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Palestina. Altre uccisioni ma non si ferma la resistenza

Le autorità ebraiche hanno affermato di essere state costrette a colpire, sia “attentatori” che attaccavano le difese israeliane, sia quei contadini che “minacciosamente” si avvicinavano nella buffer zone. Questa zona, che si estende da 500 a 1500 metri all’interno della Striscia di Gaza, rappresenterebbe una zona di “sicurezza” necessaria alla “sicurezza” dello stato sionista. Una terra tolta ai contadini di Gaza, all’oltre milione e mezzo di palestinesi che vivono in quella prigione a cielo aperto, nel territorio più popolato al mondo.

Jihad Hamad è la terza vittima della violenza israeliana negli ultimi due giorni nei territori palestinesi: ieri ad essere uccisi sono stati Nafi al Saadi, ventitreenne colpito a morte durante gli scontri in un campo profughi nell’area di Jenin, e, nelle stesse ore, Saleh Samir Abd al-Rahman Yasin, ventottenne caduto anch’egli sotto i colpi israeliani nei pressi di Qalqilya, nel nord della West Bank.

L’esercito israeliano uccide credendo di abbattere gli animi e la lotta dei palestinesi, ma il popolo non si fa intimorire: dopo ogni uccisione in migliaia sono coloro che scendono per le strade palestinesi. Lo si è visto nelle strade di Jenin e di Qalqilya, da ieri piene di migliaia e migliaia di palestinesi che non hanno smesso un attimo di scontrarsi con l’esercito israeliano e di manifestare per la libertà, per la giustizia delle vittime.

Il ricordo degli “shaheed” (martiri) palestinesi, fa male, ma riesce ad aumentare la lotta e la resistenza quotidiana di un popolo che non si dà per vinto, che continua e continuerà sempre a lottare. Con il ricordo di Wajih al-Ramhi, quindicenne ucciso appena 2 settimane fa nel campo profughi di Jalazoun, dei 28 palestinesi uccisi dalle forze d’occupazione solo dall’inizio dell’anno. Per l’autodeterminazione, per il diritto al ritorno.

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