Umm Dia’a pensava che tra i prigionieri rilasciati ci fosse anche suo figlio, glielo avevano detto i vicini, glielo avevano confermato diverse voci, si era preparata per festeggiare, aveva invitato gli amici. Però i sionisti hanno rilasciato la lista di chi veniva liberato solo il giorno prima, e suo figlio non c’era; c’era Rami, il figlio di una sua amica, che invece non se l’aspettava. In tutto, erano presenti 3 prigionieri da Gaza. Umm Dia’a era talmente triste che non si è nemmeno presentata
al presidio settimanale in solidarietà con i prigionieri che si svolge davanti alla croce rossa, dove invece chi aveva ricevuto la buona notizia festeggiava offrendo pasticcini a tutti i partecipanti. Forse Dia’a verrà liberato con il prossimo gruppo, infatti i 26 prigionieri liberati questa notte sono il terzo gruppo di quattro gruppi, che comprendono in tutto 104 prigionieri politici palestinesi, che si trovano nelle carceri israeliane da prima di Oslo, che Israele ha promesso di liberare come segno di buona volontà per ricominciare i cosiddetti colloqui di pace.
Dia’a e Rami sono stati sequestrati dai sionisti quando avevano 16 e 15 anni. Da allora, hanno passato la maggior parte della loro vita in carcere, potendo ricevere solo sporadicamente visite da parte della loro famiglia, senza poter terminare gli studi… Rami ora ha 35 anni, di cui 20 passati in carcere, con l’accusa di combattere contro un’occupazione militare, essa sì illegale, ingiusta e assassina. Due giorni dopo il rilascio, amici e parenti stanno ancora festeggiando: è stata costruita una tenda, e chiunque può andare a stringere la mano e dare il benvenuto a quest’uomo tornato finalmente a casa, che quando era partito era solo un adolescente. Rami si trova in un mondo diverso da quello che aveva lasciato, la popolazione di Gaza è aumentata di molto, le persone, la situazione politica, tutto è cambiato. Eppure, nonostante l’inevitabile shock, quando lo incontriamo ha le idee chiare su cosa vuole: mentre lui può riabbracciare la sua famiglia, altri 5000 prigionieri politici restano illegalmente nelle carceri sioniste. Ha tenuto quindi a raccontarci un caso particolare, che sappiamo essere uno su tanti: “tra gli altri che restano in carcere c’è un mio amico, ha problemi di salute, dovrebbe ricevere delle cure che non riceve. Si chiama Ibrahim Elbitar, fate in modo che lo liberino, che possa curarsi!”
La notizia è quindi che Israele libera questi 104 prigionieri politici palestinesi in segno di buona volontà per gli accordi di pace. Libera, appunto, 104 prigionieri mentre 5000 restano ancora in carcere, contro le convenzioni internazionali, contro il buonsenso, ingiustamente, e col silenzio complice delle istituzioni e degli organismi internazionali. Tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane sono prigionieri politici; secondo la quarta convenzione di Ginevra, Israele in quanto potere occupante, non ha diritto di deportare abitanti di Gaza o Cisgiordania nei territori del ’48. La presenza stessa dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane è quindi di per se stessa illegale, oltre che orribile: la liberazione di circa il 2% di questi prigionieri, non ci porta più avanti del 2% del percorso verso la giustizia per tutti i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane.
Addameer, associazione per i diritti umani che si occupa dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane, ricorda come prima dell’inizio di molte di queste fasi del cosiddetto processo di pace siano stati liberati diversi prigionieri. Ma nel frattempo altri venivano arrestati, cosicché il numero totale di prigionieri politici palestinesi rimaneva pressoché costante. Inoltre, non venivano cambiate le pratiche sioniste come quella della detenzione amministrativa, che prevede il carcere senza che venga dichiarata la ragione dell’arresto. Non solo: i prigionieri liberati in questi casi devono sottostare ad alcune regole, per esempio chi viene liberato a Gaza non può uscire dalla Striscia per 10 anni, e non può essere coinvolto in attività politica. Dopodiché, se vengono riarrestati, devono scontare tutta la pena che non hanno scontato grazie allo scambio. Un esempio famoso di questo caso sia Samer Issawi, che, rilasciato con lo scambio con Gilad Shalid, è stato sequestrato di nuovo dalle forze di occupazione e incarcerato con la formula della detenzione amministrativa, e avrebbe dovuto scontare nuovamente tutta la pena, se non avesse messo in gioco la sua vita tramite un lunghissimo sciopero della fame che è riuscito ad attirare l’attenzione internazionale e ha infine portato ala sua liberazione a Gerusalemme.
Mentre questi prigionieri vengono rilasciati, Israele promette un’ulteriore espansione delle colonie illegali in Cisgiordania e Gerusalemme, e la notizia passa in secondo piano, facendo apparire come un segno di buona volontà da parte di Israele la liberazione di questi prigionieri, mentre l’espansione coloniale illegale non viene considerata un ostacolo insormontabile al “processo di pace”. Forse dovremmo cambiare il linguaggio, smettere di sforzarci di ottenere un processo di pace, e puntare verso un processo di decolonizzazione: porterebbe più rapidamente alla giustizia e quindi, infine, alla pace. Tanto più che questo “processo di pace” ha sempre più l’apparenza di un “progetto di espansione coloniale sionista.”
Nonostante la gioia per la liberazione di questi detenuti, quindi, la vittoria politica appare quantomeno parziale. Addameer chiede, pertanto, il rilascio di tutti i prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane: così come è successo per il Sudafrica, chiede che la liberazione di tutti i detenuti sia presupposto antecedente all’inizio del cosiddetto processo di pace.