
Sudan. Dopo il Darfur le RSF puntano al Kordofan, proseguono i massacri
Il Sudan continua a precipitare in una spirale di violenza che sembra non avere fine. Dopo la caduta di El Fasher, capitale del Darfur settentrionale, il conflitto ha assunto i contorni di un massacro.
Le testimonianze che emergono descrivono esecuzioni sommarie, uccisioni di civili, ospedali trasformati in teatri di orrore. Interi reparti medici sono stati annientati: centinaia di operatori sanitari, pazienti e familiari sono stati uccisi durante l’assalto delle milizie, mentre le strutture sono state saccheggiate e date alle fiamme.
A guidare l’offensiva sarebbe stato il generale al-Fateh Abdullah Idris, conosciuto come Abu Lulu, uno dei comandanti più spietati delle Forze di supporto rapido (RSF). Secondo numerosi testimoni, avrebbe ordinato di fucilare prigionieri disarmati ignorando gli appelli dei suoi stessi uomini. Il suo nome è ormai legato a crimini di guerra di una brutalità tale da scuotere anche alcuni vertici della stessa milizia, che hanno annunciato un’inchiesta interna mai realmente avviata.
Dopo aver conquistato El Fasher, le RSF si stanno muovendo verso est, con l’obiettivo di prendere il controllo del Kordofan settentrionale. La regione rappresenta un corridoio strategico fra il Darfur e la parte centrale del paese: dominarla significa controllare le rotte commerciali, la ferrovia e le basi aeree che collegano le zone occidentali alla capitale. La caduta della città di Bara ha segnato l’inizio di una nuova fase, mentre le milizie avanzano verso El Obeid con la stessa logica di devastazione applicata in Darfur.
Villaggi rasi al suolo, case bruciate, intere comunità costrette alla fuga: la popolazione civile è la prima vittima. Donne e bambini vengono uccisi o rapiti, le abitazioni saccheggiate, i pozzi avvelenati per impedire il ritorno dei profughi. La guerra, che in origine opponeva le RSF all’esercito regolare sudanese, è degenerata in un conflitto etnico e territoriale che sta disgregando il paese.
La figura di Abu Lulu è emblematica di questa deriva. Proveniente da una famiglia con legami diretti con la leadership delle RSF, il generale è accusato di aver guidato reparti responsabili di massacri deliberati contro civili non armati. Le immagini e i racconti che filtrano da El Fasher parlano di corpi abbandonati nelle strade e di fosse comuni scavate in fretta per nascondere le prove.
Mentre la comunità internazionale tenta di rilanciare la proposta di una tregua umanitaria, la guerra si sposta di provincia in provincia, lasciando dietro di sé soltanto macerie. Nel Kordofan, i timori di una nuova catastrofe umanitaria crescono di giorno in giorno. Gli sfollati che fuggono dal Darfur vengono accolti da regioni già impoverite e incapaci di sostenere nuovi arrivi, mentre le milizie consolidano le proprie posizioni.
A El Obeid, principale città del Kordofan, le autorità locali parlano di assedi imminenti e di combattimenti alle porte. Le forze regolari appaiono indebolite, logorate da mesi di battaglie e da una crisi di comando che paralizza ogni risposta coordinata. Nelle aree rurali, intanto, bande armate e mercenari legati alle RSF impongono il proprio controllo su strade e villaggi, chiedendo denaro e armi in cambio di una fragile protezione.
Il conflitto in Sudan, da guerra tra fazioni rivali, è diventato sistema di potere fondato sulla paura, sulla conquista e sullo sterminio. Le Forze di supporto rapido, forti delle loro vittorie militari, mirano a costruire una nuova geografia del potere, estendendo la loro influenza oltre il Darfur e ridisegnando con la violenza i confini politici del paese. Pagine Esteri
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