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Whirlpool chiude dopo aver rubato 27 milioni

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Ebbene sì alla fine la Whirpool chiude, le promesse di Di Maio non sono state mantenute… “Nessuna chiusura, nessun disimpegno, piena occupazione dei lavoratori coinvolti” assicurava il ministro solo un anno fa. “Non chiuderemo Napoli”. Infatti l’epilogo della vicenda è che una settimana fa l’amministratore delegato si presenta al tavolo del Governo e dice che tra sette giorni la produzione si ferma.  

Insomma una storia che si ripete, accordi, investimenti con i soldi pubblici, sindacati confederali che fanno da assistenti ai governi o alle aziende, a seconda delle situazioni.  
Andiamo un po’ indietro nel tempo: nel 2015 era stato presentato un “piano industriale” in seguito all’annunciata crisi aziendale, piano che fu disatteso. Infatti a maggio 2018, l’azienda ne presentava  l’andamento:  “nonostante la realizzazione di tutti gli impegni previsti non è stato possibile raggiungere gli obiettivi di crescita previsti dal piano stesso”, poi prepara un piano 2019-2021 per portare a compimento quello precedente. Ecco allora che interviene il Governo, che raggiunge un nuovo accordo: la produzione in tutti gli stabilimenti italiani, quindi anche a Napoli, va avanti con grandi rassicurazioni e un traguardo temporale fissato al 2021, non come termine ultimo della produzione, ma solo come termine del piano triennale. Insomma nessun riferimento a un possibile addio, nonostante fossero palesi le intenzioni dell’azienda. Si mettono nero su bianco 250 milioni di investimenti per il triennio. 
Sei mesi dopo arriva l’annuncio di Whirlpool: voler «cedere a terzi» lo stabilimento. Così Di Maio inserisce lo stabilimento di Napoli nel “decreto salva imprese”, stanziando altri 16,9 milioni di euro in due anni per convincere Whirlpool a rimanere nella città partenopea.  
Ma ad aprile Di Maio si ritrova una lettera sulla scrivania. Whirpool scrive di voler vendere lo stabilimento. Così a settembre 2019 l’amministratore delegato La Morgia, annuncia al ministero dello sviluppo economico che all’indomani sarebbe scattato il procedimento di cessione del ramo d’azienda per la sede di Napoli. Però – rassicura – il nuovo partner Prs riconvertirà la produzione e tutti i lavoratori non perderanno il posto. Il piano di Di Maio è già saltato. Partono le proteste degli operai. Passano tredici giorni e il 30 settembre Patuanelli, nuovo ministro dello sviluppo economico, annuncia su Facebook il dietrofront dell’azienda che però, poco dopo, con un comunicato stampa dichiara: “Va cercata una soluzione condivisa, a fronte di una situazione di mercato che rende insostenibile il sito e che necessita di una soluzione a lungo termine”. Una frase che mette ben in luce la debolezza dell’impegno. Dopo due mesi Whirpool annuncia che andrà via da Napoli il 31 ottobre. E siamo arrivati ad oggi senza nessuna soluzione. Le lavoratrici e i lavoratori, a cui va tutta la nostra solidarietà, sono scesi in strada con un blocco stradale e scioperando, così come avevano già fatto la altre volte,  in cui però purtroppo sono sempre stati “sedati” dagli stessi sindacati e dal governo, convincendoli/e a tornare nei ranghi e abbandonare la lotta, perché tutto si sarebbe risolto ai famosi “tavoli”.

Di Maio, Patuanelli e company hanno cercato di mettere le toppe, a spese delle famiglie, nella speranza di recuperare consensi. Di Maio aveva annunciato che avrebbe impedito le delocalizzazioni che invece continuano come prima in tutta Italia. Gli accordi sindacali non vengono rispettato e i padroni fanno ciò che vogliono accaparrandosi milioni di euro di soldi pubblici.  
Insomma, nulla di nuovo, la Whirlpool si comporta come centinaia di aziende con la complicità di governi e sindacati confederali. In tutto intasca circa 27 milioni di risorse pubbliche, pagate dai lavoratori, poi straccia gli accordi pattuiti e mette sulla strada 400 famiglie, l’ennesimo dramma sociale in una città che già sta pagando fortemente le conseguenze della gestione della pandemia.

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