COP26: IL SOLITO BLA BLA BLA
Riceviamo e pubblichiamo volentieri il contributo di Fridays For Future Valsusa di ritorno dalla COP26.
Si chiuderà nei prossimi giorni la ventiseisima conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow. Parallelamente anche divers* attivist* dei gruppi di Fridays For Future italiani, oltre alle 200.000 persone provenienti da tutto il mondo, hanno invaso la capitale scozzese per chiedere giustizia sociale e climatica.
Gli attivisti e le attiviste hanno deciso di raggiungere la Scozia in treno, impiegando oltre 15 ore di viaggio per denunciare come i mezzi di trasporto più ecologici siano anche quelli più cari e scomodi; Ciò non permette quindi a gran parte della popolazione di optare per la scelta più sostenibile.
Alla faccia della transizione ecologica…
Da notav.info
Da quando il tema della crisi climatica è entrato nel dibattito internazionale e in particolare dal 1995, quando questa conferenza annuale è nata, abbiamo visto passare molte COP, alcune disastrose, come quella di Madrid del 2019, alcune più positive, come nel caso della COP3 di Kyoto nel 1997 o quella di Parigi nel 2015.
In ogni edizione è stato evidente come i vari Stati coinvolti non abbiano mai avuto la reale volontà di affrontare concretamente questa crisi, con la conseguenza che nessuna delle nazioni aderenti è in linea per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, rimarcando ancora una volta quanto questi appuntamenti siano solo ridicole e vuote passerelle istituzionali.
Oltre ai proclami e alle belle parole, gli impegni presi a Glasgow finora sono gravemente insufficienti, oltre che non vincolanti. I leader mondiali si sono riempiti la bocca con i soliti bla bla bla, promettendo una crescita verde, che sappiamo bene non poter esistere, e impegni di azzeramento delle emissioni lontani nel tempo, come nel caso dell’India, previsti per il 2070 o degli stati occidentali per il 2050.
Comunque la si guardi i target stabiliti risultano insoddisfacenti dal momento che, in base al principio di giustizia climatica, chi più ha inquinato deve arrivare prima a zero emissioni.
Dalle conferenze non emerge assolutamente nulla di innovativo:
Non sono stati presi impegni concreti riguardo l’azzeramento dei combustibili fossili, il metano rimane ” la fonte di transizione” principale e si potrà continuare a disboscare tranquillamente le foreste fino al 2030.
Nonostante l’accordo raggiunto tra diversi paesi tra cui UK, USA, Canada e Italia per lo stop dei finanziamenti a progetti fossili all’estero sia stato descritto come storico, a casa nostra continueremo a trivellare l’Adriatico e la Basilicata e a costruire impattanti gasdotti.
Ebbene sì, una delle iniziative più interessanti di questa COP26 é stata infatti il BOGA (Beyond Oil and Has Alliance), promossa da Danimarca e Costa Rica, prevede che i paesi firmatari come “Core Members” si impegnino a non concedere più licenze, concessioni o leasing per la produzione ed esportazione di petrolio e gas.⠀
Il BOGA prevede altri 2 livelli di adesione:
Associate Member: per chi si impegna a tagliare sussidi e finanziamenti pubblici per l’esportazione e la produzione di petrolio e gas all’estero e sul territorio nazionale.
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Friend: per chi si impegna a sostenere una transizione globale socialmente giusta ed equa per allineare la produzione di petrolio e gas con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
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Indovinate che ruolo ha scelto l’Italia?
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I nostri cari ministri Cingolani e Franco non sono riusciti a trovare un accordo per rinunciare alle attività estrattive sul nostro territorio, per cui l’Italia è L’UNICO PAESE ad essere entrato nel BOGA come “Friend”.
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Ebbene sì, siamo quellə della friendzone.
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Un ruolo che sembra inventato ad hoc per noi che piuttosto che impegnarci realmente per uscire dall’economia fossile preferiamo dare pacche sulla spalla ai paesi che lo faranno.
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Ma il teatrino dell’assurdo non finisce qui, proviamo a vedere chi è seduto al tavolo… all’interno della conferenza mondiale sull’emergenza climatica sono presenti più delegati delle compagnie fossili che delegati per nazione!
Mentre gli attivisti per il clima e i MAPA (Most Affected People and Areas) sono stati quasi totalmente esclusi, come Greta Thunberg che non è nemmeno stata invitata ai tavoli di discussione. Insomma, le multinazionali del fossile continuano a fare il loro sporco lavoro e ad influenzare i tavoli decisionali, contribuendo all’ulteriore fallimento di queste conferenze.
Appare sempre più evidente come nonostante ci troviamo sempre più immersi nella più grande crisi che l’umanità abbia mai conosciuto, non ci sia la minima intenzione di smantellare il sistema economico e sociale che è la principale causa di questa situazione.
Il sistema economico-produttivo e il mondo della finanza continuano ad essere i grandi protagonisti delle agende politiche e delle scelte dei singoli stati, che, nonostante gli impegni presi, continuano a mettere il profitto prima del benessere dei cittadini e dell’ambiente, continuando a devastare un pianeta che ormai non ne può più e che giorno dopo giorno si sta sempre più avvicinando al grado e mezzo di surriscaldamento che gli scienziati hanno identificato come punto di non ritorno.
Lo stesso sistema che continua ad estrarre petrolio in Medio Oriente, che devasta e disbosca le foreste dell’Amazzonia e che buca le montagne alla ricerca di un fantomatico progresso e del profitto economico come ben sappiamo in Val di Susa.
L’ Unione Europea si conferma campionessa di ipocrisia: se da un lato, spesso si fa portavoce della lotta contro i cambiamenti climatici, allo stesso tempo vanta la maggior parte delle nazioni con le più alte percentuali di emissioni pro capite per cittadino e continua a finanziare queste devastazioni ambientali.
Senza parlare poi delle grandi opere ecocide che, nonostante la contrarietà della maggior parte delle comunità locali, come, nel caso italiano, il metanodotto sardo, il TAP in Salento o il TAV in Val Susa continuano a rimanere in cima alle agende dei Governi che negli ultimi anni si sono susseguiti.
Appare per noi evidente come ogni giorno che passa i nostri boschi e la loro biodiversità soccombono sotto una colata di cemento, che essa sia per la creazione di un nuovo centro commerciale, di un nuovo parcheggio o di un altro cantiere a discapito della tutela del territorio che ci costringe a contare quotidianamente i danni dopo ogni alluvione o ogni incendio, che come ben sappiamo, diventeranno sempre più frequenti.
Siamo ormai consapevoli che l’unico cambiamento possibile deve partire dal basso, dalle piazze, dagli studenti e dalle studentesse, dalle voci della società civile e da chi fatica sempre di più ad essere ascoltato e non dalle persone che si riuniscono in quelle stanze di potere che in questa crisi ci hanno trascinato.
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