Siria e Libano: due stati, una guerra
(da Beirut, L. C.)
Quello che sta accadendo oggi in Libano non è altro che il risultato di quello che sta accadendo in Siria: oggi più che mai i due paesi sono un unico campo di battaglia tra le forze favorevoli al regime di Bachar al-Assad e i ribelli. Il confine tra Siria e Libano esiste solo sulla carta: sta di fatto che continui sono gli attraversamenti da parte di profughi siriani verso il Libano per sfuggire alla guerra, così come giornalieri sono i bombardamenti del regime siriano contro postazioni di ribelli interne al confine libanese. Come durante il dominio siriano sul Libano (1975-2000) i due paesi erano uniti sotto l’ al-niẓām al-‘amnī al-muštarak (il regime della sicurezza condivisa), che stabiliva in pratica il dominio militare e poliziesco della Siria sul Libano; oggi il gigante siriano e il piccolo vicino libanese sono strettamente collegati e avvinghiati dalle dinamiche della guerra civile siriana.
Quelle di ieri sono solo una serie di autobombe che vanno a colpire i quartieri a maggioranza sciita, l’azione è stata rivendicata dalle “brigate Abdullah Azzam”, ramo libanese di Al Qaeda, già autore dell’attentato all’ambasciata iraniana a novembre, come rappresaglia all’intervento dell’Hezbollah libanese a fianco dell’Esercito Arabo Siriano. Impegno che il segretario Nasrallah ha ribadito il giorno precedente l’attentato, in un apparizione in video-conferenza due mesi dopo l’ultima1.
La polarizzazione delle forze politiche libanesi dovuta al conflitto siriano ha bloccato per 10 mesi, dieci, la formazione di un nuovo governo, nominato soltanto in questi ultimi giorni. Nonostante la nomina già avvenuta a suo tempo del primo ministro Tammam Salam da parte del Presidente della Repubblica Suleiman, lo scontro tra la coalizione “14 marzo”, a guida Mustaqbal, e quella “8 marzo”, a guida Hezbollah, sembrava doversi protrarre per mesi: alla fine dei vari “tira e molla”, nove ministeri sono finiti al Mustaqbal di Hariri e otto all’8 marzo. Sulla nomina del ministero alla sicurezza interna l’Hezbollah ha ceduto: essa è rimasta in mano alla coalizione 14 marzo, nonostante non sia stato nominato Ashraf Rifi (che è invece stato nominato ministro della giustizia e si è detto pronto a collaborare attivamente col Tribunale speciale per il Libano che indaga sull’omicidio di Rafiq Hariri)2. Ma i nodi di questo governo verranno presto al pettine: sia l’adozione della dichiarazione di Baabda, che presuppone la neutralità del Libano dal conflitto in Siria, sia la fine del trinomio “popolo, esercito, resistenza”, che legittima l’esistenza dell’ala militare dell’Hezbollah, saranno punti caldissimi all’ordine del giorno.
Giusto per precisazione, molti si sono stupiti delle concessioni fatte dall’Hezbollah nella formazione del governo: sia il ministero per la sicurezza, ma anche quella delle telecomunicazioni e della difesa, considerate vitali per il Partito, sono state lasciate al 14 marzo. E molti sono rimasti a bocca aperta dell’inaspettata visita del capo della sicurezza interna di Hezbollah, Wafiq Safa, al nemico Ashraf Rifi. Sembra che queste mosse siano da interpretare, più che un gesto di benevolenza e compromesso da parte del Partito di Dio, come un risultato diretto degli eventi in corso a Yabroud, cittadina strategica nella zona di Qalamoun3: l’Hezbollah sembra infatti aver deciso di ottenere un livello di legittimità interna, anche attraverso concessioni svantaggiose (come la concessione di dicasteri chiave ad avversari politici), per poter coprire le sue operazioni militari in Siria4. Dunque quanto più il Partito sarà coinvolto in Siria tante più concessioni sarà costretto a fare, internamente.
Ad una polarizzazione politica, in Libano se ne accompagna anche un’altra, geografica: il Sud e la periferia meridionale di Beirut, insieme con la valle della Bekaa, sostengono l’Hezbollah e il movimento 8 marzo, mentre il nord del Libano, in particolare Tripoli, sono una roccaforte sunnita. In quest’ultima cittadina vive anche una piccola minoranza alawita, che supporta attivamente il regime di Assad, ed è considerata da molti gruppi islamisti, affini ai ribelli siriani, un gruppo ostile: frequenti sono gli scontri settari, a colpi di arma da fuoco, tra queste due comunità che si dividono nei due grandi quartieri della città, Bab al-Tabbaneh e Jabal Mohsen. Così come frequenti sono gli scontri ad Arsal, città a maggioranza sunnita nel nord della Bekaa: qui frangie islamiste locali si sono unite nel dare manforte alle incursioni dei ribelli siriani lungo il confine, e le rappresaglie dell’esercito siriano si fanno sempre più violente, anche in territorio libanese.
