Obama gela le speranze palestinesi
Benjamin Netanyahu avrebbe potuto cancellare il suo viaggio a Washington: Barack Obama ha fatto tutto il lavoro al suo posto, o almeno un bel po’. Il primo ministro, però, è già in viaggio e dunque potrebbe almeno consegnare alla Casa Bianca un mazzo di fiori. Netanyahu può sedersi e rilassarsi. Non è che Obama non abbia detto chiare e ferme parole sul Medio Oriente; è che molte di queste parole, se non tutte, avrebbero potuto essere dette da Netanyahu in persona, che dunque potrà continuare ad andare avanti come preferisce.
I 1500 nuovi appartamenti a Gerusalemme saranno costruiti, discorso o non discorso. Il vero test per questo discorso, come per qualsiasi altro, è ciò che accadrà dopo e il sospetto che non accadrà un bel niente.
Obama non ha detto una parola su cosa dovrebbe succedere se le due parti disobbedissero alle sue indicazioni. È stato il discorso del re, certo, ma il re sembra già mezzo nudo. Considerando la debolezza dell’America, e il potere del Congresso e delle lobbies ebraiche e cristiane che lavorano per conto del governo israeliano, la destra israeliana può rilassarsi e continuare a fare ciò che fa.
Ieri il presidente degli Stati uniti ha demolito l’unico risultato palestinese – l’ondata di appoggio internazionale per il riconoscimento dello stato, a settembre.
Settembre è morto ieri notte. Dopo l’America, anche l’Europa ritirerà il suo appoggio; le speranze sono finite per una dichiarazione storica da parte delle Nazioni Unite.
Ai palestinesi, di nuovo, rimangono Cuba e il Brasile, mentre noi ci teniamo gli Usa. C’è un’altra ragione per tirare un sospiro di sollievo a Gerusalemme: non arriverà alcuno tsunami diplomatico, gli Usa rimangono incollati a Israele. Purtroppo, il presidente ha anche espresso le sue riserve sul governo di unità nazionale palestinese. Gli Stati uniti appoggiano la richiesta israeliana che il nuovo stato palestinese sia smilitarizzato, appoggiano il rinvio della discussione sui rifugiati e su Gerusalemme, parlano della sicurezza di Israele e solo della sicurezza di Israele, senza dire nulla della sicurezza dei palestinesi. Tutti questi sono impressionati, anche se virtuali, successi per Israele. I palestinesi ieri non sono stati inseriti nell’elenco dei popoli arabi oppressi o nella mappa del Medio Oriente che ha bisogno di essere liberato e aiutato a trovare la strada per la democrazia. Obama ha parlato in modo impressionate dei corrotti alleati degli Usa nella regione, e ha fornito ulteriore incoraggiamento illuminato ai popoli del Medio Oriente. Il primo discorso al Cairo ha dato l’ispirazione iniziale, Cairo 2 ha fornito una spinta più significativa. Obama e la sua determinazione sono da lodare.
Le sue parole non sono state ascoltate solo a Damasco e a Bengasi, ma anche a Jenin e Rafah. Voleva lodare anche Majdal Shams? Hurrà per i manifestanti non armati, nella speranza che Obama si riferisse anche a quelli palestinesi. Se voleva farlo, è un peccato che non l’abbia detto.
Quando ha citato il venditore ambulante tunisino che è stato umiliato da una poliziotta che gli ha rovesciato il banchetto – il venditore che poi si è dato fuoco e ha acceso la rivoluzione – Obama pensava forse anche alle centinaia di venditori ambulanti palestinesi che hanno sofferto esattamente lo stesso tipo di trattamento da parte dei soldati e dei poliziotti israeliani? Quando parlava della dignità dei venditori ambulanti oppressi, si riferiva anche ai loro fratelli palestinesi? Il discorso non lo ha mostrato abbastanza. Il conflitto tra Israele e i palestinesi è stato lasciato ai margini del discorso di Obama, più di quanto meritasse. Questo conflitto accende ancora grandi passioni nel mondo arabo, e con tutto il rispetto per il nuovo Piano Marshall per l’Egitto e la Tunisia, le masse arabe sui loro televisori non vogliono vedere un’altra Piombo Fuso e altri check point.
Quando è arrivato a noi, il tono era differente. Sì, ci sono state dure parole sul fatto che uno stato ebraico e democratico non è compatibile con l’occupazione. C’è stato perfino un piano presidenziale – i confini del 1967 con qualche correzione, uno stato palestinese e uno ebraico, la sicurezza di Israele e la smilitarizzazione della Palestina.
Non agitiamoci troppo, però. Le abbiamo sentite prima parole simili e non solo da parte di presidenti americani, ma anche da primi ministri israeliani. E cosa abbiamo avuto? Un nuovo quartiere ebraico a Gerusalemme Est.
Il cuore vuole credere che questa volta sia diverso, ma la testa – saggia per l’amara esperienza di piani di pace messi da parte e discorsi vuoti – trova difficile crederlo.
Gli ottimisti diranno che ieri è stata la fine dell’occupazione israeliana. I pessimisti, e io purtroppo sono tra loro, diranno che è stato solo un altro discorso. Non ha cambiato praticamente nulla in meglio e praticamente nulla in peggio.
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