riciclati, dei bastoncini di legno, dello spago e via in strada o sui tetti a farli volare.
Nel Nord Africa era ed è una delle attività più diffuse – sopratutto nei quartieri popolari – e durante le settimane di isolamento imposte per contenere la pandemia da Covid-19 l’attività si è intensificata, sopratutto in Egitto, anche nel centro della capitale, il Nilo.
Un simbolo di libertà, un modo per passare il tempo infinito e apatico del lockdown, per continuare a rimanere insieme nonostante il distanziamento fisico e, quando il 27 giugno il coprifuoco è stato revocato, in molti si sono riversati sulle sponde del Nilo per lasciar finalmente scorrere il filo e far volare il più in alto possibile l’aquilone.
Una riscoperta che ha fatto felice anche i negozianti e i venditori ambulanti che hanno convertito la loro mercanzia, inoltre i muratori rimasti senza lavoro si sono reinventati costruttori di aquiloni.
Il gioco più amato, però, si è trasformato ben presto in una “minaccia per la sicurezza nazionale”.
La notizia è uscita quasi clandestinamente qualche settimana fa attraverso alcuni canali di informazione – da sottolineare che Reporter senza Frontiere classifica l’Egitto 166esimo su 180 paesi in tutto il mondo per la libertà di stampa e nel 2018 lo descriveva come “una delle più grandi prigioni del mondo per i giornalisti”.
Il tutto è cominciato quando la Polizia egiziana, il 10 luglio, ha sequestrato 369 aquiloni al Cairo e 99 ad Alessandria, multando i possessori per 300 sterline egiziane, un duro colpo per un popolo sempre più povero e con 60 milioni di persone sotto o poco sopra la soglia di povertà.
Altri fermi sono stati compiuti a Suez, Helwan e Menofia.
Secondo Middle East Eyes sarebbero centinaia i ragazzini che sono stati posti in stato di fermo. Sono stati colpito anche i negozianti – colpevoli di averli venduti e costretti a pagare multe troppo salate per i loro bassissimi stipendi – e gli stessi genitori così da trasformarli nei primi censori dei propri figli.
La motivazione ufficiale della messa a bando – adottata dagli agenti di Polizia – è quella della tutela degli stessi ragazzi dopo qualche incidente fatale reso noto tra giugno e gli inizi di luglio di quest’anno: un ragazzino di diciassette anni è rimasto folgorato, dopo che il suo aquilone aveva toccato dei cavi elettrici e una dodicenne è morta dopo essere caduta dal diciassettesimo piano di un grattacielo.
Ma la vera motivazione, come sostiene l’opposizione, è che dietro a questa misura ci sia l’intento di incrementare il controllo sociale del paese.
La guerra contro gli aquiloni è stata avviata da Khaled Abu Talib, un parlamentare egiziano e membro del comitato parlamentare per la difesa e la sicurezza nazionale, che ha usato la sua posizione per rivolgere il suo appello direttamente al Primo Ministro.
Lo stesso, a giugno, ha chiesto il bando totale degli aquiloni poiché potrebbero minare non la sicurezza individuale bensì quella nazionale tramite usi loschi come l’applicazione di piccole telecamere volte a spiare luoghi secretati come le postazioni militari:
«Non voglio criminalizzare gli aquiloni, voglio avvertire del pericolo di certe pratiche. Alcuni potrebbero attaccarci sopra delle piccole e moderne telecamere e fotografare siti vitali. Se oggi la gente li vede come divertimento, in futuro qualcuno con intenzioni malvagie potrebbe usare bambini e giovani per atti illegali».
A rincarare la dose ha contribuito il governatore di Alessandria, Mohamed al-Sharif, che ha vietato gli aquiloni sulle spiagge.
Il provvedimento ha ulteriormente ristretto gli spazi di divertimento dei ragazzini già danneggiati dalla scarsità di verde e dai costi elevati e inaccessibili dei centri sportivi, colpisce la libertà di gioco e la risorsa lavorativa di tanti e, sopratutto, evidenzia l’ossessione per la sicurezza nazionale in un Paese che ha forti ambizioni geopolitiche.
Un Egitto che, dopo sette anni di regime Al-Sisi si ritrova schiavo dell’esercito, della repressione e della povertà – tre egiziani su dieci sotto la soglia di povertà e altrettanti appena sopra e il debito pubblico è triplicato, da 112 miliardi di dollari del 2014 agli attuali 321.
Ci sono continui aumenti di tasse e tagli dei sussidi, la classe media è scomparsa mentre l’élite (esercito e i servizi segreti) si arricchisce.
Un paese le cui carceri sono sovraffollate e pessime – secondo Amnesty International sarebbero oltre 60mila i prigionieri politici su una popolazione carceraria di 140mila unità – e la cui repressione costringe i bambini a subire gravi abusi – come sottolinea Human Rights Watch nel report dal titolo “A nessuno importava che fosse un bambino” da poco pubblicato in cui vengono denunciate gli abusi, le torture e le sparizioni forzate subiti da decine di bambini da parte di polizia e ufficiali dell’esercito egiziano.
Nonostante ciò c’è un filo che lega l’Egitto all’Italia, ma non è quello di un aquilone bensì di accordi per la vendita di armi e queste sì, sono un pericolo per la vita delle persone – nel 2019 l’Egitto è stato il primo paese destinatario di armamenti italiani per un totale di 871 milioni di euro.
“…La carta e la colla insieme, incrociare due canne più forti, legate allo spago le nostre speranze, nei nostri aquiloni i sogni mai morti…”.
Siham Ouzif
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