Venti di guerra soffiano sul Polo Nord
«Fino ad ora le dispute sono state gestite pacificamente, ma nei prossimi anni il cambiamento climatico potrebbe alterare questo equilibrio e innescare una corsa per lo sfruttamento delle risorse naturali, che saranno più accessibili. La necessità sempre crescente di risorse energetiche e materie prima da parte di tutti i Paesi del globo farà il resto», ha aggiunto Stadyris.
Questo quadro è molto chiaro al presidente russo Vladimir Putin. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa Novosti, Putin ha chiesto agli alti ufficiali delle sue forze armate di «prestare particolare attenzione alla realizzazione di infrastrutture e unità militari nell’Artico». Aggiungendo: «L’anno prossimo, dobbiamo completare la formazione di nuove grandi unità e divisioni militari nell’Artico», in riferimento ai siti di Tiksi e Severomorsk.
È dall’agosto del 2007 che gli esploratori inviati dal Cremlino, viaggiando in mini sommergibili, stanno piantando la bandiera russa sul fondo del Mar Glaciale Artico. Il fermo di una nave di Greenpeace e l’arresto del suo equipaggio dopo aver protestato contro una piattaforma petrolifera artica russa, lo scorso settembre, ha evidenziato la sensibilità del Cremlino alle critiche della sua prospezione nella regione.
Pur essendo abitate solo dal due per cento della popolazione totale, le regioni polari forniscono alla Russia il quattordici per cento del Pil, l’ottanta per cento del gas naturale, il novanta per cento di nickel e cobalto.
Secondo la Convenzione Onu per i diritti marini, i Paesi circumpolari dispongono di una zona economica esclusiva entro trecentosettanta chilometri dalle rispettive coste. Ma ciascuno Stato può avanzare richiesta di estensione e di sfruttamento se dimostra che la piattaforma continentale supera questo limite. Così, mentre il governo norvegese ha appena stanziato un milione e duecentomila euro per uno studio di impatto ambientale connesso allo sfruttamento dei fondali intorno alle isole di Jan Mayen, la Russia ha concesso cinque nuove licenze (alle russe Gazprom e Rosneft) per lo sfruttamento di idrocarburi nel mare di Kara e di Barents.
Rosneft sta collaborando con la ExxonMobil per lo sviluppo di giacimenti molto promettenti, e si è anche associata alla Statoil Norvegese e all’Eni Italiana per esplorare il potenziale di sfruttamento nel Mar di Barents.
La distesa di ghiaccio polare, insomma, non è più quell’insormontabile ostacolo di un tempo. Canada, Norvegia, Stati Uniti, Islanda e Danimarca (quest’ultima in virtù della sua autorità sulla Groenlandia) hanno spronato le compagnie energetiche a trivellare nell’area.
La Cairn Energy di Edimburgo ha appena aperto dei pozzi di esplorazione nelle acque a largo della Groenlandia, mentre la Royal Dutch Shell sta tentando l’esplorazione di campi a largo dell’Alaska.
Tutte le associazioni ambientaliste sono molto preoccupate. Scrive il “New York Times”: «L’incidente della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, nell’aprile 2010, ha mostrato che un disastro di simili proporzioni causerebbe danni ambientali ancora più drammatici in un ecosistema delicato come quello polare, sia per la mancanza di adeguate capacità di risposte operative, sia per la probabilità che il ghiaccio impedisca seriamente le operazione di bonifica. Mentre sempre più compagnie si spingeranno nell’Artico accelerando le loro attività esplorative, aumenteranno di conseguenza le probabilità di incidenti e fuoriuscite. Il fatto che la Shell (una delle compagnie petrolifere tecnologicamente più avanzate) si sia finora dimostrata incapace di superare questi rischi, accresce la preoccupazione che in quelle acque pericolose si trovino presto ad operare altre compagnie meno preparate ed efficienti».
Il commissario europeo per l’Ambiente Janez Potočnik ha dichiarato: «Nonostante tutte le sue promesse, l’Artico non cederà facilmente le sue ricchezze. In inverno, il ghiaccio copre costantemente le superfici marine e tempeste violente e frequenti sono un continuo pericolo. Il riscaldamento globale potrebbe, in qualche modo, contribuire a ridurre il ghiaccio nei periodi estivi e autunnali, permettendo così trivellazioni più prolungate, ma allo stesso tempo potrebbe causare condizioni meteorologiche inusuali e incontrollate ed altri pericoli correlati. Altro rischio che si aggiunge: molte delle linee di confine nella regione Artica, sono ancora da demarcare e alcuni Paesi artici hanno già minacciato di ricorrere alla forza militare nel caso in cui le compagnie energetiche occupino aree che considerate di loro sovranità».
di Franco Fracassi per popoff.globalist
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