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“20000 elmetti”. Quel giorno sarà guardie contro bande di reietti…

In anteprima per Infoaut “Viva Palestina” del Signor K

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Intervista al Signor K

Abbiamo intervistato il Signor k, rapper e militante bergamasco, in occasione dell’uscita imminente del suo secondo album realizzato insieme a Joe Cagliostro, “20000 elmetti”(scaricabile gratuitamente da venerdì sul suo sito, e di cui presentiamo in anteprima la traccia “Viva Palestina”). Dalle sue parole emerge chiara una linea di contatto tra la cultura hip hop e le tematiche più prettamente politiche e militanti che i due rapper affrontano all’interno del loro nuovo lavoro.

Anche “Jackanapes”, il pezzo che dava il titolo al mio primo album,  parlava alla strada, ma l’immaginario che allora intendevo veicolare era incentrato sulla mia esperienza militante e si rivolgeva principalmente agli ambienti antagonisti, agli spazi autogestiti, ai collettivi.. “20000 elmetti” costituisce invece un salto di qualità, perché si rivolge a tutte le bande di strada. Ovviamente non le bande del film “I guerrieri della notte”, ma bande intese come aggregati espressione delle culture resistenti che attraversano la metropoli. Come dice Militant A: «Quattro case non fanno un villaggio, quattro strade non fanno una piazza, quattro ragazzi la fanno una banda».. Detto in altro modo, 20.000 Elmetti è un invito alla comunità e, infatti, parla delle regole della strada, perché solo riconoscendosi e rispettandosi è possibile riprodurre quei legami caldi che generano solidarietà. Il disco è introdotto dalla frase «Voi riuscite a contarvi? Io vi dico che se riuscite a contarvi il futuro è nostro!». Per me questo è un invito generazionale, un invito a riconoscersi e cospirare insieme. A ben vedere è un messaggio molto attuale. Penso ad esempio a quanto accaduto il 14 dicembre scorso a Roma: quello è stato un momento di rivendicazione generazionale, un momento di riconoscimento e di identificazione. Quel giorno la generazione del precariato e dell’insicurezza sociale ha cominciato a contarsi! Non è un caso che quel giorno, in strada, non c’erano soltanto i fratelli e le sorelle del Movimento, ma giovani d’ogni provenienza, con un obiettivo comune e pratiche condivise. Quel giorno, in strada, le bande erano unite!

Il brano che dà il nome all’album recita tra la sue prime rime “L’appartenenza incisa con il cerchio e con il fulmine”.. E’ evidente il legame che scorre nei tuoi testi tra la cultura Hip Hop e un’attitudine profondamente militante..

La mia esperienza rappresenta in qualche modo un momento di sintesi tra cultura Hip Hop e militanza politica. Sono cresciuto con la cultura Hip Hop, in un contesto di strada dove la dimensione della banda era fondamentale; poi, dopo la rivolta di Genova la mia strada si è intrecciata a quella degli spazi autogestiti. Inevitabilmente la mia militanza ha determinato anche il mio approccio alla cultura Hip Hop e, in particolare, alla disciplina dell’mcing. Il mio, oggi, è innanzitutto un progetto politico: le persone che vi prendono parte, stabilmente o episodicamente, partecipano alla vita di un collettivo politico e ne condividono obiettivi e modalità. Per me il messaggio è una priorità e il linguaggio un’arma potentissima. Il mio progetto nasce all’interno del Movimento e la mia voce deve intercettarne le battaglie. Il rap è il mio contributo alla causa.

Dopo gli eventi dello scorso gennaio in Maghreb, e in particolar modo dopo l’arresto del rapper tunisino El General (reo di aver scritto un brano contro il regime di Ben Alì), ritieni che la qualità di un messaggio, trasmesso attraverso canali immediatamente aggreganti (quali, in questo caso, il rap ed i social network) abbia una forza d’impatto tale da poter turbare la sicurezza dei rais?

