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Nella valle del Giordano, gli inumani-ma-umani bulldozer arrivano all’alba

da: Haaretz, 20 settembre 2013

Una visita al villaggio di Khirbert Makhoul in Cisgiordania, demolito questa settimana con il pretesto che le case fossero state costruite senza permesso.

Esaminate con attenzione la fotografia scattata da Alex Levac su questa pagina. Dalle rovine della sua casa, il ragazzo qui raffigurato ha appena salvato una coppia di colombe bianche e sta cercando di tenerle in vita, mentre il suo figlioletto lo osserva. I resti della loro casa appena demolita sullo sfondo.

Il villaggio di Khirbet Makhoul, al nord della valle del Giordano, non lontano dall’insediamento Ebraico di Hemdat e da una base militare della brigata Kfr, è stato completamente distrutto. Intere dozzine di baracche di stagno, recinti per animali, capanne di fieno e corsi d’acqua non esistono più. Persino il piccolo parco giochi è scomparso. Il tutto è successo lunedì mattina all’alba.

Quando quel mattino siamo arrivati sul posto poco più tardi dell’alba, l’ultimo dei bulldozer, i soldati, il personale d’amministrazione civile e la polizia avevano già lasciato l’area. In piedi, vicino ad ogni baracca, un pastore cerca di fare del suo meglio per recuperare dalle rovine quel che resta dei suoi esigui possedimenti. La scena è pregna di rassegnazione e shock in ogni suo elemento – lo stesso insieme di emozioni che ho visto in un villaggio di pescatori in Giappone, distrutto da un terremoto nel Marzo 2011. Ma quello era un disastro naturale, mentre questo il frutto dell’azione di esseri umani, quel tipo di azioni che riempiono le pagine del diario dell’occupazione israeliana.

Il silenzio regna nella valle del Giordano e non viene violato nemmeno dai ricercatori delle organizzazioni per i diritti umani, i rappresentanti delle organizzazioni di aiuto internazionale, o dai funzionari dell’autorità palestinese arrivati in loco. Con voce soffocata, gli oppressi pastori raccontano a chiunque abbia pena di ascoltarli quanto accaduto alle loro proprietà un paio d’ore prima.

Tutto legale, ovviamente. Tutti gli ordini di demolizione per case costruite senza permesso sono legali; persino la Corte Suprema approva le demolizioni. Tutto meticolosamente legale, secondo le leggi di occupazione.

Osservate le case degli insediamenti circostanti, osservate i loro campi verdeggianti, alcuni dei quali terreni privati – e capirete. Osservate i cumuli di sporcizia ammucchiati ai margini delle strade della valle del Giordano, ideati per soffocare i residenti – e capirete. Osservate l’infinito numero di blocchi in calcestruzzo adornati dalla scritta “Firing Zone” piazzati vicino ad ogni tenda – e capirete. Osservate la linea politica non dichiarata in quest’area remota – e capirete.

Qui, lontano dal radar dell’opinione pubblica, è in atto un’espulsione sistematica.

Domenica, alle tre di mattina circa, il pastore Burhan Basharat viene risvegliato nella sua baracca; un vicino ha avvistato dei bulldozer sulla strada. Ci vorranno circa due ore prima che i bulldozer delle Forze di Difesa Israeliane percorrano per intero la sporca strada che conduce al villaggio dei pastori. Due ore dopo non resterà alcuna traccia dello stesso.

Basharat è un giovane uomo che indossa una kefiah intorno al collo, la faccia bruciata dal sole. È in piedi davanti alle rovine della sua baracca, situata più sopra, sul pendio della collina. Non apre bocca. “È un duro colpo,” sussurra infine verso di me. Basharat è padre di otto bambini.

Interi greggi sono rimasti senza pastore, ed ancor peggio, senza il benché minimo accenno di ombra o anche una goccia d’acqua nella rovente calura della valle. Un veterinario accorso sulla scena che lavora per conto dell’organizzazione umanitaria Oxfam, sta cercando di salvare il bestiame rimasto senza riparo. Anche rappresentanti della Croce Rossa Internazionale sono arrivati. Alcune pecore brulicano al di sotto delle rovine, e centinaia sono ferme dietro di loro. Solo i forti sopravvivranno qui. Queste sono le regole del gioco.

Le pecore, il principale mezzo di sostentamento degli abitanti della zona, sono ora a rischio. Ahmed al-Assad, vice governatore di Tubas, e Aref Daraghmeh, capo del consiglio di al-Malih, stimano che il danno causato alle 12 famiglie che risiedono qui sia di circa 500,000 NIS. Promettono che l’Autorità Nazionale Palestinese si investirà nello sforzo di ricostruzione del villaggio.

Un bambino scoppia in lacrime; suo padre cerca di calmarlo. Quando crescerà, si ricorderà di questi eventi. Il parco giochi suo e dei suoi amici è ridotto in macerie. L’anziano pastore Mahmud Basharat dice che gli abitanti del villaggio non si sono opposti alla demolizione. “Cosa potevamo fare? Se provi a fare qualcosa,” dice, “ti uccidono.”

Il suo amico, il pastore Khalaf bin-Oudeh, rassicura che il villaggio sarà ricostruito dagli abitanti: “I soldati ci hanno detto, ‘Uscite di qui. Questa terra appartiene allo stato di Israele. Se rimanete qui, torneremo tra altri 10 giorni.’ Ho chiesto al comandante dei soldati di esibire un documento con l’ordine di demolizione. Ci ha detto, ‘Non posso darvi niente. Andate via.’ Ma noi non andremo via, succeda quel che succeda.

“Chi lascerebbe la propria casa? Per cederla a chi? Ai soldati? Hanno basi militari qui vicino. Ai coloni? Hanno tre insediamenti nelle vicinanze. Vorrei chiedere questo ai militari: Esiste una legge in Israele che permette che una cosa del genere succeda? Esiste una legge in Israele che permetta di trattarci così, come se non fossimo esseri umani? Ho lavorato in Israele e lo so. Lì tutto questo non succede.”

Due anziani pastori dicono di vivere qui da 25 anni circa e che questa è la loro terra. Un’autocisterna appare dalla strada principale. Bin-Oudeh cerca di raccogliere quello che fino a questa mattina era il tetto della sua casa, in modo da tirare fuori alcuni possedimenti domestici. Anche lui non è più così giovane, ed ha difficoltà a sollevare le aste di ferro dalla pila di detriti. Una batteria sulla cui etichetta si legge “batterie prodotte in Israele” – l’unica fonte di energia nel villaggio – rotola sul terreno, vicino ad una televisione Nordemende.

Il giorno seguente, un portavoce del Coordinatore delle Attività Governative dei Territori ha emanato la seguente risposta alla nostra richiesta di informazioni: “Le strutture in questione sono fuorilegge e sono state costruite senza permessi di costruzione. Le strutture sono state demolite in seguito al rifiuto della petizione contro la demolizione della Corte Suprema il giorno 28 Agosto 2013.

 

traduzione di Claudio de Majo

L’articolo in inglese

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