Yemen: dalla rivolta popolare alla guerra per procura (encore)
Dopo aver lanciato missili contro il palazzo e averlo occupato nella giornata di ieri, la tregua siglata lunedì è evaporata. L’escalation è iniziata sabato, quando gli Houthi hanno rapito il capo del gabinetto presidenziale, Ahmed Awad bin Mubarak, come forma di protesta e pressione per quella che ritengono un’esclusione dal processo decisionale. Lunedì è stato il giorno più caldo: negli scontri scoppiati tra miliziani sciiti e esercito governativo, nove persone sono rimaste uccise, una cinquantina i feriti. Gli Houthi hanno assunto il controllo della sede della tv di Stato e istituito checkpoint intorno ai palazzi del potere.
Immediata è giunta la condanna delle Nazioni Unite: il segretario generale Ban Ki-moon si è detto estremamente preoccupato e il Consiglio di Sicurezza ha ripetuto che il presidente Hadi ha “l’autorità legittima” a governare il paese e ha chiesto a tutte le parti coinvolte di appoggiare l’esecutivo per “garantire stabilità e sicurezza”. Una stabilità che lo Yemen non vive da tre anni, dal rovesciamento del dittatore Saleh, i cui fedelissimi oggi sostengono la sollevazione degli sciiti Houthi. I tentativi di negoziazione messi in piedi dall’Onu, tra cui l’Accordo di Partnership nazionale e l’avvio di una Conferenza Nazionale, sono falliti.
Dietro, come accade in ogni altro scenario o fronte mediorientale, sta il confronto tra Iran e Arabia Saudita, tra asse sciita e asse sunnita. Riyadh ritiene Teheran responsabile dell’armamento e dell’avanzata Houthi nel paese, Teheran a sua volta accusa Riyadh di aver sempre gestito la strutturazione del potere in Yemen e, insieme agli Stati Uniti, di utilizzare il piccolo Stato per realizzare la propria agenda economica e politica nella regione. A pagarne le spese è la popolazione civile, la cui sollevazione contro il dittatore Saleh non ha portato ad alcun miglioramento delle condizioni di vita: la metà del popolo yemenita vive sotto la soglia di povertà e nessuna politica di ridistribuzione delle ricchezze generate dall’esportazione di greggio è mai stata implementata. Un’altra storia di rivolta popolare che sembra terminare con la ristrutturazione di vecchi assetti di potere o l’edificazione di nuovi. Ma consideriamo, come giustamente conclude la nostra interlocutrice, il processo avviato con le rivolte in Tunisia come un processwo di lungo termine i cui esiti non ci sono noti.
Ne abbiamo parlato con Chiara Cruciani, giornalista freelance collaboratrice di molte testate.
{mp3remote}http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/01/Chiara.mp3{/mp3remote}
Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.