Lettera di Alberto, prigioniero No Tav
Ciao a tutt* purtroppo oggi non posso essere fisicamente dei vostri nel contrasto degli espropri per la realizzazione del TAV -Terzo Valico, ma lo sono in spirito. Innanzi tutto volevo ringraziarvi per la solidarietà che avete manifestato e salutarvi tutt*.
Lo scritto che segue parla della mia, per fortuna breve, esperienza carceraria in seguito ad una manifestazione di protesta in Val Susa. Perché allora, vi domanderete, scrivere un testo che non parla di TAV né di Terzo Valico?
Beh perché il carcere fa parte dello stesso sistema che vuole imporre il TAV, che ci separa nelle fabbriche negli uffici, nelle scuole, che ci costringe, col bastone e la carota, a seguire dei binari prefissati in nome di un non ben definito “progresso”.
Progresso che mercifica le nostre vite, distrugge i nostri territori e ci vuole rendere dei solitari e docili produttori-consumatori.
L’opporsi o l’essere scartati da questo ingranaggio che tutto trita costringe il sistema a gettare la maschera e a privare le persone della libertà nel modo più palese e brutale: la galera.
Questa è solo l’ultimo stadio di una serie di libertà rimosse, di imposizioni più o meno esplicite che subiamo ogni giorno; lottare contro il TAV vuol dire anche lottare contro il carcere e viceversae il collegare le lotte o vedere la galera sotto un’altra luce è a mio avviso importante così come lo sono i collegamenti che sono stati fatti tra TAV, mafia, Stato e banche…
Appena entrato vengo catapultato in una dimensione completamente nuova. Mi portano in grosse celle al piano terra, e, dopo aver sbrigato le faccende burocratiche, sono portato al blocco C, sezione 2 cella 38.
In cella mi sono reso veramente conto di essere in carcere.
Vedere il sole tramontare e sorgere dietro le sbarre, il poterlo quasi “prendere”, ti fa salire la tristezza e allora ti metti a fare tutt’altro pur di non pensarci. Anche gli odori, i suoni e lo scandire del tempo sono stravolti.
Tutto sa di minestrone. Coperta, lenzuola, materasso persino l’aria è impregnata di minestra. Il rumore delle chiavi che segnano la tua “maggiore” libertà, ovvero l’ora d’aria in cortile o la mezzora di socialità, dopo poco diventano insopportabili. Infine il non sapere mai che ore sono, arrivando da un mondo in cui il tempo è diviso in ore, minuti e ritmi frenetici ci sono imposti, diventa terribile.
L’umanità all’interno è a dir poco splendida.
Gesti di stima e affetto del tipo bravi ragazzi, avete fatto bene e via discorrendo non si contavano.
Oltre a ciò persone mai viste prima e diversissime tra loro si sono fatte in quattro per darti tutto ciò di cui avevi bisogno per la vita in cella. A questo si univa la condivisione di esperienze di vita. Ci si raccontava un po’ di tutto, in primis il perché si era dentro, quanto ti restava, gli affetti… insomma ci si cominciava a conoscere nel profondo.
In certi momenti la solidarietà ti faceva sentire in imbarazzo perché, pensandoci bene, tu eri un “privilegiato”; saresti uscito dopo poco, amic* e compagn* ti aspettavano fuori e via discorrendo.
La maggior parte degli altri detenuti si era fatta anni di galera e ne aveva ancora altri da scontare, eppure li ho visti tirare avanti con una forza e una dignità sorprendente.
Tutto questo ti dà ulteriore determinazione, una spinta maggiore a continuare per la tua strada, a lottare a testa alta affinché un giorno si possa arrivare ad un mondo senza galere.
Di pari passo alla solidarietà interna viene quella da fuori che, al pari di quella dentro è stata stupenda. Le lettere che sono arrivate così come il presidio fuori dal carcere ti entrano dentro, aiutano a farti sentire meno solo al pari dei comunicati e delle interviste del movimento No Tav.
Sarà banale ma la cosa che mi viene più spontanea è un grazie di cuore a tutte le persone che ci sono state vicine e non ci hanno fatto mai mancare il loro aiuto e supporto.
Alberto
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