Palestina: autobus separati per coloni israeliani e lavoratori
Quanto prospettato un anno e mezzo fa è realtà. Un atto dalle reminescenza sudafricane, della Pretoria dell’apartheid, della segregazione razziale imposta dagli Afrikaners.
A mettere nero su bianco la separazione etnica nei Territori Occupati è stato il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon, campione di ultranazionalismo nel sempre più estremista governo Netanyahu. Dal mese prossimo gli autobus che dalla Cisgiordania portano in territorio israeliano saranno divisi: uno per i lavoratori palestinesi, l’altro per i coloni israeliani. Ai palestinesi non sarà permesso usare gli stessi checkpoint dei coloni, ma un solo punto di passaggio lungo il Muro. Ovvero, un primo bus li condurrà al checkpoint di Eyal, a Qalqiliyah, un secondo li attenderà dall’altra parte della barriera di separazione per portarli al lavoro in una città israeliana. Per i coloni il viaggio sarà più veloce: un autobus diretto dall’insediamento a Tel Aviv.
La direttiva è stata emessa dopo una riunione tra il ministro e i leader del movimento dei coloni secondo i quali viaggiare fianco a fianco con i palestinesi è pericoloso: “Prendere questi autobus è folle, sono pieni di arabi – ha commentato Moti Yogev, israeliano del partito Casa Ebraica, che ha il suo bacino di elettori tra i coloni dei Territori Occupati – Abbiamo saputo di ragazze molestate dagli arabi durante i viaggi”.
Si torna così a tre anni fa quando il generale Alon, ora capo del comando centrale dell’esercito, aveva deciso che palestinesi e israeliani potevano viaggiare negli stessi autobus perché convinto che i primi non rappresentassero alcuna minaccia per i secondi. A monte, non solo il razzismo che sta montando ogni giorno di più tra la popolazione israeliana, ma anche il “fastidio” per le attese ai checkpoint dove i palestinesi residenti in Cisgiordania trascorrono un tempo considerevole perché controllati da capo a piedi dall’esercito e le compagnie private di sicurezza.
Un fastidio insopportabile per i coloni che vivono in Cisgiordania in insediamenti considerati illegali dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite: secondo la IV Convenzione di Ginevra, al potere occupante è proibito trasferire la propria popolazione nei territori occupati. Una previsione che non ha mai toccato i vertici israeliani, che proseguono da decenni nella colonizzazione selvaggia della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, dove gli insediamenti si moltiplicano e il numero di coloni lievita.
Poco importa. Tra un mese ai palestinesi sarà vietato salire a bordo degli stessi autobus dei coloni. Centinaia di palestinesi del nord della Cisgiordania che ogni giorno si recano al lavoro in Israele perché di alternative nei Territori ne hanno ben poche: a causa delle restrizioni imposte dalle autorità israeliane e la perdita del controllo delle risorse naturali e delle terre a favore di Tel Aviv, l’economia palestinese è stato privata delle necessarie basi produttive, distrutta e resa totalmente dipendente da quella israeliana e dagli aiuti internazionali. Ed ecco che decine di migliaia di palestinesi sono costretti a lavorare in Israele.
Ora il governo torna alla carica con una misura dal sapore di segregazione. Ci avevano provato già a marzo 2013, quando la compagnia di trasporti pubblici israeliana Afikim annunciò la creazione di linee riservate ai palestinesi, per assecondare le proteste dei coloni. All’epoca il progetto fu difeso dall’esecutivo: il Ministero dei Trasporti, nel tentativo di svicolare le critiche, scrisse in un comunicato che “le nuove linee non sono linee separate per palestinesi, ma piuttosto due diverse linee per migliorare i servizi offerti ai lavoratori arabi che entrano in Israele dal checkpoint di Eyal. Il Ministero non è autorizzato a impedire a nessun passeggero di salire a bordo di un mezzo di trasporto pubblico: la creazione delle nuove linee è stata fatta con il completo accordo dei palestinesi”.
“Il tentativo di segregazione è palese e le giustificazioni fornite (‘rischio per la sicurezza’ e ‘eccessivo affollamento’) non possono permettere il camuffamento di una politica razzista”, aveva commentato il direttore esecutivo dell’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, Jessica Montell, che ieri di nuovo ha ripetuto la stessa accusa. A poco servirà. Chissà cosa ne pensa Obama, primo presidente afroamericano statunitense, che sulle lotte dei neri americani per l’uguaglianza ha posto le basi della sua campagna elettorale. Uomini e donne che si batterono per poter usare gli stessi autobus dei bianchi.
di Chiara Cruciati per Nena News
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