Il ruolo dirompente giocato dal controuso di Facebook nelle rivolte del Maghreb è oggettivo. L’efficacia comunicativa del rap è altrettanto indiscutibile: quello che le posse hanno rappresentato negli anni ’90 per il Movimento ne fornisce una evidenza nostrana. Se il rap ha soffiato sul vento del cambiamento nel Maghreb (come nel caso di El General), è nelle banlieues francesi che questa forma espressiva ha dispiegato con maggiore incisività la propria potenza mediatica. Facebook e il rap ci dicono qualcosa di nuovo. Facebook è un soggetto economico, un marchio multinazionale, un prodotto del capitalismo occidentale che ha giocato un ruolo cruciale nella “normalizzazione” della rete; allo stesso tempo però Facebook è stato attraversato strumentalmente e da coloro che, anche per suo tramite, hanno rovesciato regimi in molti casi funzionali agli interessi geo-politici d’occidente. Anche il rap è un media e la storia dell’Hip Hop dimostra che questa cultura, nella maggior parte dei casi, non possiede a priori una posizione pregiudiziale nei confronti del mercato. Anzi, pur essendo stato anch’esso “normalizzato”, se non proprio snaturato, dal mercato, in molti casi l’Hip Hop ha trovato nel mercato stesso spazi di agibilità ed espressione, su cui costruire veri e propri momenti di aggregazione e antagonismo. All’interno della comunità Hip Hop è stata spesso agitata l’idea di “attaccare la macchina dall’interno”; i Public Enemy, sotto contratto con una major, erano la CNN della strada e il loro fu un messaggio di rivolta (a cui, in buona misura, si deve l’esplosione delle posse). In Italia, c’è poi il caso dei 99 Posse: il loro messaggio scardinò i confini mediatici in cui la voce del Movimento è da sempre vincolata, per raggiungere il grande pubblico e parlare ad una generazione! Ritengo molto suggestiva l’idea che il cambiamento e la rivolta trovino all’interno di spazi del “nemico” ambiti di agibilità ed efficacia. D’altro canto, la cosa può essere anche vista in maniera diametralmente opposta: nell’era del capitalismo assoluto il mercato diventa una presenza pervasiva, finendo persino per allungare le proprie propaggini in ambiti ad esso ostili. Rimanerne fuori significa essere relegati ai margini del silenzio, che nella società delle reti equivale a scomparire. Non ho soluzioni da offrire, ma credo che interrogarsi su questi meccanismi sia un’urgenza.

Il brano “Omicidio di stato” è un atto d’accusa sull’omicidio del giovane Federico Aldrovandi ad opera delle forze dell’ordine. Ci piace molto la concezione che formuli dell’uso politico della memoria, tutt’altro che un semplice omaggio alle vittime dello stato.. In che modo la memoria può assumere un valore attivo nelle lotte politiche e sociali di oggi?

La memoria, e più in generale il passato e la storia, non sono degli spazi neutri, ma territori di contesa narrativa. Su questo terreno prendono forma operazioni di immaginario decisive e vincolanti nella definizione delle coordinate da cui dipende la storia futura dell’umanità. Alla memoria del passato è affidata la trasformazione della società che verrà. Questo significa che la memoria, in funzione del presente e del futuro, richiede sempre un ruolo attivo e partecipato; dalla sua lettura interpretativa dipendono le nostre prospettive di progresso. La battaglia dei genitori di Federico Aldrovandi è stata innanzitutto una battaglia di verità, perché la versione ufficiale, quella della prima ora, non offuscasse la memoria di quella tragedia. La forza instancabile dei genitori di Federico ha posto all’attenzione di chiunque un problema che si voleva sepolto. Se la condotta delle forze dell’ordine è un indicatore dello stato di salute della democrazia di un paese, il proliferare di vicende analoghe a quella di Federico ci dice che l’Italia non gode di ottima salute. La battaglia dei genitori di Federico è una lezione importante sul peso della memori.

