Repressione nelle strade della West Bank occupata
Ieri due ragazzi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nel campo profughi di Qalandiya.
Qalandiya è una delle zone di confine, si trova infatti appena fuori dal muro dell’Apartheid che divide Gerusalemme est, occupata nel 1967, dal resto dei territori palestinesi. In territori come questo dove vivono migliaia di palestinesi non vige alcuna sovranità palestinese e molti di questi territori sono considerati “aree militari chiuse” dove l’esercito israeliano può intervenire militarmente senza alcuna limitazione. Non che negli altri territori palestinesi l’esercito israeliano abbia mai avuto alcuna remora, ma in tali aree le repressioni sono ancora maggiori date le intenzioni israeliane di acquisire sempre maggior territorio al confine. Difatti anche nelle aree che si trovano sotto la formale autorità palestinese l’esercito israeliano entra continuamente, grazie alla cosiddetta cooperazione militare, col beneplacito della polizia palestinese.
Ieri c’è stata un’azione di rastrellamento nel campo, definita di “routine” dalle sfere militari israeliane: nella notte i militari sono entrati nel campo profughi irrompendo nelle case e seminando il terrore. La rabbia palestinese è esplosa e ne è scaturita una sassaiola da parte di giovani palestinesi contro l’arroganza dell’esercito sionista.
In poco è iniziato uno scontro a fuoco che ha provocato la morte di due ragazzi. Mutasim Issa Udwan, ventiduenne, è stato colpito alla testa ed è morto immediatamente, Ali Khalifa anch’egli raggiunto dai proiettili è morto poco dopo all’ospedale di Ramallah.
Il raid di questa notte nel campo di Qalandiya, finito nel sangue, aveva lo scopo iniziale di arrestare alcuni profughi palestinesi. Gli arresti dei palestinesi che si sono resi colpevoli di aver tirato una pietra o di aver partecipato ad una manifestazione o ancora più semplicemente di far parte a vario titolo della resistenza palestinese – ad esempio solo far parte dei collettivi universitari della sinistra rivoluzionaria può portare ad anni di prigione – sono sempre più frequenti. Ad oggi migliaia di palestinesi si trovano nelle prigioni israeliane, molti si trovano in un regime di detenzione amministrativa che può durare all’infinito, altri in isolamento totale. E’ proprio di ieri la notizia che le forze d’occupazione hanno tolto persino il diritto di studiare agli studenti palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
Le dinamiche avvenute ieri al campo di Qalandiya sono tutt’altro che nuove nei territori occupati. Continuano le repressioni dei cortei pacifici, sono sempre più frequenti le irruzioni delle forze d’occupazione nei campi profughi, nelle città e nei villaggi palestinesi. Le irruzioni finiscono con arresti indiscriminati e con il riemergere della mai sopita rabbia palestinese. Allo stesso modo a Gaza continua la lotta, stavolta armata, anche se oltremodo indebolita, con attacchi di gruppi militari della resistenza palestinese contro obiettivi militari israeliani. In Palestina si è coscienti che un confronto tra pietre o armi obsolete come quelle ad oggi possedute dalla resistenza palestinese e le armi pesanti e moderne in dotazione all’esercito israeliano è molto probabilmente una battaglia persa; ciononostante si continua a lottare e a morire per la libertà e l’autodeterminazione.
Intanto la primavera araba sembra ancora non incidere particolarmente nei territori palestinesi: è ormai decretata l’impasse egiziana riguardo la tanto attesa apertura di Rafah, altrettanto infruttuosa si sta rivelando la “riconciliazione nazionale palestinese”. E per tutta risposta il governo israeliano cerca di riesumare il fallimentare “processo di pace” con la moderata Autorità Nazionale Palestinese, processo tanto contestato dal popolo palestinese perché, iniziato oltre due decenni fa, non ha portato a nessuna conquista per i diritti dei palestinesi ma solo a coperture per i crimini delle forze occupanti e a continue violenze e soprusi , esproprio ed assedio di territori, Gaza in primis, e costruzione di nuovi insediamenti coloniali.
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