Palestina. Giorno del Prigioniero, Barghouti contro Fatah
Intanto nelle carceri israeliane, circa tremila detenuti palestinesi sono in sciopero della fame per protestare contro le politiche detentive israeliane.
Nella Giornata del Prigioniero Palestinese, celebrata ogni anno il 17 aprile, in solidarietà con le migliaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, la società civile organizza commemorazioni e i vertici politici fanno polemiche.
Gli ultimi mesi sono stati intensi sul fronte del movimento dei prigionieri politici: due morti e quattro scioperi della fame, due dei quali finiti con l’esilio. Il 18 febbraio Arafat Jaradat, 30enne di Hebron, è morto dopo una settimana di detenzione nel carcere di Megiddo, probabilmente ucciso dalle torture. Il 2 aprile, a morire è stato il 64enne Maysara Abu Hamdiya, malato terminale di cancro a cui Israele non ha fornito le necessarie cure.
Resta in carcere e prosegue lo sciopero della fame Samer Issawi, 33 anni, residente nel quartiere di Issawiya a Gerusalemme: negli ultimi giorni il detenuto è stato sottoposto a forti pressioni da parte delle autorità israeliane perché accetti la deportazione nella Striscia di Gaza o all’estero in cambio del rilascio. Issawi continua a rifiutare: “O libero a Gerusalemme o preferisco morire”, ha più volte ripetuto.
Ieri proprio a Gaza sono stati i più piccoli a celebrare i prigionieri palestinesi: centinaia di bambini hanno lanciato in aria palloncini colorati che hanno portato i loro messaggi, scritti su piccoli pezzi di carta. Si muovono anche i vertici politici: il ministro per gli Affari dei Prigionieri dell’Autorità Palestinese, Issa Qaraqe, ha fatto sapere che Ramallah non intende più pagare le multe imposte dalle corte militari israeliane ai detenuti palestinesi e non rimborserà quelle già pagate dalle famiglie dei prigionieri. Per ragioni politiche: “Le multe imposte ai prigionieri sono parte del ricatto israeliano volto a finanziare le spese dei tribunali, i palestinesi coprono il budget dei loro secondini”, ha detto a GulfNews Jawad Al Amawi, capo dell’Ufficio Legale del Ministero. “Ogni anno le corti militari israeliani ricevono 50 milioni di shekel [10 milioni di euro, ndr] dai detenuti palestinesi, tanto da diventare autosufficienti finanziariamente e indipendenti dalle altre istituzioni israeliane”.
In genere, infatti, ogni palestinese arrestato deve pagare una multa che si oscilla tra i mille e i duemila shekel. Per questo, l’ANP avrebbe deciso di non pagare più le multe alle prigioni israeliane, ma di voler continuare a garantire un salario mensile ai prigionieri politici: “Abbiamo chiesto alle famiglie dei prigionieri e al Prisoners Club di interrompere i pagamenti delle multe e abbiamo avvertito anche l’Israeli Prison Service”, ha continuato Al Awawi.
Sul fronte interno palestinese, nel Giorno dei Prigionieri, non mancano però le polemiche: ieri il leader di Fatah e parlamentare palestinese Marwan Barghouti, in carcere da 11 anni accusato di aver partecipato ad attacchi terroristici contro Israele, si è rivolto all’Autorità Palestinese, ritenuta responsabile di non fare abbastanza per liberarlo.
“Non è possibile spiegare un simile silenzio – ha detto Barghouti – Per la prima volta nella storia, i parlamentari di un popolo occupato sono detenuti, vessati e torturati mentre la comunità internazionale e la leadership palestinese restano in silenzio. Qualcosa che non trova spiegazione”.
Barghouti ha puntato il dito contro l’accordo Shalit dell’ottobre 2011, quando 1.100 prigionieri palestinesi furono rilasciati in cambio del caporale dell’IDF detenuto a Gaza. Barghouti non fu parte dello scambio, “perché non ci furono le necessarie pressioni politiche”, ha commentato. “È ingiusto e irrazionale che i combattenti palestinesi restino in prigione per altri vent’anni dopo gli Accordi di Oslo. Si tratta di una tragedia dovuta alla negligenza della leadership palestinese”.
da NenaNews
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.