Palestina. Proteste dopo le cariche della polizia contro Fplp
Non si placa la rabbia della principale formazione della sinistra palestinese per la brutalita’ delle forze di sicurezza di Abu Mazen. Oggi comincia il negoziato Israele-Anp
Alla ricerca di titoli ad effetto ieri giornali, radio e televisioni hanno parlato di «iftar della pace». In riferimento alla cena di Ramadan, organizzata a Washington dai mediatori americani per i loro «ospiti», i negoziatori israeliani Tzipi Livni e Yitzhak Molko e quelli palestinesi Saeb Erekat e Mohammed Shtayyeh, giunti negli Stati Uniti per riprendere il negoziato bilaterale rimasto fermo per oltre tre anni. Che i quattro abbiano preso parte a un iftar, e pure abbondante, non c’è dubbio. Che ieri abbiano anche dato inizio a colloqui che, come sostiene Jen Psaki, portavoce del Dipartimento di Stato, «getteranno le basi del dialogo a venire», verso quel «promettente passo in avanti in direzione della pace» descritto da Barack Obama, è ben più arduo da affermare.
I nodi del conflitto sono sempre gli stessi. Uguale è la determinazione israeliana nel rifiutare la restituzione di Gerusalemme Est ai palestinesi, e il ritorno dei profughi. Simile è la mediazione americana, non neutrale, da venti anni solidale con le aspirazioni degli alleati israeliani e che sarà rappresentata da Martin Indyk, un ex ambasciatore Usa a Tel Aviv. Inconsistente la posizione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen che ha scelto una trattativa senza garanzie dopo aver illuso la sua gente che la libertà e l’indipendenza sarebbero state conquistate all’Onu, attraverso l’attuazione della legalità internazionale.
Posizione debole al tavolo dei negoziati quella di Abu Mazen ma non con le opposizioni interne al suo progetto. Ne sanno qualcosa dirigenti e attivisti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp). Domenica a Ramallah i reparti antisommossa della polizia dell’Anp hanno brutalmente caricato una manifestazione del Fplp contro la scelta fatta dal presidente palestinese. Al termine feriti e arresti tra i manifestanti. «Volevamo soltanto inviare un messaggio politico – ha spiegato Khalida Jarar, deputata del Fplp – è inaccettabile sopprimere la libertà di espressione e il diritto di protestare, tutto questo non riuscirà a far tacere le voci di quelli che si oppongono a questi negoziati». Jarrar ha rimarcato che, ancora una volta, Abu Mazen e il suo entourage «hanno fatto da soli», senza aprire un vero dibattito con le altre forze politiche all’interno e all’esterno dell’Olp.
Non è un mistero che una fetta consistente, forse la maggioranza, di Fatah, il partito del presidente, sia a dir poco perplessa nei confronti della ripresa dei negoziati bilaterali con Israele, senza alcuna garanzia sul percorso che imboccherà la trattativa e rinunciando alla condizione dello stop della colonizzazione israeliana. Senza dimenticare che Abu Mazen ha escluso qualsiasi forma di consultazione con i suoi rivali di Hamas che rappresentano una grossa porzione della popolazione palestinese. Ha legato il consenso della sua gente al passo mosso in direzione di Washington sulla liberazione di detenuti politici, inclusi quelli che da oltre 20 anni sono in carcere in Israele. Ne voleva 350, ne ha ottenuti 104. E’ l’unica concessione vera fatta dal premier israeliano Netanyahu, che però ha escluso lo stop esplicito alla colonizzazione e di negoziare un accordo territoriale a partire dalle linee del giugno 1967, antecedenti all’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est.
Netanyahu con ogni probabilità è convinto di portare Abu Mazen ad accettare un accordo transitorio, la soluzione ideale per guadagnare tempo e costruire altre colonie e per rinviare intese su Gerusalemme e i profughi o sul controllo delle riserve d’acqua della Cisgiordania. Al momento però il premier israeliano più che vedersela con i palestinesi deve guardarsi dai suoi. Domenica il suo governo si è spaccato sulla richiesta di scarcerazione dei detenuti politici, alcuni dei quali sono stati condannati per attentati. Ieri la stampa, ad eccezione del liberal Haaretz, erano tutti schierati contro la decisione presa dal governo con 13 voti a favore, 7 contro e due astensioni. Molti continuano a denunciare la liberazione dei 104 detenuti che avverrà in quattro fasi nei prossimi nove mesi. “Focolare ebraico”, partito ultranazionalista che fa parte della maggioranza di governo, ha chiesto più case nelle colonie per compensare la decisione sui prigionieri palestinesi.
Michele Giorgio
da Nena News
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