Confindustria e Confesercenti tirano le orecchie a Di Maio verso l’autunno
Le strigliate portate da Confindustria e Confesercenti con le dichiarazioni dell’altro ieri al Giggino nazionale suonano più di un semplice avviso da parte di due associazioni con notevole peso e ingerenza politica nelle decisionalità prese dall’alto (e per l’alto) in Italia.
Mostrano come, aldilà del bisogno di dare credibilità al Sistema-Paese con la formazione a tutti i costi dell’Esecutivo che voltasse pagina dopo il naufragio renziano, l’agibilità politica nel reale vada a scontrarsi con tutte le vecchie reticenze figlie del padronato industriale italico.
Così, dopo gli applausi di nemmeno un mesetto fa, arrivano rimbrotti e tirate di orecchie per il Ministro del Lavoro, che si traducono in un dover smorzare i toni rispetto alle velate possibilità di contrasto alle delocalizzazioni e di riduzione di alcune delle forme contrattuali subordinate in caso non vi siano effettive assunzioni a tempo indeterminato.
Queste intenzioni politiche per le due confederazioni di banchieri e industriali del paese sono impensabili laddove non stimolano la tanto vituperata storia della crescita, arma retorica necessaria dal loro punto di vista per qualsivoglia forma, velata o meno, di sfruttamento, e incentivi a pioggia per le aziende..
Ed ecco tornare in auge il paradigma tanto caro soprattutto ai grossi ceti imprenditoriali del Paese: nella crisi e con l’impoverimento della classe media i guadagni per loro non devono diminuire, anzi gonfiarsi col proliferare della ricattabilità di decine di migliaia di individui. Il mantra della crescita servirà a giustificare l’aumento della forbice sociale. Guai a mettere in discussione questo nodo.
Anzi, l’invocazione è quella di fare in modo che il sistema imprenditoriale venga ancora foraggiato a mani basse dalla politica sottoforma di denaro destinato all’investimento occupazionale (ma che tipo di occupazione? e quale beneficio di ritorno per coloro che sono già precari? Non è dato sapere), nella prospettiva che cominci il valzer per capire quali settori e quali aspetti della vita economica e sociale andranno tagliati maggiormente in concordato con quanto permetterà o meno l’Unione Europea.
Confindustria e Confesercenti invocano insomma quello che lo sfracellato Partito Democratico di Renzi gli garantiva senza colpo ferire dopo il suggello del Jobs Act.
E di colpo, una settimana di Giugno pare in realtà una proiezione di quello che potrebbe essere l’autunno, con i temi delle risorse e della decantata “crescita” che promettono di tornare prepotentemente al centro del dibattito e di futuribile scontro politico. Con Giggino che da una parte invoca e esaudisce i bisogni di rassicurazione del suo elettorato, e dall’altra si vede ammonito seccamente sin da principio sulla natura delle proposte fatte, in primis da Boccia e il suo direttivo.
Pesa, nel contesto, l’annunciata fine del Quantitative Easing, che si pone come ostacolo imperituro alle voluttà pentastellate in tema di reddito e politiche sociali, come abbiamo sottolineato poco tempo fa in questo articolo, nonché la doccia fredda che giunge sempre dai piani alti della finanza europea rispetto alla sostenibilità di un sistema pensionistico, secondo cui la flessibilizzazione dell’odiosa Legge Fornero è impensabile perché prevederebbe ulteriore indebitamento, non conciliabile con le famose manovre correttive decantate per il rilancio dell’economia. Il cerchio si stringe..
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