Prosegue la lotta dei prigionieri palestinesi
Mentre al di fuori delle prigioni la Palestina è attaccata su più fronti – continuano le espropriazioni, la repressione di ogni forma di dissenso, le incursioni, la sempre maggiore militarizzazione dei territori occupati – nella lotta palestinese si consolida il ruolo primario dei prigionieri, che dalle carceri israeliane sembrano ancora una volta costituire un’avanguardia del movimento.
E’ nelle prigioni che si registrano sempre più momenti di lotta contro un nemico sicuramente più forte: quando i soldati israeliani irrompono nelle celle, i detenuti innescano delle massicce proteste, non abbassano la testa e difendono i propri, sepput minimi, diritti. Nell’ultima settimana ci sono stati almeno 60 feriti tra i palestinesi, alcuni dei quali versano in gravi condizioni; uno degli ultimi episodi è avvenuto sabato scorso nella prigione di Eshelon.
Le amministrazioni carcerarie israeliane cercano con tutti i mezzi di reprimere la lotta all’interno delle prigioni affinando sempre di più quegli strumenti propri dello stato di terrore: costanti incursioni, coprifuochi, arresti e un sempre maggior utilizzo delle detenzioni amministrative, secondo cui i prigionieri possono essere detenuti per un periodo di sei mesi, rinnovabili all’infinito, solo per sospetti o con l’accusa di far parte di una delle formazioni della resistenza palestinese.
A tutto questo vanno ad aggiungersi trasferimenti forzati, negazione delle visite ed una serie di altri comportamenti disumani. L’ultimo in ordine di tempo è quello di imporre il test del dna ai detenuti palestinesi, pratica definita contraria ai diritti umani anche da parte della legislazione internazionale e a cui i prigionieri si ribellano, venendo quindi percossi o trasferiti nelle celle di isolamento.
Proseguono poi gli scioperi della fame: accanto alla forte e determinata lotta portata avanti da Khader Adnan, terminata dopo quasi tre mesi di sciopero della fame con un ricovero in ospedale, vi è stato quello della giovane Hana Shalabi, uno sciopero supportato da una protesta collettiva, che ha visto tanti rifiutare cibo ed acqua per ribellarsi contro le continue violazioni dei diritti umani nelle prigioni israeliane.
A fronte della determinata lotta portata avanti da Hana Shalabi, il comportamento delle autorità israeliane, che ancora una volta vogliono mostrarsi “benevole”, è stato quello di liberarla, ma con la condizione di estradarla a Gaza. L’estradizione è, infatti, divenuta pratica comune delle autorità israeliane e condizione per il rilascio di molti prigionieri, perlopiù persone note per la lotta portata avanti nelle prigioni.
Nel frattempo il governo di Netanyahu tiene a ricordare il rilascio degli oltre 1000 detenuti (molti dei quali sono stati nuovamente arrestati), avvenuto negli scorsi mesi in cambio della liberazione di Gilad Shalit, soldato israeliano rapito nel lontano 2006 dalle milizie islamiche di Hamas. Ma, nonostante questo tentativo di israele di salvare la apparenze, giorno dopo giorno è chiaro che la detenzione dei palestinesi è divenuta l’arma prediletta, accanto alla militarizzazione dei territori, utilizzata da Tel Aviv per reprimere il dissenso.
Adesso, negli stessi giorni in cui la città vecchia di Gerusalemme e la Palestina sono meta di migliaia di pellegrini che vi si recano per le festività pasquali, dando una parvenza di calma a questi luoghi, la lotta nelle prigioni non dà alcun segno di volersi arrestare.
Per il 17 Aprile è stata indetta la giornata di solidarietà con i detenuti palestinesi, con i tanti che dalle prigioni continuano a lottare per una Palestina libera. Ancora una volta la lotta nelle prigioni è identificata come parte integrante ed avanguardia della resistenza palestinese.
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