Jack Rabbit è una sorta di biografia del leggendario bandito John Dillinger. Anche in questo pezzo tocchi un tema di scottante attualità, quello della crisi economica, chiamando in causa precarietà e cultura del non lavoro. Con questo pezzo allora vuoi anche tracciare una connessione con l’attuale condizione della nostra generazione?

John Dillinger, rapinatore di banche della Grande Depressione, e la sua banda hanno rievocato in me l’esperienza delle batterie degli anni ‘70 in Italia. Le circostanze erano analoghe: la fine degli anni ’70 fu segnata da una fase di crisi economica che infranse il grande sogno del boom economico. Ragazzi e ragazze, che negli anni ’60 erano ancora bambini e bambine, quando, per intenderci, si credeva che la ricchezza fosse ormai alla portata di chiunque, si ritrovano improvvisamente negli anni ’70 di fronte alla nuda verità del capitalismo; eppure i soldi erano ovunque, in molti casi aldilà di una vetrina, a portata di mano insomma. Da qui la scelta disperata di una parte di quella generazione; la scelta senza prospettive di andare a prendersi direttamente quei soldi, ora e subito, proprio dove venivano custoditi, per riconquistare immediatamente la vita che gli era stata promessa e negata nell’arco di un decennio. La nostra generazione vive un dramma analogo: chi ha dimenticato le parole dei genitori: «studia, perché se studi avrai un futuro!». Oggi, invece, scopri che, pur avendo studiato, nulla garantisce un futuro a misura dei tuoi bisogni! La mia generazione si risveglia dai “favolosi” anni ’90 e scopre di essere la vittima necessaria su cui gravare il peso della crisi: l’unica certezza è che il nostro futuro sarà senz’altro peggiore di quello dei nostri genitori. Da questo punto di vista lo spaesamento della nostra generazione è lo stesso sperimentato dalla generazione delle batterie. La frustrazione è la stessa, e magari, alle volte, anche la voglia di riprendersi il maltolto..

Hai rilasciato come anteprima per Infoaut il pezzo “Viva Palestina”, un argomento a noi molto caro, che ha attraversato tante delle lotte politiche degli ultimi anni. Vuoi parlarci della sua genesi?

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Ho deciso di scrivere questa canzone circa due anni fa. Mi trovavo casualmente a Parigi proprio quando in Medioriente l’esercito israeliano scatenava l’operazione “Piombo Fuso”. Ebbi modo allora di partecipare ad una grande manifestazione di solidarietà con il popolo palestinese e di vivere da testimone le scene di riot già conosciute in televisione durante la rivolta delle banlieues. Rimasi colpito dall’immaginario che faceva da sfondo a quelle forme dirompenti di partecipazione; un immaginario denso di contraddizioni e impolitico, almeno dal punto di vista occidentale. Un immaginario che scardinava i dogmatismi dell’ortodossia politica della sinistra e le nostre griglie interpretative. Molte delle persone scese in piazza quel giorno portavano la bandiera o anche solo i colori del proprio paese d’origine: era una manifestazione del mondo arabo tutto, un’affermazione d’appartenenza identitaria, combattiva ma non ideologica. Quel giorno mi restituì l’immagine nitida del conflitto globale che scuote il pianeta, dalle banlieues di Parigi all’inferno di Falluja; quel giorno mi sentii parte in causa di quel conflitto. Da qui l’idea di creare questa canzone insieme a Bonnot, della storica posse di Assalti Frontali..

C’è qualcos’altro che vuoi aggiungere in relazione al nuovo album?

Aggiungo solo che il disco esce venerdì 8 aprile, scaricabile gratuitamente dal sito web del Signor K. I brani sono rilasciati sotto licenza Creative Commons e perciò liberamente condivisibili. Sull’esempio delle rivolte del Maghreb abbiamo deciso di affidare alla rete il nostro messaggio.. Stay tuned! Stay rebel!!

William S. Marcus per Infoaut


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