Palestina, terzo Venerdì della collera contro lo stato sionista di Israele
Sono già più di 350 i palestinesi feriti o intossicati da gas lacrimogeno, nelle manifestazioni di oggi 13 aprile, terzo venerdì di mobilitazione contro l’apartheid israeliano a Gaza.
Nei luoghi limitrofi alle barriere di sicurezza che demarcano il confine sono stati bruciati centinaia di copertoni e issate bandiere palestinesi. Israele negli scorsi giorni ha provveduto ad installare (dentro la Striscia) recinzioni di filo spinato per limitare ulteriormente le possibilità degli abitanti di Gaza di avvicinarsi alle barriere, ma la determinazione dei manifestanti non si è fermata di fronte all’ennesima invasione coloniale del proprio territorio.
La tensione è altissima anche in Cisgiordania, dato che ad ovest di Nablus, ad Aqraba, è stata data alle fiamme una moschea, molto probabilmente da esponenti dell’ultra-destra israeliana. L’episodio si aggiunge a quanto avvenuto nelle ultime ore precedenti all’inizio delle proteste al confine: secondo quanto riportato da Nena News, Israele avrebbe assassinato due persone. Abdullah al-Shehri sarebbe stato colpito dai proiettili sparati dall’esercito israeliano vicino a Khan Younis, mentre Mohammed Jahila sarebbe caduto nel corso di un raid su Gaza compiuto dai jet dello stato ebraico.
Le parole d’ordine dei manifestanti di Gaza sono le stesse degli scorsi venerdi, ovvero sostenere il loro diritto al ritorno, la fine dell’occupazione e dell’assedio israeliani e il rispetto dei diritti umani dei palestinesi di Gaza e di Cisgiordania.
Risultano gravemente feriti due testimoni in ambito mediatico di quanto sta avvenendo, il giornalista Ahmed Abu Hussein e il photoreporter Mohammed al-Hajjar. Questa notizia è da segnalare poiché la determinazione delle proteste a Gaza sta mettendo in serie difficoltà Israele, il quale sta sguinzagliando oltre ai fucili anche tutto il suo apparato di propaganda, nonché di distruzione della propaganda altrui.
L’unico discorso accettabile è quello filo-governativo sionista, che parla delle proteste come dei “Venerdì delle molotov” per criminalizzare la popolazione gazawi. Non a caso è stata proposta dall’ultradestra di Ysraeli Beitenu una legge che sanzioni fino a 10 anni di carcere per chi diffonde immagini che possano comportare l’accusa di crimini di guerra all’esercito israeliano. Non colpisce di conseguenza il fatto che Israele come in questo caso abbia tra i suoi target anche chi cerca di rendere giustizia a quanto succede al confine con Gaza.
Il contesto internazionale, dove soffiano venti di guerra tra Usa e Russia rispetto alla Siria, non va sottovalutato in questo quadro. Le proteste palestinesi sono relative anche alla provocatoria decisione di Trump di trasferire l’ambasciata Usa in Israele a Gerusalemme, di fatto riconoscendo la città come capitale dello stato sionista.
Forti sono state nelle scorse settimane le polemiche tra un Erdogan che attraverso il sostegno alla Palestina cerca di accreditarsi verso l’opinione pubblica musulmana e un Netanyahu che ha accusato di crimini di guerra in Siria lo stesso presidente turco. L’Egitto dell’appena rieletto al-Sisi, sempre più vicino alla Russia, sembra essere intenzionato ad aprire per qualche giorno il valico di Rafah per consentire ai palestinesi più in difficoltà di raggiungere un luogo dove essere curati.
Le proteste dei palestinesi stanno riuscendo dunque, a caro prezzo, a rimettere in discussione il governo coloniale di Israele, anche approfittando del quadro geopolitico mutevole, dove tra Usa e Russia, tra Arabia Saudita e Iran, tra Israele e Turchia è in atto una profonda fase di crisi e rimescolamento. La rabbia, la dignità e l’intelligenza dei manifestanti, contro ogni discorso iper-realista e geopoliticista, stanno riuscendo a fare emergere i Venerdi della collera come atti di rottura, capaci di rompere la paralisi dovuta ai conflitti interni tra Hamas e Fatah, riportando con forza nel mondo in tensione globale la questione di Palestina.
Seguiranno aggiornamenti…
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