#non_au_5_eme_mandat, l’Algeria si infiamma contro il quinto mandato di Bouteflika
E’ una vera e propria marea umana quella che ha invaso le strade di tutta l’Algeria durante la giornata di venerdì.
All’appello alla mobilitazione, lanciato in maniera autorganizzata e senza l’appoggio di partiti o sindacati, contro la candidatura a un quinto mandato del presidente in carica, Abdelaziz Bouteflika, hanno risposto centinaia di migliaia di persone, nelle maggiori città come nei centri minori del paese.
La candidatura del presidente, in carica dal 1999, era stata presentata ufficialmente lo scorso 10 febbraio, sollevando un’ondata di sdegno generalizzata. Gravemente malato e incapace di pronunciare discorsi pubblici da anni, Bouteflika appare come la marionetta dietro alla quale si nascondono le élites che dirigono il paese e che impediscono il ricambio delle classi dirigenti. È il rinnovamento politico ad essere richiesto, innanzitutto, dai manifestanti, la cui intenzione è quella di non fermarsi e di impedire la rielezione, certa, del presidente alle elezioni di aprile.
Se i vertici del Fronte di Liberazione Nazionale avevano tremato, riuscendo comunque a superare indenni le cosiddette primavere arabe, che avevano sconvolto la quasi totalità dei paesi confinanti, questa volta le istanze, radicali, delle piazze algerine non sembrano mediabili. La transizione verso la pace, in un paese sconvolto dal terrorismo islamico del decennio nero, unita a un impressionante piano di investimenti sociali aveva garantito la tenuta del potere da parte dell’entourage che sostiene il presidente in carica. Tuttavia, tale strategia si rivela oggi insufficiente alla conservazione del consenso: il lungo periodo di sofferenza economica causato dal crollo del prezzo di gas e petrolio, sulla cui esportazione si regge l’intera impalcatura economica algerina, unita allo scollamento fra la realtà sociale del paese e il blocco di interessi economico-politici al comando, ha rotto l’incantesimo del ventennio di Bouteflika. La credibilità del FLN, già deteriorata fra l’incudine della critica neoliberale, che accusa il governo di comprare la pace sociale, e il martello degli islamisti, il cui peso politico resta estremamente alto e influente dagli anni successivi alla guerra civile, è, in questo momento, completamente azzerata e lascia spazio a incognite riguardo al futuro.
La giornata di venerdì apre, in questo senso, a scenari inediti. Lo spauracchio del recupero da parte degli islamisti della mobilitazione anti-Bouteflika è stato spazzato via da una piazza estremamente giovane, eterogenea e attraversata da un’interessante partecipazione femminile, dato per nulla scontato. La gestione dell’ordine pubblico è stata, d’altro canto, estremamente oculata: nonostante i 41 arresti effettuati e qualche breve e isolata schermaglia con la polizia, è stato permesso ai manifestanti di marciare su Algeri, in barba al divieto di manifestare nella capitale in vigore dal 2001, e il corteo è arrivato fin sotto El Mouradia, il blindatissimo palazzo presidenziale. Come ha osservato, sarcasticamente, la giornalista Leila Beratto sul suo profilo twitter, non vi è memoria di manifestazioni recentemente arrivate fino a lì, salvo quella dei poliziotti di qualche anno fa. Una gestione dell’ordine pubblico che non lascia spazio a interpretazioni e denota il terrore da parte del potere di fenomeni di piazza tanto vasti e determinati e che possono degenerare di fronte alla minima provocazione poliziesca.
Protagonisti della giornata e della mobilitazione, in generale, sono i giovani. In un paese in cui l’età media si attesta intorno ai ventisette anni e in cui la disoccupazione giovanile è al 30%, la rivolta di ieri assume immediatamente i caratteri di uno scontro generazionale. I nuovi ventenni, che non hanno vissuto direttamente gli anni del terrorismo, non sembrano più disposti ad accettare il “meno peggio” in nome della lotta alla jihad e al mantenimento della pace, mentre non è, tantomeno, più possibile per il partito di governo continuare a fondare la propria legittimità sui richiami alla guerra d’indipendenza, di cui, ormai il ricordo si fa sempre più sbiadito.
Intorno alle istanze di rinnovamento si gioca la partita fra le élites ultra-corrotte del FLN e una società che richiede a gran voce il ricambio politico e la possibilità di decidere e avere voce. Il protagonismo giovanile in una partita che sembra preconizzare uno scontro radicale e di lunga durata sarà determinante. In gioco, a ben guardare, non vi è solo la candidatura di un presidente che, probabilmente, non è più nemmeno in grado di rendersi conto di cosa stia succedendo attorno a lui, ma la messa in discussione di una società profondamente gerontocratica e la possibilità di decidere, da parte dei giovani, e non solo, sul proprio futuro. Intanto, ci si prepara alla marcia degli studenti di martedì 26 febbraio.
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