Il 16 aprile in marcia contro la devastazione dei territori e la crisi climatica per un futuro equo e solidale
In questo approfondimento vogliamo aprire una riflessione su alcuni temi che troppo spesso tendiamo ad analizzare separatamente. Ci troviamo in un periodo storico in cui ragionare per compartimenti stagni non è possibile. Le letture semplificate producono una comprensione molto limitata dei sistemi, visioni distorte delle crisi e degli eventi e l’abitudine a farvi fronte attraverso trucchi, “magari eccellenti”.
I medesimi risultano a volte efficaci nel breve termine e in situazioni specifiche, ma si rivelano spesso dannosi o distruttivi nel medio e lungo periodo, soprattutto per alcuni soggetti, gruppi, popolazioni ed ecosistemi. Esiste infatti un filo rosso che lega lo sfruttamento della terra, la crisi climatica e ambientale, la salute e l’impoverimento economico e sociale. È ormai noto, grazie a diverse ricerche scientifiche svolte negli ultimi anni, che il consumo di suolo e le produzioni intensive e sfrenate sono state dure aggravanti nella diffusione del contagio del Covid19. Esiste, inoltre, una correlazione tra la differente incisività del contagio su base territoriale e l’inquinamento atmosferico generato da produzioni nocive e combustibili fossili. In particolare, pare evidenziarsi una relazione tra inquinamento da PM 2,5 e diffusione del virus.
Allo stesso tempo bisogna tenere in considerazione quanto i cambiamenti climatici contribuiscano al disagio e all’aumento della povertà di intere popolazioni. Il riscaldamento globale sta portando ad una rapida desertificazione dei territori, soprattutto di quelli situati nell’emisfero tropicale. Il deserto che avanza sottrae terreno alle colture mettendo in ginocchio le economie locali e portando le persone a muoversi in cerca di nuovi territori da abitare.
Mentre migliaia di giovani sono scesi in piazza inascoltati e trattati con paternalismo negli scorsi anni, oggi gli effetti della crisi climatica sono arrivati da noi, dopo aver già colpito duramente il sud del mondo. Si prevede che la grande siccità di questo inverno nel Nord Ovest del nostro paese provocherà una diminuzione dei raccolti del 30%, e si unirà alla crisi energetica per quanto riguarda l’aumento dei prezzi. Alluvioni ed incendi di violenza inaudita hanno accompagnato la scorsa estate e lo scorso autunno, provocando morte, danni e distruzione.
Ci stanno raccontando che la guerra ha riportato le lancette della transizione ecologica al carbone. Come se crisi ecologica e guerra fossero due fatti distinti da affrontare separatamente, dando priorità naturalmente alla seconda. Questa guerra è intimamente collegata invece alla crisi ecologica che il sistema di sviluppo in cui viviamo ha provocato. È una guerra che ci parla della dipendenza di questo sistema dalle energie fossili, dall’agroindustria, dall’estrattivismo. Mentre i prezzi alle colonnine crescono a fronte della speculazione finanziaria, più che per una reale scarsità, si intravede tutta la miopia dei nostri governanti che oggi per decenni hanno perseguito le politiche delle lobbies del fossile, invece di intavolare un serio progetto di transizione ecologica e di rilancio del trasporto pubblico locale. Oggi si permettono di deridere chi si è opposto ai loro sporchi gasdotti, pensando che sostituire un governo autoritario con un altro potrà salvare i loro affari nel breve termine, si spingono fino a riaprire le centrali a carbone e a sollecitare il ritorno al nucleare come panacea di tutti i mali.
Ci stanno spingendo a forza nel baratro per difendere un’economia insostenibile e mortifera. In Valsusa da almeno 15 anni stiamo assistendo al progredire di cantieri altamente dannosi per l’ambiente che ci circonda, con conseguenze allarmanti anche per la salute dei cittadini che vivono questo territorio. La deforestazione messa in atto dai promotori dell’opera ha ormai raggiunto dei livelli che definire preoccupanti è poco: si parla di 5000 piante abbattute.
Sappiamo che un solo albero può soddisfare il fabbisogno di ossigeno di 10 persone e che è in grado di assorbire dai 20 ai 50 Kg di CO2 presenti nell’aria: un domani in una valle piccola come la nostra a causa dei lavori scellerati legati alla costruzione del tunnel di base di Chiomonte potrebbero essere emesse nell’atmosfera ben 12 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Oggi è la natura stessa che mostra attraverso continui e sempre più duri feedback la fallacia della visione individualista e antropocentrica e l’incontrovertibilità del nostro essere soggetti appartenenti o, meglio, soggetti in quanto appartenenti, alla società, alla storia e ai processi co-evolutivi del rapporto tra noi e l’ambiente. Dovremmo quindi smettere di perseguire “l’errata convinzione che un’altra goccia dalla bottiglia non ti ucciderà” e che, quindi, si può sempre aggirare e rinviare il problema, che ci può sempre essere una soluzione ex-post, che ci sono sempre limiti di tolleranza e accettabilità e che, alla fine, qualcosa o qualcuno interverrà per porre rimedio.
Da decenni ormai i collettivi, i comitati territoriali e i movimenti contro le grandi opere portano alla luce i legami tra il sistema di sfruttamento sul quale si basa la crescita produttiva e le conseguenze sulla terra e sulle persone, restando inascoltati. È da più di trent’anni che il movimento No Tav dice chiaramente che lo sviluppo di cui si fanno portatori i governi di ogni colore non è altro che morte e avvelenamento. Il sistema Tav ne è un esempio lampante, lo è ancor di più nella pandemia. La sensibilità intorno al tema del cambiamento climatico e alle nocività è sempre più radicata e soprattutto coinvolge moltissimi giovani e giovanissimi, questo non può che essere segno di speranza.
Sappiamo che solo costruendo in maniera popolare e trasversale un’opposizione reale alle prese in giro delle svolte green del governo della transizione ecologica sarà possibile un cambiamento di rotta. Dalla nostra piccola valle abbiamo sempre lottato con due pensieri fissi in mente: difendere la possibilità di una vita più degna e più giusta per tutti e tutte, difendere e rispettare la terra che ci ospita, che ci dona la possibilità di questa vita, che è la nostra casa.
È ora di rimetterci in marcia, per un futuro equo e solidale.
Da notav.info
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