Cina, triplice deprezzamento dello yuan. Verso una nuova guerra delle valute?
Quest’ultimo aspetto in particolare la dice lunga sulle difficoltà del gigante asiatico di riconvertire la propria economia verso il mercato interno, dato il pessimo stato di buona parte delle economie globali. Zona euro in primis, che vede le proprie (e già aleatorie) possibilità di ripresa – affidata alla competitività delle esportazioni ed al rialzo dei prezzi – seriamente minate. Un problema condiviso anche una serie di paesi emergenti di nuova generazione come quelli del sud-est asiatico, che stanno già provando a correre ai ripari deprezzando le proprie valute tramite l’immissione di liquidità nel sistema economico – vedendo proporzionalmente ridursi una serie di investimenti esteri attratti dalla redditività dei tassi di interesse.
La mossa della People’s Bank of China, la banca centrale cinese, segna tuttavia un adeguamento alle richieste del FMI: che solo pochi giorni fa, ritenendo insufficiente la flessibilità della valuta, aveva negato a Pechino l’ingresso dello Yuan nel paniere delle sue riserve – i cosiddetti Diritti Speciali di Prelievo (SDR) – ad oggi determinato da Dollaro, Euro, Yen e Sterlina. Si giocano su questo piano idiosincrasie interne allo stesso Fondo, tra la Direttrice Lagarde che cerca una riconferma il prossimo anno; e gli Stati Uniti, che cercano di ritardare per quanto possibile l’ingresso della valuta asiatica in quello che da oltre cinquant’anni rappresenta una delle stanze dei bottoni delle dinamiche debituali globali.
Per questi ultimi (che oltre a scontare il fatto di vedere un’enorme quantità di propri buoni del tesoro in mano proprio alla Cina sono impensieriti da foschi segnali macroeconomici per il prossimo futuro – come l’aumento delle richieste di sussidi di disoccupazione), si prospetta l’eventualità di dover abortire l’inversione di tendenza legata all’aumento dei tassi d’interesse per il prossimo autunno, e ricorrere all’ennesimo quantitative easing di moneta in circolo. Alimentando la corsa globale verso un’epoca di tassi d’interesse nulli o addirittura negativi: condizione che rappresenterebbe una terra incognita per l’intero sistema capitalista e per il mondo intero.
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