Terremoto: il punto della situazione tra Turchia, Kurdistan e Siria
Continua a salire il bilancio delle vittime del terremoto in Turchia e Siria: secondo le ultime stime sono stati raggiunti i 16mila morti, ai quali va aggiunto un numero mai precisato di dispersi e decine di migliaia di feriti.
Gli sfollati sono mezzo milione, mentre la terra è tornata a tremare: nel pomeriggio scossa di magnitudo 5.3 a Dogansehir, nella provincia di Malatya, 200 km a nord dell’epicentro del sisma di lunedì, arrivato a una magnitudo di 7.7.
TURCHIA – In Turchia monta la rabbia popolare contro Erdogan per la lentezza dei soccorsi. Il governo reagisce con gli arresti (50 le persone in carcere per post contro il governo,202 gli account sotto indagine). Da oggi bloccato Twitter, mentre l’autocrate deve ammettere le difficoltà: “inizialmente – ha detto – ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili”. Erdogan ha parlato da ad Hataj, città devastata dal sisma, scortato da sostenitori, polizia, media amici. Intanto però ci sono intere zone, quelle più remote e rurali, che restano di fatto abbandonate dai soccorsi. Per questo il Partito Democratico dei popoli (Hdp), espressione della sinistra curda e turca, ha organizzato squadre di soccorso e aiuto in molte delle province devastate dal sisma e abbandonate dallo stato, cercando di aiutare e favorire l’autorganizzazione popolare delle operazioni.
SIRIA – In Siria invece la polemica è legata alle sanzioni Ue e Usa tutt’ora in vigore contro il regime di Assad. Diversi appelli per sospenderle sono stati diffusi in queste ore, trovando però la chiusura da parte del commissario Ue Lenarcic affermando che la Siria ha chiesto aiuti solo “attraverso il meccanismo di protezione Ue”, un’arzigogolata triangolazione con le agenzie umanitarie, poco utile in casi così drammatica. Gli Usa invece tacciono e basta, nonostante le staffilate diplomatiche della Cina: il Ministro degli Esteri di Pechino ha detto che la Casa Bianca “dovrebbe mettere da parte l’ossessione geopolitica, revocare le sanzioni unilaterali e aprire la porta all’assistenza umanitaria”. Ancora più duro il custode cattolico di Terra Santa, padre Francesco Patton: “le sanzioni – ha detto – sono disumane e immorali. e’ scandaloso che in un momento del genere, così tragico, non si sia capaci di rimuovere o sospenderle. In Siria la gente sta morendo adesso e l’Occidente sta di nuovo perdendo il treno”.
A Damasco, intanto, stanno arrivando aerei da Russia, Iran e molti paesi africani e mediorientali, compreso un paese stremato da 3 anni di crisi come il Libano. Dopo l’invio ieri – per la prima volta nella storia dei due paesi – di militari e soccorritori libanesi del genio nelle zone siriane disastrate dal sisma, oggi a Damasco c’è il premier uscente libanese Najib Miqati, il primo capo di governo del Libano a recarsi nella capitale siriana da quasi 20 anni.
AANES – Anche i territori dell’Amministrazione Autonoma della Siria del nord e dell’est sono stati colpiti dal terremoto, anche se in maniera minore rispetto a quelli del nord-ovest siriano controllati in parte dal regime di Assad (come Latakia, Hama e Aleppo), e in parte dalle milizie jihadiste dell’Esercito Nazionale Siriano insieme all’esercito turco (come nel caso della regione di Idlib), dove si contano complessivamente oltre 2500 vittime. Per quanto riguarda i territori della rivoluzione confederale si registrano 6 vittime, 62 feriti e danni a diversi edifici in particolare nelle aree di Manbij, Sheeba e Tel Rifaat. In questi luoghi le amministrazioni democratiche locali, insieme alla Mezzaluna Rossa Curda e alle Unità di protezione del popolo Ypg, hanno organizzato i soccorsi e allestito alcune tende dove possono alloggiare le persone che non si sentono sicure dentro le proprie abitazioni per timore di nuove scosse. “Abbiamo fornito carburante alla nostra gente per riscaldarsi, abbiamo soddisfatto le loro esigenze alimentari. Siamo sempre pronti a servire la nostra gente”, ha dichiarato il comandante del Consiglio Militare di Manbij. L’Aanes e le Forze Siriane Democratiche hanno anche dichiarato di essere pronti a organizzare team di soccorso e mandare aiuti, tra cui anche il carburante per il riscaldamento, anche nelle zone della Siria maggiormente colpite, fuori dai territori del confederalismo democratico.
La Turchia, intanto, non soltanto ostacola gli aiuti e i soccorsi per e dalle aree a maggioranza curda, ma continua ad attaccare il Rojava nonostante la situazione. Le Forze di Liberazione di Afrin (HRE) hanno smentito un rapporto del Ministero della Difesa turco secondo il quale le Unità di Difesa del Popolo YPG avrebbero attaccato la base militare turca di Öncüpinar con colpi di artiglieria sparati da Tel Rifat.
“Le YPG non hanno unità a Tel Rifat, – spiega il comunicato – solo le nostre forze sono presenti nell’area. E le nostre forze non hanno attaccato le basi nemiche in questo periodo in cui il nostro popolo è stato colpito da un forte terremoto. Questa affermazione della potenza occupante turca è falsa”. “Piuttosto – aggiunge il comunicato – le forze di occupazione turche hanno attaccato le nostre aree. L’esercito turco ha bombardato la regione di Tel Rifat, colpita dal terremoto. La nostra gente viene attaccata dall’esercito turco anche in una situazione del genere”.
Ai nostri microfoni il punto della situazione con Yildiz Alican, presidente di Mezzaluna rossa Kurdistan Italia, che ha lanciato una raccolta fondi dal basso per aiutare le popolazioni. Ascolta o scarica.
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