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Atti osceni nel mainstream, narrazioni tossiche e realtà di lotta

Sabato 16 novembre: decine di migliaia di persone attraversano la Val di Susa con un grande corteo No Tav che ribadisce la propria opposizione non solo ad una grande opera inutile ma anche alla militarizzazione pressante che quel territorio è costretto a subire quotidianamente.
Il giorno successivo compare una foto scattata nel corso della manifestazione che ritrae una ragazza mentre bacia la visiera del casco di un poliziotto, schierato assieme al suo plotone a lato del corteo. L’occasione è ghiotta e scribacchini di ogni testata si lanciano subito in fiumi di parole e nell’ennesima narrazione tossica della giornata, volta ad esaltare il gesto come ‘un segno di pace’. Spicca, tra gli altri, un articolo dai toni nauseanti comparso su La Stampa: ecco che in breve il bacio sulla visiera diventa un’immagine-simbolo (di cosa?), un gesto che sospende ‘lo spavento e la paura’ che secondo l’autore regnavano nel corteo, mentre i due soggetti della foto si avvicinano ‘teneramente’.
In mancanza di presunti black bloc da sbattere in prima pagina, la narrazione distorta di una grande giornata di lotta decide così di far leva su quell’immagine, tutto viene ridotto ad un unico gesto isolato assurto ad immagine-simbolo e rappresentato dal mainstream in maniera totalmente avulsa dal contesto. Con un colpo di spugna scompaiono le migliaia di volti che hanno riempito la giornata di sabato, le loro voci, le loro rivendicazioni. Si tenta di ricalcare ancora una volta la retorica (sempre respinta dal movimento No Tav) dei buoni e cattivi, di una piazza fatta di ‘volti d’ira’ contrapposta ad una fatta di ‘gesti di pace’. Ma soprattutto, nelle narrazioni di Stampa e Repubblica scompare il conflitto, l’immagine del bacio diventa simbolo di una conciliazione che metterebbe manifestanti e poliziotti sullo stesso piano, con tanto di evocazioni sessantottine.
Ma mentre l’immagine viene letta e piegata alle esigenze di spettacolarizzazione e di narrazione distorta del mainstream, ecco che dopo alcune ore è la stessa ragazza della foto a prendere parola, smentendo seccamente la versione data dai maggiori quotidiani. In un breve post dichiara che il suo gesto è stato totalmente travisato e che si trattava di una provocazione: “Nessun messaggio di pace […]. sì, sono contraria alle forze dell’ordine, sì lo stavo sfottendo alla grande, sì, il fotografo è stato fortunato…“.
La Stampa e Repubblica si affrettano quindi a fare marcia indietro, gli articoli dei facili entusiasmi conditi di dettagli e tenerezza lasciano il posto ad una narrazione asciutta in cui viene semplicemente riportata con un virgolettato la dichiarazione della ragazza. Il focus degli articoli si sposta dalla ragazza (ora non più interessante per le narrazioni mainstream dal momento in cui rifiuta il ruolo assegnatole precedentemente di ragazza ‘carina e conciliatrice’), al celerino, presentato invece come esempio di ineccepibile professionalità per come ha affrontato un gesto che da ‘tenero’ e assurto a nuovo simbolo della protesta No Tav viene ora definito ostile e oltraggioso, rispolverando l’impianto retorico già messo in campo in occasione della vicenda del ‘Pecorella’.
La brusca retromarcia mostra in tutta la sua evidenza la figuraccia collezionata da Stampa e Repubblica, costrette a smentire la loro stessa versione iniziale che proponeva una rappresentazione evidentemente insostenibile che annacquava e tentava di edulcorare una realtà molto diversa, quella di donne e uomini No Tav che il rapporto con la soffocante presenza delle forze dell’ordine lo conoscono come una quotidianità fatta di soprusi, violenze, insulti e pestaggi. Nella giornata di ieri di fronte agli articoli che rimbalzavano inizialmente in rete, tornavano subito alla mente la vicenda di Marta, compagna No Tav pisana molestata quest’estate dalle forze dell’ordine, ma anche l’immagine dei volti insanguinati di Nicoletta e Marinella. E tanti altri sono gli episodi che si potrebbero citare e che hanno portato il corteo di sabato a gridare compatto sotto l’hotel di Susa che ospita le forze dell’ordine un messaggio tanto chiaro quanto inequivocabile: ‘La Valle non vi vuole, andatevene via!’.

Di seguito riportiamo le parole della stessa Marta a commento della vicenda:

La ragazza che bacia lo sbirro.

Rimbalza sui media l’immagine di una ragazza che bacia uno sbirro, e subito mi soffermo a leggere, e ritorno a quella notte del 19 luglio, su quel sentiero, dove sono stata violata, da chi indossa la divisa di quello stesso colore.

Sono una donna No Tav e come altre donne No Tav ho subito la violenza della polizia, mi sono avvicinata al movimento No Tav; nel 2005, quando la notte del 5 dicembre, poliziotti armati di manganelli sgomberarono il presidio No Tav; indelebile nella mente ho l’immagine di una signora, con la faccia insanguinata. Decisi di salire in val di susa per il corteo dell’otto dicembre del 2005, perché la violenza usata contro quella donna non si ripetesse mai più. Ma si è ripetuta, e si è scagliata con tutta la sua vile violenza anche contro di me. Mi chiedo perché quella dovrebbe diventare la foto dell’anno, e perché così tanto spazio viene dedicato a quel gesto. Ma forse la risposta è semplice, tanto semplice quanto disarmante, i media vogliono svuotare di contenuto la lotta delle donne No Tav, vogliono ancora una volta creare divisioni tra buoni e cattivi. In quei giorni i media erano impegnati a prender con le pinze quelle che in vari articoli hanno definito “presunte violenze” mentre in questo caso, prima ancora di intervistare la diretta interessata, hanno riportato la fotografia imponendo una narrazione congeniale alle rappresentazioni delle donne No Tav come aamorevoli e conciliatrici.

Ma è evidente che ci sono manifestanti giusti e manifestanti sbagliati, io per i giornalisti sono una manifestante sbagliata, non ero rimasta a casa mia a fare la brava donnina che pulisce la casa, va a fare la spesa e prepara leccornie per il pranzo della domenica; no, io donna No Tav ero sui sentieri, e mettevo in discussione non solo l’inutile grande opera, ma anche l’immagine che la propaganda vuole dare della donna, io non ero pace, amore e bellezza (la ragazza che bacia il casco è molto carina, dicono i giornalisti!).

In quei giorni era troppo evidente che i cattivi avevano la divisa, e avevano abusato del loro potere, perché bastava guardare la mia immagine con il labbro incerottato, e gli occhi colmi di tristezza e dolore per capire. La lotta No Tav non può essere rappresentata da quella foto perché non sono di certo i media a poterne imporre i simboli. La lotta No Tav è rappresentata solo dalla lotta che il popolo No Tav porta avanti con tenacia ogni giorno e da chi da sempre resiste, senza delegare, alla violenza che questa grande opera ha portato in val Susa.

Io a testa alta ho sbattuto in faccia a tutti la bocca tumefatta dal manganello, ma la mia foto non hanno mai pensato potesse essere la foto dell’anno.

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