L’inasprimento della situazione siriana ha dunque polarizzato ancor di più le forze in campo. L’Hezbollah (e quindi l’Iran, suo sponsor regionale) supporta il regime di Assad in quanto parte dell’Asse della Resistenza: il timore di perdere le vie di rifornimento siriane, e dunque le armi iraniane, ha spinto il Partito di Dio, nonostante le opposizioni interne5, all’intervento totale in Siria. Non un semplice “controllo dei confini porosi dall’infiltrazione terroristica”6, ma una battaglia campale per fermare quello che l’Hezbollah (e l’Iran) vede come un conflitto pilotato dall’Arabia Saudita per il dominio regionale, e per evitare una sua internazionalizzazione, che andrebbe a tutto discapito iraniano (vi sono anche report del coinvolgimento della IRGC al fianco dell’Esercito Arabo Siriano7). Se inizialmente appunto i militanti del Partito di Dio si erano impegnati nei combattimenti al confine e a difesa della moschea sacra di Sayyda Zeinab8, è bastato poco perché venissero coinvolti nei combattimenti anche altrove: oggi Nasrallah continua a giustificare l’intervento come necessario per evitare che il Libano venga invaso da takfiri e trascinato nel conflitto siriano, ma la paura di perdere un alleato strategicamente fondamentale come il regime di Assad sta dietro a questa decisione (anche per l’Iran)9.
Al contrario il movimento 14 marzo, così come molti forze sunnite in Libano, supportano i ribelli: il desiderio di vedere il regime di Damasco, e quindi il responsabile, ai loro occhi, dell’assassinio di molte personalità politiche sunnite, su tutti Hariri, non basta a spiegare il loro sostegno. Le simpatie settarie verso i ribelli siriani, per lo più sunniti, e, soprattutto, i forti contatti con l’Arabia Saudita, che arma e sostiene finanziariamente gli insorti siriani, hanno spinto molti media collegati all’Hezbollah a collegare il movimento 14 marzo al conflitto in Siria: molti media siriani e/o filo-Hezbollah hanno accusato Mustaqbal di fare da tramite tra l’Arabia Saudita e i ribelli islamisti provenienti da Tripoli e dai campi profughi palestinesi. Il movimento di Hariri continua a respingere questa accusa, dichiarando che la sua assistenza ai ribelli sia limitata ai media ed abbia un carattere prettamente politico-umanitario: ma la pubblicazione di un dialogo telefonico tra Okab Sakr e alcuni ribelli del FSA in cui il politico sunnita risultava personalmente coinvolto nel fornire armi e finanziamenti agli insorti siriani gettò dubbi sulle dichiarazioni di Hariri, nonostante le smentite di Sakr e l’accusa di falsificazione di prove1011.
A livello regionale sembra che le dinamiche politico-conflittuali che si stanno manifestando in Siria, Libano ma anche Iraq, possano farci riferire a quest’area come un’unica area regionale, senza più confini: la regione sembra infatti essere testimone dell’emergere di un singolo teatro di guerra e conflitto, dove le sovranità statuali, già di per sé labili, cessano di esistere12.
Infatti il tessuto sociale della società e degli schieramenti politici in Iraq e in Libano sembrano seguire linee di faglia molto simili, così come in Siria: istituzioni statali fragili, crescente emarginazione dei sunniti e, di conseguenza, l’ascesa di formazioni affiliate ad Al Qaeda, che operano indipendentemente dai confini nazionali. Di conseguenza , la politica interna dei tre paesi non è affare isolato. Tutti e tre questi paesi subiscono un influenza iraniana molto forte, che viene sempre più minacciata dalle formazioni jihadiste: Jabat Nusra in Siria, ISIS in Iraq e Siria, Brigate Abdullah Azzam in Libano. Benché la maggioranza dei sunniti appoggi ancora soluzioni politiche moderate di partiti che operano all’interno del quadro normativo democratico, ma con scarso successo, le risposte radicali stanno guadagnando terreno: ciò ha portato ad una situazione in cui la violenza ha iniziato a colpire i quartieri sciiti, visti come simbolo dell’influenza delle forze filo-iraniane su quelle sunnite13.
Oggi, dunque la fine del sistema pan-arabo e la legittimazione islamica dei regimi, Iran e Arabia Saudita su tutti, ha spostato il conflitto su un’asse settario di scontro sunniti-sciiti e, nel tentativo di conquistare l’egemonia regionale, Teheran e Ryiahd, stanno entrambe fomentando sempre più le divisioni settarie, utilizzando i propri procuratori in funzione di scacchi da muovere sul tavolo da gioco: di conseguenza le bombe continueranno a colpire qui in Libano la popolazione civile, e i profughi siriani continueranno a riversarsi negli slums di Beirut e/o in accampamenti di fortuna lungo le strade, proprio come se Siria e Libano fossero un’unica entità.
Note
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