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Palestina: piccoli droni sull’altalena

«Qualcuno ci stava osservando, anzi spiando e non riuscivamo a capire perché», prosegue Robert, con un filo di voce.Passano pochi secondi e il nostro testimone e gli altri presenti capiscono a chi stava trasmettendo la telecamera sistemata sul “televisore volante”. Sbucano dal nulla, proprio come il drone, i militari israeliani inviati dall’Amministrazione Civile per i Territori Occupati, che comunicano ai presenti la confisca delle attrezzature donate dall’Italia ai bambini di Khan al-Amar.

Al rappresentante del consolato italiano, giunto con due veicoli da trasporto – uno con a bordo qualche sacco di cemento e l’altro con un’altalena a tre posti e uno scivolo con un tunnel e due scale – non resta che prendere atto della comunicazione delle autorità israeliane relativa al blocco e alla confisca dell’«installazione illegale». Tutto avviene con rapidità mentre il “televisore volante” continua a volteggiare a bassa quota. Del massiccio utilizzo dei droni da parte delle forze militari israeliane si sa da tempo. Ne sanno qualcosa gli abitanti di Gaza che da anni convivono con il ronzio di questi velivoli senza pilota che non poche volte si trasformano in strumenti di morte sparando missili contro militanti veri e presunti delle formazioni armate palestinesi, che fanno anche morti e feriti tra i passanti. Che i droni potessero essere usati anche per sorvegliare i poveri beduini Jahalin e i loro bambini sempre pronti a regalare un sorriso, nessuno se lo aspettava. Una novità che non lascia tranquilli Abu Khamis e la sua gente.

Su quanto accaduto giovedì le autorità consolari italiane mantengono un basso profilo. In serata abbiamo cercato, senza successo, di raggiungere telefonicamente il console generale d’Italia a Gerusalemme, Davide La Cecilia che, al mattino, aveva preso parte a Gerico alla cerimonia di chiusura di un importante progetto della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri: « Support the emergency of education in the Palestinian Territories of East Jerusalem, Bethlehem and Jericho ». Un progetto che ha interessato 14 istituzioni educative pubbliche e private palestinesi a Gerusalemme Est, Betlemme e Gerico, a beneficio di 6,739 studenti (di cui 515 disabili), 1.495 docenti e 784 famiglie.

Da anni a Khan al Ahmar, alle porte di Gerusalemme, lungo la strada che porta alla Valle del Giordano, è impegnata la ong Vento di Terra di Milano, che vi ha realizzato nel 2009 la «Scuola di Gomme», una struttura ecologica fatta di argilla, legno e circa 2000 vecchi pneumatici che mantiene una temperatura ideale nelle aule durante l’inverno e l’estate. Questo istituto scolastico tanto particolare è costato pochissimo e ospita circa 130 alunni, in buona parte ragazze. Più di tutto ha dato una risposta efficace ai bisogni d’istruzione dei Jahalin espulsi dal Negev nel 1950 e che da allora vivono sparsi nell’area a sud-est di Gerusalemme.

Oggi nell’accampamento di Khan al Ahmar, che si trova su un terreno appartenente al villaggio di Anata, ci sono 250 persone hanno vissuto lì per decenni. Un dato che non interessa ai coloni israeliani di Kfar Adumin – giunti in quella zona in violazione delle leggi internazionali – che fanno pressione sull’Amministrazione Civile affinchè i beduini vengano cacciati via e la scuola sia distrutta. Da allora è in corso una dura battaglia legale, con i rappresentanti di Kfar Adumim che hanno presentato per ben tre volte una petizione all’Alta Corte di Giustizia per ottenere la demolizione. La forte attenzione internazionale e dei mezzi d’informazione ha contribuito, sino ad ora, a contenere l’offensiva dei coloni. Ma si fa sempre più dura e i Jahalin e coloro che li sostengono ora devono fare i conti anche con i droni, la tecnologia più avanzata a disposizione delle forze di occupazione. Nena News

*IMPORTANTE: Robert non rappresenta una persona specifica. E’ un espediente narrativo usato dall’autore dell’articolo per raccogliere le testimonianze e le dichiarazioni che quattro persone, alcune delle quali non presenti giovedi’ a Khan al Ahmar, hanno rilasciato con la condizione di rimanere completamente anonime.

Michele Giorgio

per Il Manifesto

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